Dimezzata la percentuale del nostro territorio posto sotto tutela paesaggistica

 

Immagine.paesaggioSul quotidiano L’unità del 29 dicembre 2013 è stato pubblicato un interessante articolo di Luca Del Fra dal titolo ”Senza Difesa. Ancora cemento. L’Italia dimezza le aree sotto tutela”, che ha avuto un seguito il giorno seguente su L’Unità del 30 dicembre 2013 con un altro articolo dal titolo “Il cemento ha devastato la Sardegna. Cancellato il piano di tutela: così l’alluvione ha messo a nudo il disastro ”.

Lo spunto di entrambi gli articoli è stato dato dalla pubblicazione della edizione del 2012 di “Minicifre della Cultura 2012” per una lettura sintetica e trasversale dell’offerta e della domanda di cultura in Italia: si tratta di un progetto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC) impostato nel 2009 dal Servizio I del Segretariato, che tende ad offrire, in modo semplice e sintetico, in un opuscolo leggero di sole trentotto pagine, uno spaccato sui numeri della cultura in Italia.

La guida del MiBAC si propone di raccogliere dati fornendo un quadro delle attività di tutela e di promozione culturale svolte dal Ministero e da altri soggetti pubblici, delle risorse finanziarie e umane disponibili, dell’offerta e dei consumi individuali, della vitalità delle imprese culturali e creative in Italia.

I dati raccolti, per ciascun anno, sono attinti prevalentemente da fonti edite, pubbliche o private (ISTAT, siti di Ministeri, SIAE, AIE, FIEG, ANICA, ACRI), o sono stati forniti direttamente dalle direzioni generali e dagli istituti del MiBAC, che hanno collaborato generosamente all’iniziativa: la pubblicazione anche in lingua inglese, scaricabile così come la versione italiana in formato pdf dal sito www.ufficiostudi.beniculturali.it, consente una diffusione internazionale dei dati raccolti.

Di tutti i dati forniti il giornalista Luca Del Fra prende in esame solo quelli relativi a “Paesaggio e ambiente” (pag. 10), dove è riportato il “Rapporto tra superfici vincolate e aree regionali” alla data dell’anno 2011.

Fa una sintesi della percentuale del nostro territorio posto sotto tutela paesaggistica o ambientale, che all’anno 2011 risulta essere pari al 18,7%, per metterla a confronto con i dati forniti ad inizio del 2010 dal quotidiano “Sole 24 Ore”  e che risalivano almeno all’anno 2008, secondo i quali la percentuale si attestava al 46,9%: se quella cifra è esatta, e per il giornalista non c’è motivo per dubitarne, la percentuale del territorio vincolato in tre anni è scesa a meno della metà.

La stessa riduzione si registra anche per la Regione Lazio che dal 46,7% del 2009 è scesa ora al 20,85% secondo l’edizione di “Minicifre” del 2012.

Si tratta di “un crollo. Rovinoso. Come a Pompei, o quelli degli edifici trascinati via dall’acqua in Sardegna dopo le piogge di novembre” su cui il giornalista Luca Del Fra si chiede come sia potuto accadere, senza peraltro essersi accorto dell’aspetto paradossale che emerge dal confronto con l’edizione di “Minicifre” del 2009.

Dalla edizione del 2009 si apprende infatti che ci sono stati  “5.181 provvedimenti emanati dal 1939 al 2007 (banca dati geografica SITAP-Sistema Informativo Territoriale Ambientale) che individuano ‘gli immobili o le località dichiarate di notevole interesse pubblico per il loro carattere di bellezza naturale o singolarità geologica o dal caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale’ ”, mentre dalla edizione del 2012 si viene a sapere che ci sono stati “6.079 provvedimenti emanati dal 1939 al 2010 che individuano gli immobili o le località dichiarate di notevole interesse pubblico per il loro carattere di bellezza naturale o singolarità geologica o per il caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”.

