“Puliamo l’alveo dei fiumi”

Articolo di Giorgio Nebbia pubblicato con questo titolo il 14 novembre su Eddyburg.

 Immagine.Giorgio nebbia

Giorgio Nebbia

Tutte le alluvioni portano il nome di un torrente o di un fiume. 

La natura, milioni di anni fa, ha predisposto i fiumi e i torrenti per far arrivare al mare l’acqua delle piogge lungo la strada di minore resistenza ad ha predisposto intorno ai fiumi e ai torrenti degli spazi in cui le acque potessero espandersi nel loro cammino nel caso di piogge più intense.

Quando sono arrivate, le comunità umane hanno scoperto che l’alveo di un fiume o di un torrente è uno spazio economicamente prezioso e le strade, nel cercare i percorsi “più comodi”, si sono stese al fianco dei fiumi. 

Col passare dei secoli e sempre più intensamente negli ultimi 200 anni, lungo le strade sono cresciuti villaggi e città e zone agricole e industriali che lentamente si sono estesi sempre più vicino al fiume o torrente fino ad occuparne gran parte delle zone di espansione e dello stesso alveo.

Nello stesso tempo i prodotti dell’erosione delle valli, le scorie delle attività agricole e forestali e delle attività produttive e urbane hanno occupato l’alveo dei fiumi e torrenti diminuendo ulteriormente lo spazio in cui le acque possono muoversi.  

Ad ogni pioggia più intensa l’acqua cerca di arrivare al mare riappropriandosi degli spazi che la natura le aveva riservato e che sono stati imprudentemente occupati da edifici, terreni agricoli, strade, fabbriche, detriti, eccetera. 

Ben poco sono efficaci i tentativi di schiacciare i fiumi e i torrenti entro argini perché l’acqua spesso li spazza via con l’energia contenuta nel suo moto verso il mare.

L’unica ragionevole ricetta per rallentare la frequenza e i danni delle alluvioni, non potendo spostare le opere durature che li occupano, ormai consiste nel rimuovere dagli alvei dei fiumi e dei torrenti e dai fossi, lungo l’intero bacino idrografico, tutto quello che li ingombra e che frena il moto naturale delle acque.  

Subito

Le altre opere, rimboschimento, sistemazione dei versanti e divieti di edificazione nelle zone vicino alle acque in movimento, sono necessarie ma faranno sentire i loro effetti a distanza di tempo. “Puliamo l’alveo dei fiumi” può essere un programma di azione politica da attuare valle per valle, faticoso, subito col coinvolgimento delle comunità locali, col lavoro di disoccupati e immigrati, con un investimento di pubblico denaro da spendere oggi per evitare costi e dolori e morti domani.

Riferimenti. In questo articolo Giorgio Nebbia sostiene la tesi già proposta e pubblicata da eddyburg un anno fa  Un “esercito del lavoro” contro le cosiddette calamità naturali

 

AGGIORNAMENTO

Riportiamo di seguito i commenti all’articolo che sono stati pubblicati su Eddyburg.

Fausto Pardolesi · Lavora presso Regione emilia romagna servizio tecnico bacino fiumi romagnoli

io non sono d’accordo. puliamo da cosa l’alveo dei fiumi ? da tutto ciò che rallenta e frena? non è la soluzione. accelerando la velocità aumentano i rischia a valle. le piene devono essere laminate, rallentate e smaltite con velocità ridotta nel tempo. il fenomeno della piena è un volume che deve transitare lungo un condotto, vettore, alveo. se la velocità è alta, il tempo di transito è breve, il volume nell’unità di tempo è maggiore, il rischio cresce. servono quindi ampi spazi lasciati al fiume. servono manutenzioni alla vegetazione selettive perché il trasporto di legname flottante non sia eccessivo e crei troppi ostacoli (dighe) in corrispondenza dei ponti, vanno tolti gli abusi. ma soprattutto andrebbero delocalizzate tutte le infrastrutture e insediamenti che occupando i fondovalle trasformano le normali e fisicamente necessarie espansioni delle piene in tragedie

 

pierpaolopoggio (ha effettuato l’accesso tramite yahoo)

