Abusi edilizi: danno risarcibile anche alle associazioni ambientaliste

Immagine.logo Corte di Cassazione L’art. 185 del Codice Penale, che è stato promulgato con Regio Decreto n. 1398 del 19 ottobre 1930, è dedicato alle “Restituzioni e risarcimento del danno” nell’ambito delle “Sanzioni civili” e testualmente recita: “Ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”.

L’art. 91 del Codice di Procedura Penale (corpo organico di norme strumentali a quelle di diritto penale) concernente “Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato” stabilisce che “gli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato”.

Il risarcimento dei danni è previsto nel Codice Civile, emanato con il Regio Decreto n. 262 del 16 marzo 1942.

L’articolo 2043 riguarda il “Risarcimento per fatto illecito” e dispone che “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”

Il successivo articolo 2059 riguarda invece i “Danni non patrimoniali” e stabilisce che “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.

L’art. 13 della legge n. 349 dell’8 luglio 1986 (istitutiva del Ministero dell’ambiente) ha stabilito che “le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell’ambiente”.
Il successivo art. 18 ha introdotto nel nostro ordinamento, quale forma particolare di tutela, l’obbligo di risarcire il danno cagionato all’ambiente (alterazione, deterioramento o distruzione anche parziale) a seguito di una qualsiasi attività, dolosa o colposa, compiuta in violazione di un dispositivo di legge o di un provvedimento adottato in base a legge.

È stata così prevista una peculiare responsabilità di tipo extracontrattuale (aquiliana) connessa a fatti, dolosi o colposi, cagionanti un danno “ingiusto” all’ambiente, dove l’ingiustizia è stata correlata alla violazione di una disposizione di legge e dove il soggetto titolare del risarcimento è stato individuato nello Stato.

Il citato art. 18 prescriveva che l’azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, potesse essere promossa dallo Stato (comma 1), nonché dagli enti territoriali sui quali incidevano i beni oggetto del fatto lesivo (comma 3). La strada risarcitoria restava aperta ai privati solo ove essi lamentassero la lesione di un bene individuale compromesso dal degrado ambientale, sia esso la salute che il diritto di proprietà o altro diritto reale.

Il comma 3 dell’art. 9 del D.Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000 (“Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”) è dedicato alla “Azione popolare e delle associazioni di protezione ambientale” dispone testualmente: ”Le associazioni di protezione ambientale di cui all’articolo, 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia, conseguenti a danno ambientale. L’eventuale risarcimento è liquidato in favore dell’ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell’associazione.”

Il suddetto comma è stato abrogato dall’art. 318 del D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 (“Norme in materia ambientale”) perché sostituito dal comma 7 dell’art. 313 del medesimo D. Lgs. che recita: “Resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi.”

L’art. 318 del D.Lgs. n. 152/2006 ha anche espressamente abrogato l’art. 18 della legge n. 349/1986, ad eccezione del comma 5 che riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale.

Il successivo art. 300 ha definito la nozione di “danno ambientale” con riferimento a quella posta, in ambito comunitario, dalla direttiva 2004/35/CE disponendo testualmente:
1. E’ danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima.
2. Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato:
a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nonché alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione;
b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, ad eccezione degli effetti negativi cui si applica l’articolo 4, paragrafo 7, ditale direttiva;
c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali;
d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel  sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente.”

Lo stesso D.Lgs. n. 152 del 2006 all’articolo 311 riserva allo Stato, ed in particolare al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, il potere di agire, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e se necessario per equivalente patrimoniale.

La normativa speciale dal “danno ambientale” dianzi descritta si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, sicché le associazioni ambientaliste – pure dopo l’abrogazione delle previsioni di legge che le autorizzavano a proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni risarcitorie per danno ambientale (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 9, comma 3, abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 318) – sono legittimate alla costituzione di parte civile “iure proprio”, nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente, per il risarcimento non del danno all’ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale (vedi Cass., sez. 3: 3.10.2006, n. 36514, Censi; 11.2.2010, n. 14828, De Flammineis).

Le associazioni ambientaliste, dunque, sono legittimate a costituirsi parte civile quando perseguano un interesse non caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, bensì concretizzatosi in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo: in tal caso l’interesse all’ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato (vedi Cass., sez. 3: 25.1.2011, Pelioni; 21.6.2011, Memmo).

Ritiene il Collegio al riguardo (confermando l’orientamento espresso da questa 3 Sezione nella sentenza 21.6.2011, Memmo e nella consapevolezza delle non convergenti posizioni enunciate nelle sentenze n. 14828/20010 e n. 41015/2010, contenente quest’ultima il riferimento ai soli “danni patrimoniali”) che il danno risarcibile secondo la disciplina civilistica possa configurarsi anche sub specie del pregiudizio arrecato all’attività concretamente svolta dall’associazione ambientalista per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo. In tali ipotesi potrebbe identificarsi un nocumento suscettibile anche di valutazione economica in considerazione degli eventuali esborsi finanziari sostenuti dall’ente per l’espletamento dell’attività di tutela.

La possibilità di risarcimento in favore dell’associazione ambientalista, in ogni caso, non deve ritenersi limitata all’ambito patrimoniale di cui all’art. 2043 cod. civ., poiché l’art. 185 c.p., comma 2, – che costituisce l’ipotesi più importante “determinata dalla legge” per la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. – dispone che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale” obbliga il colpevole al risarcimento nei confronti non solo del soggetto passivo del reato stesso, ma di chiunque possa ritenersi “danneggiato” per avere riportato un pregiudizio eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo.

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Quanto sopra riportato in corsivo è un estratto della Sentenza della Corte di Cassazione n. 19439 del 23 maggio 2012relativa ad un riscorso secondo la cui prospettazione “le associazioni di protezione ambientale, dopo la modificazione alla L. n. 349 del 1986, art. 18 operata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 318, possono intervenire nel processo penale soltanto ai sensi degli artt. 91 e segg. cod. proc. pen., mentre ne sarebbe preclusa la costituzione di parte civile, difettando in capo alle stesse la titolarità di un diritto soggettivo che le legittimi all’esercizio dell’azione risarcitoria. Nella specie, inoltre, non sarebbe ravvisabile alcun pregiudizio, anche di natura non patrimoniale, concretizzatosi in danno di Legambiente”

Con successiva Sentenza della Corte di Cassazione n. 15971 dell’8 aprile 2013è stato stabilito che anche la violazione delle norme relative agli abusi edilizi, idonei a ledere anche l’ambiente, possono essere oggetto di una richiesta di risarcimento del danno da parte delle associazioni ambientaliste.

Con tale sentenza la Corte di Cassazione ha richiamato la giurisprudenza precedente della Corte medesima, ed ha affermato in particolare che l’azione risarcitoria, in questo caso, non riguarda il danno all’ambiente inteso come interesse pubblico, bensì i danni direttamente subiti dall’associazione ambientalista per l’attività concretamente svolta a tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto dell’abuso edilizio, danno risarcibile ai sensi del comma 7 dell’articolo 313 del D.Lgs. 152/2006.

In tali ipotesi, il danno potrebbe anche avere una valutazione economica in relazione alle spese sostenute dall’ente per l’attività di tutela svolta.
La Corte di Cassazione ha ricordato infine che, come già in precedenza statuito, la costituzione di parte civile deve essere riconosciuta alle associazioni ambientaliste anche in caso di violazione delle norme sulla tutela del paesaggio urbano, rurale, naturale nonché dei monumenti e dei centri storici, nonché in caso di delitti di falso ed abuso d’ufficio commessi allo scopo di rendere possibile un abuso edilizio.

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