Ne deriva che dal 2007 al 2010 sono stati imposti altri 898 vincoli paesaggistici e che quindi è stata sottoposta a tutela una maggiore superficie del nostro territorio, per cui non si capisce come ciò nonostante possa essere scesa a meno della metà la percentuale del territorio vincolato: lo stesso ragionamento vale anche per la Regione Lazio che all’anno 2007 registrava 427 provvedimenti, saliti a 437 nel 2010 .

Per il giornalista Luca Del Fra si è arrivati a questo crollo “semplificando” e “sburocratizzando“.

Lo strumento legislativo che secondo il giornalista sarebbe dovuto servire ad arginare la distruzione dei beni vincolati sono i Piani paesaggistici, uno per Regione da realizzare in copianificazione con il Ministero dei Beni e le Attività Culturali da quando il paesaggio è stato dichiarato per legge un bene culturale: sempre secondo lui “ma a dieci anni dall’entrata in vigore delle leggi che li prevedevano (d.l. 42 2004 e l. 137 – 2002), i Piani restano ancora lettera morta. Il tutto appare perverso considerando che proprio l’Italia volle nel 2000 lanciare a Firenze la Convenzione europea del paesaggio, i cui contenuti più innovativi stentiamo ad assorbire nel Codice per i Beni culturali, giunto in meno di dieci anni alla sua terza redazione, con esiti deludenti soprattutto per il paesaggio.

La citata legge n. 137 del 6 luglio 2002 è quella che all’art. 10 ha delegato il Governo “per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore” e che ha portato poi ad emanare il D.Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004 relativo al “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” il quale disciplina all’art. 146 l’elaborazione del “Piano paesaggistico”.

Per il giornalista Luca Del Fra i “Piani paesaggistici” sono cosa diversa dai “Piani paesistici” che la  legge 431 dell’8 agosto 1985 – detta anche Legge Galasso dal nome del sottosegretario ai Beni Culturali Giuseppe Galasso (del PRI) – imponeva alle Regioni di redigere ed approvare entro il 31 dicembre 1986 in alternativa alla redazione e approvazione dei “piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali”.

I “Piani paesistici” sono stati previsti però fin dalla Legge n. 1497 del 29 giugno 1939 sulla “Protezione delle bellezze naturali” che all’art. 5 stabiliva testualmente: “Delle vaste località incluse nell’elenco di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 1 della presente legge, il Ministro per l’educazione nazionale ha facoltà di disporre un piano territoriale paesistico, da redigersi secondo le norme dettate dal regolamento e da approvarsi e pubblicarsi insieme con l’elenco medesimo, al fine di impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica”.

Il citato Regolamento è stato emanato con il Regio Decreto n. 1357 del  3 giugno 1940, che all’art. 23 disponeva che “I piani territoriali paesistici di cui all’art. 5 della legge hanno il fine di stabilire:

1/a le zone di rispetto;

2/a il rapporto fra aree libere e aree fabbricabili in ciascuna delle diverse zone della località;

3/a le norme per i diversi tipi di costruzione;

4/a la distribuzione e il vario allineamento dei fabbricati;

5/a le istruzioni per la scelta e la varia distribuzione della flora”.

Non essendo stata mai considerata come un obbligo la “facoltà di disporre un piano territoriale paesistico”, la Legge n. 431 dell’8 agosto 1985 ha reso tale la redazione ed approvazione dei Piani Territoriali Paesistici (P.T.P.) o, in alternativa, dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, comunque solo parzialmente realizzati.

La cosiddetta “legge Galasso” ha per di più sottoposto a vincolo paesistico imposto automaticamente ai sensi della legge n. 1497/1939 una serie di cosiddetti “beni diffusi” (coste dei mari e dei laghi, corsi d’acqua, montagne, ghiacciai, parchi e riserve, boschi e foreste, aree soggette ad usi civici, zone umide e zone di interesse archeologico).  

