I vizi di legittimità costituzionale che ancora rimangono nello “Sblocca Italia”

Sabato 6 dicembre 2014 presso il “Cantiere Sottosopra” in via dei Mille 1a di Capena (RM) si è svolta l’assemblea pubblica “Sblocca Italia: quale futuro per l’acqua pubblica ed i beni comuni?”.

Immagine.Convegno a Capena del 6 dicembre 2014

Immagine.Bosi a Capena.1

Riportiamo l’intervento del Dott. Arch. Rodolfo Bosi, Responsabile nazionale di VAS per Parchi e Territorio e responsabile del Circolo Territoriale di Roma di VAS.

Immagine.Bosi a Capena

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Ringrazio gli organizzatori di questa assemblea per l’invito che mi è stato fatto a parteciparvi e che ho accettato molto volentieri perché mi ha stimolato ad analizzare in modo ancor più approfondito la Legge n. 164 dell’11 novembre 2014 con cui è stato convertito il Decreto-Legge n. 133 del 12 settembre 2014, meglio noto come “Sblocca Italia” che era formato da 45 articoli suddivisi in 10 Capi e che ha dettato delle «Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive». 

Il confronto tra il testo iniziale emanato dal Governo ed il testo finale approvato dal Parlamento ha permesso di chiarire a me steso, prima ancora che a chi oggi mi sta ascoltando, la portata delle corpose modifiche ed integrazioni apportate soprattutto dalla Commissione Ambiente della Camera, oltre che dalla Commissione Bilancio: il 24 ottobre scorso la Camera dei Deputati ha poi accordato la fiducia al Governo posta sul nuovo testo, come da ultimo modificato dalla Commissione, approvandolo definitivamente il successivo 30 ottobre. 

Come dovrebbe essere già noto, contro il decreto iniziale è esplosa una marea di critiche che hanno portato a scrivere e pubblicare in tempi strettissimi un instant book dal titolo “Rottama Italia”: è composto da 16 interventi per la tutela del territorio, la legalità e per un futuro sostenibile ed ha la dichiarata finalità di spiegare «perché il decreto Sblocca-Italia è una minaccia per la democrazia e per il nostro futuro». 

Fra gli autori dei 16 interventi fortemente critici ci sono l’ex Vice Presidente della Corte Costituzionale Paolo Maddalena, l’ex Ministro Massimo Bray, l’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis, lo storico dell’arte moderna Tomaso Montanari, gli urbanisti Vezio De Lucia e Paolo Berdini ed il Presidente di Slow Food Carlo Petrini. 

Contro il decreto Sblocca Italia il 15 e 16 ottobre scorsi si è svolto un presidio davanti a palazzo di Montecitorio, a cui hanno partecipato a nome di VAS il presidente Guido Pollice ed il sottoscritto, che hanno manifestato a fianco fra l’altro di Augusto De Sanctis a capo dei militanti del Forum Italiano dei Movimenti dell’Acqua

Nei giorni successivi la Commissione Ambiente della Camera ha completato l’esame del testo originario del decreto Sblocca Italia, apportandovi la bellezza di più di 200 modifiche ed integrazioni a ben 38 dei 45 articoli originari, a cui sono stati aggiunti per di più addirittura altri 17 nuovi articoli. 

Con la legge n. 164 dell’11 novembre 2014 sono stati modificati molti provvedimenti normativi fra cui in particolare:

  • il Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163);
  • le Norme in materia ambientale (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152);
  • il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380);
  • il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).
  • le Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (legge 7 agosto 1990, n. 241).

Il testo così emendato non è stato più ulteriormente modificato, perché dopo la sua approvazione definitiva da parte della Camera dei Deputati ha avuto anche il sì del Senato, arrivato nella serata del 5 novembre scorso, alla ripresa della seduta dopo la protesta dei parlamentari del M5S, facendo toccare al governo di Matteo Renzi il record delle 29 fiducie fin lì incassate: dal 1996 mai nessun esecutivo aveva fatto ricorso in maniera così massiccia a questa procedura. 