A proposito degli interventi da fare o non fare nei nostri corsi d’acqua per scongiurare le alluvioni porto una testimonianza legata ad un territorio preciso, l’Ovadese, tra Alessandria e Genova, basandomi solo sull’esperienza e con la premessa essenziale che c’è una notevole differenza tra i torrenti e i fiumi. Ovada è situata nel punto del passaggio da torrente a fiume dello Stura che si unisce nell’Orba, il quale, a sua volta, conclude il suo percorso torrentizio poco a monte di Ovada. I torrenti vanno sicuramente puliti, trascinano giù di tutto in un alveo ristretto, senza possibilità di espansione. Per i fiumi, i quali pure vanno puliti dei detriti (di ogni genere, non solo vegetazione), è sicuro che consentire la possibilità di espandersi è fondamentale, questo vale in modo evidente per il Po, non basta…no solo gli argini. Il punto cruciale è però che viviamo in un sistema di capitalismo predatorio con uffici pubblici sempre più incapaci o corrotti. Esemplifico: l’anno scorso il Comune ha fatto una gara di oltre 300.000 e. per rafforzare l’arginatura di una sponda. Ho prestato attenzione ai lavori: hanno movimentato massi giganteschi, non so dove prelevati, deviato il corso del torrente, in periodo di secca, utilizzando un grande tubo in ferro, hanno variamente movimentato i massi sulle sponde: risultato alla prima piena consistente è andato tutto all’aria, lo Stura ha trascinato la condotta in ferro decine di metri a valle. L’altra questione sono i cavatori di ghiaia, mestiere che ha consentito ai più furbi di accumulare grandi patrimoni, sempre in combutta con gli uffici preposti al controllo e alle concessioni . Alla base c’è però la perdita di contatto-controllo della popolazione rispetto all’ambiente in cui vive. Ovada da questo punto di vista è terribile, gli ovadesi vivono in mezzo a due corsi d’acqua ma li ignorano totalmente, se potessero li coprirebbero, come hanno fatto a Genova con il Bisagno (creando un problema che dovrebbe suscitare qualche curiosità, ma tutto verrà dimenticato sino alla prossima, puntuale, alluvione). Non è dappertutto così. Un’inversione di tendenza è possibile, anche perché la pedagogia delle catastrofi (K.Lorenz) sta purtroppo facendosi stringente. Ma la questione è piuttosto grossa e il discorso diventerebbe troppo lungo: ha a che fare, da un lato, con la fine del mondo contadino, dall’altro con la mancanza di una effettiva consapevolezza della portata della crisi ecologica. Pier Paolo Poggio.

 

Maurizio Consoli · Socio fondatore presso Terre.it srl spinoff UNICAM

Questo è un ulteriore esempio dell’ignoranza imperante in Italia sulla gestione degli alvei fluviali. Le piante in alveo non sono il problema; le cause sono ben altre e il commento competente di Perdolesi che sottoscrivo in pieno , ne da una spiegazione esaudiente. Capisco che è più semplice dare la colpa alla manutenzione idraulica onde evitare di assumersi la colpa di una gestione del territorio miope e legata esclusivamente alla salvaguardia dell’aspetto economico delle varie “lobbies” di turno. Chiedete ai sindaci quando le varie pianificazioni sovraordinate inserivano delle tutele ambientali nel proprio comune lungo i fiumi come reagivano….

 

Enrico Ottolini · Lavora presso Libero professionista

Mi permetto, per una volta di non essere d’accordo con Giorgio Nebbia. Qui rischia di cadere nel luogo comune che negli ultimi decenni è servito da alibi per non avviare una seria riqualificazione fluviale. Sono d’accordo con Fausto Pardolesi e invito tutti a riflettere su quello che abbiamo visto nelle ultime settimane nei nostri fiumi. L’abbondanza di tronchi e materiale vegetale viene dagli alvei o da interi versanti che sono franati e da golene che troppo raramente vengono inondate a causa di un’eccessiva canalizzazione?

Sauro Turroni · Self-employed presso Me stesso

mi spiace ma le tesi qui rappresentate sono errate. A meno che non si parli di demolire edifici e capannoni !

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