Per il giornalista Luca Del Fra “la storia della tutela del paesaggio nel nostro Paese è una lunga guerriglia tra Stato e Regioni su chi debba esercitare il controllo”: già con il D.P.R. n. 10 del 15 gennaio 1972 sono state trasferite alle Regioni a statuto ordinario una serie di funzioni amministrative ed in attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge n. 382 del 22 luglio 1975 è stato poi emanato il D.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977 che all’art. 82 (relativo ai “Beni ambientali”) ha delegato “alle Regioni le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato per la protezione delle bellezze naturali”: la “legge Galasso” n. 431/1985 ha aggiunto al suddetto art. 82 i commi da 3 a 13.   

In base al suddetto decentramento per Luca Del Fra il cosiddetto “territorio” è passato alle Regioni “aprendo la strada al periodo più nero della cementificazione. Il 28 febbraio del 1985 il primo governo presieduto dall’onorevole Bettino Craxi, ministro delle finanze Bruno Visentini, promulga la Legge n. 47: è il primo storico condono edilizio, ne seguiranno altri due.”

Ma dopo l’entrata in vigore della legge n. 431/1985 per Luca Del Fra “la battaglia ricomincia: le Regioni si indignano, perché si sentono deprivate dal controllo del territorio che ritengono un loro diritto, oltreché fonte di notevoli interessi. Si arriva alla Corte Costituzionale che dalla fine degli anni ’90 con una serie di sentenze stabilisce che il paesaggio è competenza dello Stato, o per lo meno anche dello Stato poiché deve essere considerato in maniera unitaria su tutto il territorio nazionale e non regione per regione. Tra le sentenze spicca quella che bloccando la costruzione di un’installazione militare in Puglia, ricorda agli amministratori regionali che il paesaggio è di prioritario interesse nazionale, superando anche le esigenze militari, almeno in tempo di pace. Sembrerebbe tutto chiaro. Ecco che si arriva al Codice dei Beni Culturali e ai Piani, che da paesistici sono divenuti paesaggistici e prevedono la collaborazione tra Stato e Regioni”.

Al “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” si è arrivati dopo che la legge n.352 dell’8 ottobre 1997 (“Disposizioni sui beni culturali“) aveva nel frattempo delegato il Governo a raccogliere in un decreto legislativo il testo unico delle disposizioni legislative vigenti per i beni culturali e ambientali, divenuto poi il Decreto Legislativo n. 490 del 29 ottobre 1999 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali“) che all’art. 166 ha abrogato sia le leggi n. 1089/1939 e n. 1497/1939 che i commi da 3 a 13 dell’art. 82 del D.P.R. n. 616/1977, nonché la legge n. 431/1985 (ad eccezione dell’articolo 1-ter e dell’articolo 1-quinquies), dal momento che ne ha recepito le disposizioni nel suo articolato: il 1° comma dell’art. 149 conferma l’obbligo per le regioni di redigere ed approvare i “piani territoriali paesistici o in alternativa i “piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali”.

Il D.Lgs. n. 490/1999 è stato abrogato dal comma 1 dell’art. 184 del Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 (versione originaria) che all’art. 143 disciplina ora il “Piano Paesaggistico”, mantenendo al precedente art. 135 l’obbligo per le Regioni di redigere ed approvare i “piani paesaggistici” o in alternativa i piani urbanistico-territoriali” previsti dalla legge n. 431/1985 e recepiti nel D.Lgs. n. 490/1999.   

Il giornalista Luca Del Fra afferma poi che “la seconda stesura del Codice, del 2006 ministro Buttiglione, prescrive che la copianificazione sul paesaggio avvenga tra Stato – cioè MiBAC – e Regioni su tutto il territorio”: si tratta del Decreto Legislativo n. 157 del 24 marzo 2006, che alla lettera c) del 1° comma dell’art. 134 ha aggiunto fra i “beni paesaggistici” anche i “gli immobili e le aree tipizzati” e che alla lettera i) del 1° comma del successivo art. 143 fra le fasi in cui si deve articolare l’elaborazione di ogni Piano paesaggistico  include la “tipizzazione ed individuazione, ai sensi dell’articolo 134, comma 1, lettera c), di immobili o di aree, diversi da quelli indicati agli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione.