Il confronto tra il testo iniziale emanato dal Governo, tra le critiche portate ai diversi suoi articoli, tra il testo definitivo della legge n. 164 dell’11 novembre 2014, pubblicato sul n. 262 della Gazzetta Ufficiale di pari data, e tra il testo che è stato successivamente coordinato [riportato nel link con evidenziate in giallo sia tutte le parti aggiunte che quelle soppresse] mi ha permesso di fare una valutazione di quali e quante critiche siano state recepite, migliorando oggettivamente il provvedimento legislativo, e di quali e quante censure siano invece rimaste del tutto inascoltate, mantenendo un testo che continua così a presentare evidenti vizi di legittimità costituzionale. 

Tengo a sottolineare che la mia valutazione è di carattere tecnico e giuridico e non certo “politico”, dal momento che come rappresentante di una associazione ambientalista debbo essere sempre al di fuori ed al di sopra di tutte le forze politiche, per cui ci sarebbero state le stesse critiche anche se ad emanare la stesso provvedimento legislativo fosse stato un qualunque altro Governo di turno ed un diverso Parlamento. 

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Fra gli aspetti oggettivamente positivi e ad ogni modo migliorativi debbo riconoscere l’introduzione del Regolamento edilizio unico (art. 17-bis) inserito nella prima versione del decreto ma poi saltato ed ora reintrodotto. 

Il Governo, le regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale collaborazione dovranno concludere un accordo in sede di Conferenza unificata «per l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo al fine di semplificare ed uniformare gli adempimenti». 

Questo nuovo regolamento costituirà il «livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale».

In sostanza, sarà una base a cui tutti i Comuni si dovranno attenere per poi costruire le loro integrazioni.

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L’altro aspetto positivo riguarda le modifiche pensate per Genova e casi analoghi, incamerate nell’articolo 9, dove è stato apportato un emendamento che stabilisce che le «esigenze imperative connesse a un interesse generale», quali sono «quelle funzionali alla tutela della incolumità pubblica», non potranno più in futuro essere bloccate da sospensive del TAR, per cui si dovranno comunque lasciare avanzare i cantieri.

In pratica il tema dell’incolumità pubblica non potrà tutelare più di tanto i diritti di chi fa ricorso. 

In aggiunta, viene stabilita un’importante eccezione alle regole del Codice appalti per i lavori urgenti individuati da Palazzo Chigi: in caso di ricorso contro l’aggiudicazione, con richiesta di sospensiva, il contratto potrà essere ugualmente firmato, e non dovrà essere congelato, come previsto oggi.

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Un altro aspetto abbastanza positivo riguarda la semplificazione delle procedure in materia di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, con esclusione dal patto di stabilità interno (art. 34), concesso esplicitamente per l’anno 2015 al Comune di Casale Monferrato (art. 33-bis).

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Vediamo ora, sempre per sommi capi, i vizi di legittimità costituzionali che sono invece rimasti nella legge n. 164 dell’11 novembre 2014, partendo dal tema principale di questa assemblea che è quello del futuro dell’acqua pubblica.

1 – Futuro dell’acqua pubblica

Lasciando il dovuto spazio a chi interverrà dopo di me sullo stesso argomento, oltre a chi l’ha già trattato precedendomi, mi limito a ribadire che secondo il testo originario veniva soppresso l’art. 150 del Codice dell’Ambiente ed introdotto l’art. 149-bis relativo all’Affidamento del servizio, per far sì che l’Autorità d’ambito venga sostituita dall’Ente di governo dell’ambito, individuato dalla Regione per ciascun Ambito Territoriale Ottimale (ATO), a cui debbono partecipare obbligatoriamente gli enti locali ricadenti nel medesimo ATO: a questo “Ente di governo dell’ambito” viene trasferito per 30 anni l’esercizio delle competenze spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, con l’evidente rischio di una sua più o meno totale privatizzazione del servizio, in totale difformità del risultato del referendum sull’acqua bene pubblico.

