Mose bipartisan, ecco l’origine perversa del «partito del fare»

Articolo di Paolo Cacciari pubblicato il 6 giugno 2014 sul quotidiano “Il Manifesto”.

Immagine.Paolo Cacciari

Paolo Cacciari

Il pro­getto della chiu­sura delle boc­che di porto della Laguna di Vene­zia, il più grande inter­vento di inge­gne­ria civile mai costruito in Ita­lia, è stato il pro­to­tipo delle «grandi opere». 

In tutto. 

Nella filo­so­fia emer­gen­zia­li­sta che lo pre­siede — la grande allu­vione del 4 novem­bre 1966 sembrava giu­sti­fi­care una deci­sione rapida e ras­si­cu­rante, in barba ad ogni esi­genza di approfondimento degli studi scientifici.

 Immagine.alluvione del 1966.1

 Nella delega con­cessa al sistema delle imprese pri­vate giu­di­cato dai deci­sori poli­tici il più competente ed effi­ciente non solo nella rea­liz­za­zione delle opere, ma anche nella loro idea­zione e pro­get­ta­zione – con­dan­nando le uni­ver­sità, il Cnr e gli organi tec­nici dello stato a fare da sup­porto ser­vente alle imprese. 

Nella deroga alle pro­ce­dure ordi­na­rie di affi­da­mento, veri­fica e con­trollo delle opere pub­bli­che – date in con­ces­sione ad un unico sog­getto, anti­ci­pando il mec­ca­ni­smo del gene­ral con­tract. 

Nel gene­roso ricorso al cre­dito ban­ca­rio (a pro­po­sito dei motivi che hanno gene­rato il debito pubblico!) – pro­ce­dura che poi sarà per­fe­zio­nata con il pro­ject finan­cing.

Il Con­sor­zio Vene­zia Nuova nasce nel 1982 sotto gli auspici di De Miche­lis (Par­te­ci­pa­zioni Sta­tali), Nico­lazzi (Lavori Pub­blici) e Fan­fani (pre­si­dente del Con­si­glio). 

Com­prende tutte le mag­giori società di engi­nee­ring pub­bli­che e pri­vate, dalla Impre­sit della Fiat (a cui suben­trerà la Man­to­vani) alle Con­dotte d’acqua dell’Iri. 

E poi: Lodi­giani, Mal­tauro, Impre­gilo fino alle coo­pe­ra­tive emi­liane CCC. 

Primo pre­si­dente del CVN è Luigi Zanda, pro­ve­niente dalla segre­te­ria del mini­stro Cossiga.

Negli stessi anni nasce anche il Tav e il Ponte dello Stretto di Mes­sina. 

L’Italia del «fare» — per chi ha perso la memo­ria — nasce allora. 

Ma per supe­rare gli evi­denti vizi giu­ri­dici di un’opera affi­data in con­ces­sione a trat­ta­tiva pri­vata e per di più su un «pro­getto pre­li­mi­nare di mas­sima» mai appro­vato dal Con­si­glio Supe­riore dei Lavori Pub­blici, ci fu biso­gno di una legge spe­ciale (legge 798 del 29 novem­bre del 1984). 

Ad opporsi fu solo il Pri con il mini­stro Bruno Visen­tini, come io stesso rico­no­scevo in un sag­gio di tanti anni fa, Appunti per una sto­ria del Pro­get­tone («Oltre il ponte», n. 17, 1987), in cui defi­nivo l’oggetto della con­ven­zione tra Stato e CVN: «un insieme di opere ancora inde­ter­mi­nate, tutte comun­que assi­cu­rate da una forma di paga­mento a piè di lista».

Nasce così lo stra­po­tere del CVN in città e non solo. 

Cro­ce­via di smi­sta­mento di ogni genere di appalti, anche quelli non diret­ta­mente affe­renti al Mose. 

Punto di equi­li­brio degli inte­ressi bipar­ti­san. 

A dire il vero un ripen­sa­mento ci fù all’epoca di Tan­gen­to­poli. 

Con una legge del 1993 (n. 527, art. 12, comma 11) si dava man­dato al Governo di «razio­na­liz­zare» le pro­ce­dure di inter­vento a Vene­zia così da «sepa­rare i sog­getti inca­ri­cati della pro­get­ta­zione dai sog­getti cui è affi­data la rea­liz­za­zione» e costi­tuire una agen­zia pub­blica. 

Inu­tile dire che nulla sostan­zial­mente fu fatto per mutare la situa­zione. 

Nem­meno quando nel 1998 la Com­mis­sione nazio­nale per la Valu­ta­zione dell’Impatto Ambien­tale dette un parere sostan­zial­mente nega­tivo al progetto.

In soc­corso del Mose giunse la nuova Legge Obiet­tivo di Lunardi-Berlusconi (2002) che ha con­sen­tito ai vari governi, da ultimo quello Prodi con Di Pie­tro mini­stro ai Lavori Pub­blici (con un voto a mag­gio­ranza nel Con­si­glio dei mini­stri), di avo­care a sé le deci­sioni tecnico-progettuali e di appro­vare defi­ni­ti­va­mente il Mose nel 2006. 

Fu il colpo di gra­zia anche per i movi­menti ambien­ta­li­sti e l’assemblea per­ma­nente con­tro il Mose. 

Da allora una valanga di massi, cemento e ferro è stata sca­ri­cata sulle boc­che di porto. 

Il Con­sor­zio Vene­zia Nuova aveva vinto. 

Ora sap­piamo che sei miliardi di finan­zia­menti diretti, più tutti quelli per le opere com­ple­men­tari di difesa a mare del lito­rale, di con­so­li­da­mento delle rive e delle fon­da­menta, di restauri vari, sono il prezzo con cui il «par­tito del fare» (e del rubare) si è com­prato la città.

 

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