L’edizione di “Minicifre della cultura 2009  riferita all’anno 2007 riporta “16 Piani paesistici regionali finalizzati alla regolazione del territorio dal punto di vista paesaggistico” e che “è in atto una collaborazione fra 9 regioni e il Mibac per l’elaborazione di nuovi Piani, al fine di definire gli obiettivi di qualità paesaggistica dei diversi ambiti territoriali nei quali viene ripartita ogni regione”.

Luca Del Fra prosegue affermando: “Terza stesura del 2008, ministro Rutelli: il MIBAC copianifica solo per le aree già vincolate (in entrambi i casi estensore del Codice è Salvatore Settis)”: si tratta del Decreto Legislativo n. 63 del 26 marzo 2008, che ha cancellato “gli immobili e le aree tipizzati” sia dalla lettera c) del 1° comma dell’art. 134 che dalla lettera i) del 1° comma del successivo art. 143.

L’edizione di “Minicifre” riferita all’anno 2011 riporta una “Copianificazione MiBAC-Regioni per la redazione e/o aggiornamento dei piani paesaggistici” con “12 protocolli d’intesa, di cui 8 con disciplinari di attuazione”.

Secondo il giornalista “Così si tradisce lo spirito e la lettera delle sentenze della Consulta, dal momento che le aree vincolate non sono l’intero territorio nazionale, dando oltretutto adito a infiniti contenziosi fra lo Stato e le singole Regioni, che allungano i tempi della realizzazione dei piani, come infatti è avvenuto”: va osservato al riguardo che fin dal testo originario del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” l’art. 135 ha stabilito che il Piano paesaggistico riguarda solo le aree soggette a vincolo (“dichiarazioni di notevole interesse pubblico”) e che il successivo art. 145 relativo al “Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione” ha stabilito la cogenza delle prescrizioni delle norme dei Piani paesaggistici su tutti gli strumenti urbanistici e di pianificazione sottordinati dei comuni, delle città metropolitane e delle province, nonché degli enti gestori delle aree naturali protette.

A rendere “cogenti” le prescrizioni sull’intero territorio regionale possono essere solo i piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali” in quanto riferiti all’intero territorio regionale.   

Luca Del Fra prosegue quindi nel seguente modo: “Nel 2008 subentra un nuovo governo Berlusconi, e il ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi, si allinea allo slogan «più cemento per tutti». A più riprese invita il MiBAC ad alleviare i controlli e, attraverso pressioni e nomine mirate, agisce sulle Direzioni Regionali – cui spettano le autorizzazioni. Il 28 aprile del 2010 in Parlamento di fronte alla 13° Commissione permanente spiega che alleggerirà la tutela: si arriva a nuovi regolamenti per l’autorizzazione paesaggistica, che scardinano la Legge Galasso, in maniera subdola, attraverso articoli e articoletti depositati nelle varie leggi omnibus e milleproroghe. Sono gli strumenti per smantellare la tutela, la necessaria premessa al crollo della percentuale di territorio vincolato da oltre il 50% a meno del 20%. Il tutto in un silenzio assordante rotto solo dal «Rapporto sul paesaggio» di Italia Nostra del 2010, a firma Maria Pia Guermandi e Vezio De Lucia, che parlano di «convergenza viziosa – tra Stato, MIBAC, Regioni ed enti locali– nella elusione amministrativa.

Il giornalista Luca Del Fra prende quindi ad esempio il Piano paesaggistico della Regione Lazio (nel primo articolo) e della Regione Sardegna (nel 2° articolo).

Il caso del Lazio è emblematico: già nel 2007 il Piano paesaggistico è pronto e approvato, ma si attendono le controdeduzioni”: va fatto presente al riguardo che con deliberazioni n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21 dicembre 2007 la Giunta Regionale del Lazio ha adottato il Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) e non ilPiano paesaggistico”, assumendo come propri ed applicando “i principi, i criteri, le modalità ed i contenuti negli articoli 135 e 143 del Codice, già in parte compresi nell’Accordo del 19 aprile 2001 fra il Ministero per i Beni e le Attività culturali e le Regioni ”.