Riporto la critica fatta al riguardo da Marco Bersani in un articolo pubblicato il 29 ottobre scorso: “Con lo «sblocca Ita­lia» — piano di cemen­ti­fi­ca­zione deva­stante del paese, alla fac­cia delle lacrime di coc­co­drillo sul suo dis­se­sto idro­geo­lo­gico — si è impo­sto il con­cetto dell’unicità della gestione del ser­vi­zio idrico den­tro ogni ambito ter­ri­to­riale otti­male (Ato) in cui è diviso il ter­ri­to­rio, but­tando a mare il pre-esistente con­cetto di uni­ta­rietà della gestione, che per­met­teva di man­te­nere, inte­gran­dola, la plu­ra­lità delle gestioni esi­stenti in ogni territorio. Se a que­sto si aggiunge il fatto che ogni regione sta ridi­se­gnando gli ambiti, ten­dendo sem­pre più spesso a farli coin­ci­dere con l’intero ter­ri­to­rio regio­nale, il risul­tato appare chiaro: al ter­mine di que­sto pro­cesso, vi sarà un unico sog­getto gestore per regione, e sarà gio­co­forza il pesce più grosso che annet­terà tutti i pesci più pic­coli.

Con gli emendamenti apportati dalla Commissione Ambiente si è ritenuto di sciogliere la questione dell’affidamento diretto del servizio nell’ambito dell’ATO integrando il 1° comma dell’art. 149-bis con un testo secondo cui “l‘affidamento diretto può avvenire a favore di società in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione in house, partecipate esclusivamente e direttamente da enti locali compresi nell’ambito territoriale ottimale”: è stata soppressa inoltre la prevista durata di 30 anni.

Malgrado la pesante revisione dell’articolo 7 sulla governance in materia di risorse idriche, non sembra essere stato affatto scongiurato il rischio della privatizzazione della gestione delle risorse idriche.

Il testo originario, rimasto invariato, prevedeva fra l’altro una “Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico appositamente istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri”, che è stata di fatto anticipata dalla Legge della Regione Campania n. 16 del 7 agosto 2014 (collegato alla legge di stabilità regionale 2014) che ai comma 92 e 93 primo capoverso dell’art. 1 ha testualmente previsto: “… dalla Regione Campania nelle more dell’approvazione della legge per il riordino del Servizio Idrico Integrato, al fine di agevolare l’attuazione degli atti di pianificazione ed i relativi procedimenti amministrativi riguardanti il ciclo integrato delle acque, è costituita, presso la Giunta regionale della Campania, …, una Struttura di Missione con il compito istituzionale di coordinamento dei piani strategici regionali finalizzati all’utilizzazione dei fondi regionali, nazionali ed europei, orientando gli investimenti ad una efficace ed efficiente gestione della risorsa idrica regionale, nonché assicurando il migliore raccordo con le autorità di bacino.. per gli aspetti inerenti la fruizione e la gestione dl patrimonio idrico…”.

Con Deliberazione della Giunta Regionale n. 367 dell’8 agosto 2014 è stata istituita la struttura di missione “programmazione e gestione delle risorse idriche della Campania.

Il provvedimento si fonda sul maxiemendamento alla finanziaria regionale che il governo ha appena impugnato in via principale alla corte costituzionale: in realtà la delibera crea solo l’ufficio che poi provvederà a privatizzare.

Il governo con i propri atti chiaramente non contesta che si privatizza, ma che si violano le regole fissate a livello nazionale, dove è stabilito che la concessione delle fonti e del ciclo integrato è degli enti locali riuniti negli Ambiti Territoriali Ottimali (A.T.O.): la Regione Campania invece avoca a sé il potere, con l’obiettivo di decidere a chi dare la concessione esautorando i comuni.

Ma vi è di più, perché la Regione vuole addirittura dare la concessione senza gara.

Se in tal modo si affida la gestione a un’azienda speciale o un altro ente pubblico, si viene ad esautorare i comuni: per di più si prevede di affidare il servizio a privati violando le regole sulla concorrenza che possono essere fissate solo dal Parlamento e che la Regione Campania con la propria legge tenta invece di esautorare.