 Immagine.copertina PTPR

Va messo in risalto inoltre che il PTPR fa espresso riferimento alle modifiche apportate al “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” dal D.Lgs. n. 157/2006, che ha introdotto la novità degli “immobili e aree tipizzati” che il PTPR applica in modo esteso vincolando in particolare fra gli altri tutti i centri ed i nuclei storici dei Comuni del Lazio con una fascia di rispetto di 150 metri.

Secondo il giornalista Luca Del Fra “la giunta Marrazzo tuttavia conosceva bene gli appetiti della sua regione e, con mossa a sorpresa, lo adotta comunque prima in Italia -, dandosi 5 anni di tempo per modificarlo alla luce di quanto emergerà dalle controdeduzioni e dalle risposte che a queste daranno le pubbliche istituzioni”: dopo la pubblicazione del PTPR dal 14 febbraio al 14 maggio 2008 sono state presentate circa 20.000 osservazioni.

Prosegue Luca Del Fra: “Durante la giunta di centrodestra del governatore Renata Polverini il piano si arena e nulla sembra muoversi o, meglio, si muove lei, che si affretta a presentare un piano del tutto diverso: è il «piano casa» regionale, frutto della omonima legge promulgata dal governo Berlusconi che scavalca i piani paesaggistici. La parola d’ordine è: più cemento per tutti per rilanciare l’economia, e parte l’assalto al territorio. Nel frattempo quello tutelato nel Lazio cade dal 46,7% del 2008 al 20,8% del 2011. L’economia non riparte, anzi peggiora, ma, per fortuna, non parte neppure il piano casa: anche un PdL come Giancarlo Galan, allora ministro dei Beni e delle Attività Culturali, non riesce a mandare giù una porcata dove l’ufficio legislativo del MiBAC rileva una ventina di possibili incostituzionalità: il piano viene bloccato. Nel frattempo, all’inizio del 2013, i termini per la definitiva approvazione del Piano paesaggistico del Lazio stanno scadendo: nella ingloriosa débacle della giunta Polverini, tra gli scandali di Fiorito e compagnia, alcuni funzionari della Regione fanno passare una proroga di un anno, anche perché sono arrivate le controdeduzioni”: va precisato al riguardo che dopo che con Nota VAS prot. n. 8 del 25 novembre 2012 ho chiesto la “Approvazione in via sostitutiva del Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) del Lazio”, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha sollecitato la Regione Lazio ad approvare in fretta e furia la legge regionale n. 16 del 28 dicembre 2012, che ha prorogato le misure di salvaguardia fino al 14 febbraio del 2014.

Prosegue ancora Luca Del Fra: “A questo punto è lo Stato che comincia a perdere tempo: dalla direzione regionale MiBAC del Lazio si impongono una serie infinita di controlli, si chiede più tutela e tutele incrociate tra le soprintendenze archeologiche, architettoniche e paesaggistiche. Cose anche giuste, ma che hanno poco a che vedere con le controdeduzioni: avrebbero potuto e dovuto essere fatte prima, e comunque si possono fare e ottener e anche dopo l’approvazione del piano.

A quest’ultimo riguardo va fatto presente che le controdeduzioni alle circa 20.000 osservazioni presentate sono state già predisposte dall’arch. Giuliana De Vito, attuale dirigente dell’Area Pianificazione Paesistica e Territoriale.

Prosegue ancora Luca Del Fra: “Con lo scarso personale a disposizione delle soprintendenze, il risultato è una dilazione di un anno. A termine oramai scaduto. È un atteggiamento non nuovo per taluni dirigenti del MiBAC. In generale di fronte a casi simili è difficile stabilire se si tratti di vero amore per i beni culturali o di quella che è definita la tattica del cosiddetto «finto pasdaran della tutela», che in nome dei sacri principi di un proclamato beneculturalismo blocca tutto, in modo che si vada avanti come sempre, cioè male.

Il giornalista Luca Del Fra si pone la seguente domanda a cui cerca di dare una propria risposta: “Cosa accadrebbe se il piano paesaggistico della Regione Lazio non sarà definitivamente approvato e adottato prima di febbraio? Si dovrebbe tornare alla «normale amministrazione», antecedente al Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2002: ma in Italia nulla è mai «normale».
Con la precedente normativa di tutela smontata e depotenziata la Regione Lazio, se non sarà approvato entro febbraio il Piano, e tutto il territorio nazionale saranno esposti ai capricci della sorte: di amministratori locali, spesso incompetenti e soggetti a pressioni e lusinghe del territorio, unitamente a Direzioni regionali del MiBAC che si dimostrano sempre più una semplice cinghia di trasmissione tra il potere politico nazionale e gli interessi locali
.”

Va rilevato al riguardo che il giornalista Luca Del Fra ignora che il 1° comma dell’art. 21 delal legge regionale n. 24 1998 dispone che “entro il 14 febbraio 2014 la Regione procede all’approvazione del PTPR quale unico piano territoriale paesistico regionale” ma con la precisazione che una volta “decorso inutilmente tale termine, …., nelle aree sottoposte a vincolo paesistico con provvedimento dell’amministrazione competente, sono consentiti esclusivamente interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, risanamento, recupero statico ed igienico e restauro conservativo”: dal momento che questo era lo scenario che si apriva se entro il 14 febbraio del 2013 non fosse stato approvato il PTPR, è presumibile che la Regione Lazio provvederà a prorogare di un ulteriore anno, fino cioè al 14 febbraio del 2015, l’approvazione definitiva del PTPR.

Nell’articolo pubblicato su L’Unità del 30 dicembre 2013 il giornalista prende in esame il Piano paesaggistico della Regione Sardegna nel seguente modo: “Il cosiddetto nubifragio in Sardegna ci riporta al cuore del problema della gestione del territorio e dei Piani paesaggistici che dovevano essere uno strumento per governarlo, ma che nessuna regione italiana è riuscita ancora ad approvare in via definitiva, malgrado siano passati dieci anni dalla loro promulgazione. In realtà a piegare la Sardegna non è stata tanto l’intensità, certo forte, delle piogge, ma la loro durata, che si è protratta lungo 48 ore, mandando in tilt un territorio devastato dalle speculazioni. Piangiamo le vittime del dissesto cementizio, non di un nubifragio.

Eppure la Sardegna fin dal 2006 si era dotata di un Piano paesaggistico all’avanguardia, proprio perché prevedeva un sistema complesso, di cui avrebbero dovuto far parte anche l’ambiente e il territorio. Insomma, il paesaggio non come pura bellezza”: Il “Piano Paesaggistico Regionale –Primo Ambito Omogeneo” è stato adottato con deliberazione della Giunta Regionale n. 37 del 5 settembre 2006 ed approvato con Decreto del Presidente della Regione Sardegna n. 82 del 7 settembre 2006.

Prosegue Luca Del Fra: “Renato Soru, allora presidente della giunta regionale sarda sul Piano aveva puntato parecchio, partendo dalla legge Salva coste del 2004, aveva dato vita a un bel progetto che imponeva nuovi vincoli, regole certe e comprendeva anche una digitalizzazione del territorio e delle sue proprietà, su computer facili da usare e aperti anche al cittadino – una innovazione fondamentale considerando che un vincolo paesaggistico decade se solo il proprietario di una infima particella del territorio in oggetto non riceve ufficiali comunicazioni sull’inizio della procedura di vincolo, sul procedere dell’iter e sulla sua definitiva conclusione.