Il 21 novembre scorso è stato presentato un Ricorso conto la privatizzazione dell’acqua promosso da Legambiente, dalla Associazione Acqua Bene Comune (cd. Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua), dalla Associazione Verdi Ambiente e Società (V.A.S.), dalla Associazione COBAS Confederazione dei Comitati di Base, dalla U.S.B. (Unione Sindacati di Base) Federazione Campania e dalla Associazione Federconsumatori provinciale di Napoli, nonché da 27 singoli cittadini con in testa anche 5 parlamentari del Movimento 5 Stelle.

Passiamo ora a vedere con un sintetico volo pindarico le altri parti della legge n. 164/2014 che presentano ancora vizi di legittimità.

2 – linee ferroviarie Napoli-Bari e Palermo-Messina-Catania

Con riguardo alle linee ferroviarie Napoli-Bari e Palermo-Messina-Catania il testo originario dell’art. 1 prevedeva che l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, nominato commissario per la realizzazione dei due suddetti assi ferroviari, possa condividere con le altre amministrazioni coinvolte non una bozza, ma un progetto finale. 

Nel caso che esse ed in particolare le Soprintendenze non siano favorevoli, egli potrà decidere se i pareri avversi siano “regolari”, e quindi se tenerne conto o meno. 

Un potere privo di qualsiasi freno e controllo: se occorrerà bucare una montagna piena di amianto o spianare una città antica, ebbene si potrà fare. 

L’articolo 1 del decreto stabilisce che per le suddette ferrovie Napoli-Bari e Palermo-Catania un archeologo sia chiamato a valutare un progetto già definitivo, quando diventa assai complicato e costoso modificarlo. 

Un principio del genere è letale, perché una soprintendenza non potrà più respingere un progetto in quanto incompatibile con la tutela del territorio e dovrà invece comunque accettarlo. 

Di fatto la presenza dell’archeologo di una soprintendenza è puramente esornativa.

Nella norma suddetta c’è un doppio aspetto paradossale, perché da un lato si va “in deroga all’articolo 14-quater comma 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche e integrazioni” senza ritenere di modificarlo contestualmente, e dall’altro lato la ancor più  paradossale coincidenza che la Camera (ultima fra tutti i parlamenti europei) ha ratificato proprio nelle scorse settimane la Convenzione di Malta, un accordo sottoscritto nel 1992 che regolamentava proprio l’archeologia preventiva.

Secondo l’archeologo Filippo Coarelli «siamo di fronte a una contraddizione vistosa: quale delle due norme prevale, lo Sblocca-Italia o la Convenzione di Malta?». 

Per Maria Pia Guermandi, archeologa dell’Istituto Beni Culturali dell’Emilia Romagna, avviene «questo perché si procede a un sistematico ribaltamento delle gerarchie costituzionali: le esigenze del patrimonio devono cedere il passo sempre e comunque alle opere infrastrutturali, di cui l’archeologia sarebbe l’ostacolo più insidioso».

La scelta del Commissario sarebbe inoltre del tutto pro­ble­ma­tica per­ché «è evi­dente che c’è un sog­getto che ha inte­resse al com­pi­mento delle atti­vità che è anche sog­getto attua­tore pub­blico degli appalti».  

Dicesi con­flitto di inte­ressi. 

La Commissione Ambiente della Camera ha soppresso la deroga, ripristinando per tale caso l’applicazione dell’art. 14-quater comma 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che rimette la decisione ad una espressa deliberazione del Consiglio dei Ministri con natura di atto di alta amministrazione: ha ribadito la natura dell’atto di alta amministrazione al successivo art. 25, stabilendo per di più che il Consiglio dei Ministri deve comunque motivare “un’eventuale decisione in contrasto con il motivato dissenso”.