Parte subito la guerriglia dei comuni che si sentono defraudati della possibilità di usare a loro piacimento il territorio, e con particolare veemenza del sindaco di Olbia, secondo cui il Piano avrebbe tarpato le ali all’economia della sua città –oggi invece lamenta essere Olbia ridotta a una montagna di fango e per ricostruirla piange soldi allo Stato pantalone.

A causa del suo Piano, Soru perde anche la compattezza dello schieramento politico che lo sostiene. Alle elezioni regionali del 2009 vince il centrodestra con Ugo Cappellacci che, appigliandosi a una mera questione di forma –il Piano era stato redatto prima della terza versione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio–, blocca tutto benché il Mibac ne avesse comunque riconosciuto la validità. E, naturalmente, vai col mambo della betoniera, del piano casa e dell’autorizzazione facile. Il tutto, ovviamente per rilanciare l’economia.

Il caso della Sardegna, che secondo i dati a nostra disposizione dal 35% di territorio tutelato prima del 2009 crolla al 17% nel 2011, è emblematico non solo perché, insieme a Marche e Lazio, è tra le prime a dotarsi di un Piano paesaggistico che non riesce poi ad adottare in via definitiva, ma soprattutto perché quel Piano a suo modo comprendeva e recepiva le novità contenute nella Convenzione europea del paesaggio, che proprio l’Italia aveva voluto lanciare nel 2000 a Firenze, ma che non è riuscita a recepire a pieno nel suo Codice per i Beni Culturali e il Paesaggio.

A tal ultimo riguardo va fatto presente che l’articolo di Luca Del Fra è stato pubblicato anche sul sito www.eddyburg.it ma con la seguente postilla di Edoardo Salzano: ”Per quanto riguarda la Sardegna (mi riferisco all’unico caso che conosco bene) le aree tutelate dopo l’approvazione del piano paesistico di Soru erano molte di più di quelle comprese nella legge Galasso e negli altri vincoli ope legis. Quel piano, infatti, ha aggiunto oltre 8.400 kmq alle parti di territorio precedentemente vincolate: il 35% dell’intero territorio dell’Isola. ben più del 17% di cui scrive Dal Fra citando gli strabilianti dati del Mibac. .La sola “fascia costiera” tutelata da un’apposita norma, comprende un territorio pari al 14% della superficie complessiva dell’intera Sardegna, e ha una profondità variabile dai 300 metri ai tremila”.

Con riguardo alla Convenzione Europea sul Paesaggio prosegue Luca Del Fra nel modo seguente: “La Convenzione infatti dice che paesaggio è sia il territorio «che può essere considerato eccezionale (per la bellezza NdR), sia i paesaggi della vita quotidiana, sia i paesaggi degradati» (art.2), che ovviamente vanno riqualificati. Una visione così allargata discende da un principio forte che ribalta la tradizionale impostazione, intesa soprattutto in Italia come bellezza naturale. Il paesaggio diventa invece fondante la qualità della vita dei cittadini, qualità della vita che è uno dei cardini della democrazia, e il caso del cosiddetto nubifragio in Sardegna è lì a dimostrare la validità del principio.

Sembrerebbero banalità, eppure perfino nella traduzione della Convenzione in italiano su questi punti ci sono state incertezze, palesi errori e polemiche: dove in Inglese si legge «Landscape means an area, as perceived…» (il paesaggio è un’area così come percepita…), in italiano troviamo «Paesaggio designa una “determinata” parte di territorio», il corsivo è nostro per segnalare la evidente limitazione rispetto al testo originale dove tutto il territorio, comprese le aree urbane, è paesaggio.

Ma siccome l’Italia è il paese del cavillo, il testo valido è quello della traduzione, ratificato con la legge n. 9 del 2006, e ora siamo obbligati a delimitare e determinare cosa sia paesaggio e cosa no.

Oltre al traduttore e al legislatore, a complicare le cose ci si è messo anche il Governo: con i decreti Bassanini della fine degli anni ’90 in Italia, unici al mondo, ciò che è comunemente definito territorio è stato diviso in tre: il paesaggio ora è di competenza del Mibac, il territorio è di competenza delle regioni ed enti locali, l’ambiente è di competenza dell’omonimo Ministero.

Colpevole barocchismo istituzionale che crea una gran confusione che il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio con la sua terza redazione del 2008 non semplifica, anzi sembra vittima ancora una volta di una eredità di stampo estetizzante e crociano, dove paesaggio alla fin fine sono le bellezze naturali. Altro che Convenzione europea sul paesaggio, qui si torna alla Legge Bottai del 1939 o, ben che vada, alla Galasso del 1985.

Tuttavia il Codice, pur con i suoi difetti, prescriveva già dal 2006 che il MiBAC desse delle linee guida valide per tutto il paese. Linee guida mai apparse. È apparso invece un Osservatorio nazionale sul paesaggio, creato secondo la tecnica di fare una cosa talmente inutile da poterla rapidamente abolire. Come è regolarmente avvenuto mentre la Direzione centrale per il paesaggio veniva accorpata con altre Direzioni e resa inoffensiva, proprio in quella che doveva essere la fase cruciale della realizzazione dei Piani paesaggistici.

Di questa latitanza di Governo e Stato hanno approfittato le regioni che non hanno dimostrato alcuna fretta a fare i Piani paesaggistici, e pure quando li redigono non riescono ad approvarli in via definitiva, come è il caso della Puglia, dopo il Lazio, le Marche e la Sardegna. In questo modo, cioè finché i piani non saranno approvati, l’arbitrio sul territorio, sulla concessione edilizia, sul cemento facile e sui bassi commerci che ne derivano resta a loro: alle regioni o agli enti locali.

Luca Del Fra chiude il suo secondo articolo nel modo seguente: “È lecito infine chiedersi come vengano preparati questi Piani paesaggistici, cui dovrebbero collaborare le regioni e lo Stato, attraverso il MiBAC.

Secondo la Corte costituzionale il MiBAC dovrebbe essere garante dell’unitarietà dei Piani a livello nazionale, così nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2006 la copianificazione con le regioni era su tutto il territorio.

Nel 2008 però la nuova redazione del Codice prevede che il MiBAC intervenga solo rispetto alle aree già sottoposte a vincolo, e tanti saluti alla Corte Costituzionale e all’unitarietà del territorio nazionale.

Oggi comunque né lo Stato, con il MiBAC, né le regioni sembrano essere dotate di strumenti intellettuali e professionali atti a fare i Piani paesaggistici: lo Stato non li ha mai avuti avendo decentrato la gestione del territorio alle regioni nel 1972, salvo poi cercare di tornare sui suoi passi visto il disastroso esito della scelta.

Le regioni a loro volta in alcuni casi si erano dotate di uffici urbanistici efficienti, è il caso dell’Emilia Romagna negli anni ’70 e ’80, ma poi li hanno più o meno dismessi.

Salvo un paio di eccezioni come la Sardegna di Soru, oggi l’iter per lo più si limita al fatto che la regione, dopo aver stipulato pomposi principi introduttivi, affida la reale redazione del Piano a una ditta esterna – non sempre competentissima –, che di solito non fa altro che collazionare i vari piani regolatori dell’area in questione, senza neanche consultare il MiBAC, che giustamente boccia i piani per mancata copianificazione.

Siamo in procinto di una profonda riforma del MiBAC, imposta dalla “spending review”, che punta al dimagrimento di un ministero già sfibrato da un decennio di tagli: il testo è stato consegnato al Consiglio dei ministri prima di Natale con la richiesta di una proroga per questioni procedurali, segno che ancora qualche dubbio permane.

Sarebbe una svolta epocale se dopo decenni di una «convergenza viziosa all’elusione amministrativa» sul nostro paesaggio, definizione di Guermandi e De Lucia, grazie a questa riforma il ministro Massimo Bray dotasse il MiBAC di strumenti efficaci per la tutela del territorio, che tutti definiscono il nostro più grande patrimonio.

Ma finora solo a chiacchiere.

 

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

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