Oltre al rischio che permane comunque nel caso che anche il Consiglio dei Ministri di turno ritenga che le opere infrastrutturali non debbano cedere il passo alle esigenze di tutela del nostro patrimonio culturale, in violazione dell’art. 9 della Costituzione, rimane oltretutto il conflitto di interessi nella identificazione del controllore con il controllato.

3 – Sblocco degli interventi sugli aeroporti di interesse nazionale

Il comma 11 dell’art. 1 del testo originario prevedeva che “per consentire l’avvio degli investimenti previsti nei contratti di programma degli aeroporti di interesse nazionale …. sono approvati, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, …, i contratti di programma sottoscritti dall’ENAC con i gestori degli scali aeroportuali di interesse nazionale”.

Con la modifica apportata dalla Commissione Ambiente della Camera i contratti di programma devono essere stipulati entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto e non più dall’entrata in vigore del decreto, come inizialmente previsto. 

La suddetta formulazione rimetterebbe in gioco anche l’ampliamento dell’aeroporto di Fiumicino che la Società Aeroporti di Roma (AdR) intende realizzare anche all’interno della Riserva Statale del Litorale Romano: guarda caso, dopo l’approvazione dello Sblocca Italia si sono viste in azione numerose trivellatrici per carotaggi e apparecchiature per livellazioni  che hanno operato per conto della AdR al di fuori del sedime, nell’area interessata al progetto di raddoppio “Fiumicino Nord” che – secondo il DPCM del 21.12.2012 – potrebbe venire realizzato ma solo dopo il 2021, una volta raggiunto il  traffico di 51 milioni di passeggeri/anno.

Tali interventi sono stati realizzati in assenza di autorizzazione da parte del Comune di Fiumicino (Ente gestore della Riserva) e da parte della Commissione di Riserva.

4 – Reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga

Restando in tema di tutela del paesaggio, l’art. 6 (che riguarda la realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga) autorizza l’installazione o la modifica di impianti delle reti di comunicazione elettronica o di impianti radioelettrici, da eseguire su edifici e tralicci preesistenti, che comportino la realizzazione di pali di supporto per antenne di altezza non superiore a 1,5 metri e superficie delle medesime antenne non superiore a 0,5 metri quadrati, anche se gli edifici ed i tralicci ricadono in aree soggette a vincolo paesaggistico, senza quindi l’obbligo di rilascio della “autorizzazione paesaggistica” e quindi in deroga quindi all’art. 146 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

5 – Esenzione dall’obbligo di rilascio della autorizzazione paesaggistica per interventi di lieve entità

Sempre in materia di tutela del paesaggio l’art. 25 modifica il comma 2 dell’art 12 della Legge n. 106/2014 che riguarda le “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”.  

Il citato comma 2 art. 12 prevede di fatto l’emanazione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto n. 83/2014, di un regolamento, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, d’intesa con la Conferenza unificata, con cui dettare disposizioni modificative e integrative al regolamento di cui all’articolo 146, comma 9, ultimo periodo, del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, e successive modificazioni, al fine di ampliare e precisare le ipotesi di interventi di lieve entità, nonché allo scopo di operare ulteriori semplificazioni procedimentali sempre in riferimento ad interventi di lieve entità, per i quali l’autorizzazione paesaggistica non deve essere richiesta.  

Adesso, con il Decreto Sblocca Italia, il Legislatore precisa che con il medesimo regolamento dovranno essere altresì individuate:

  1. a) le tipologie di interventi per i quali l’autorizzazione paesaggistica non è richiesta, ai sensi dell’articolo 149 del medesimo Codice dei beni culturali e del paesaggio, sia nell’ambito degli interventi di lieve entità già compresi nell’allegato 1 al suddetto regolamento di cui all’articolo 146, comma 9, quarto periodo, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, sia mediante definizione di ulteriori interventi minori privi di rilevanza paesaggistica; 
  2. b) le tipologie di intervento di lieve entità che possano essere regolate anche tramite accordi di collaborazione tra il Ministero, le Regioni e gli enti locali, ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, con specifico riguardo alle materie che coinvolgono competenze proprie delle autonomie territoriali. 

Ciò significa che, in concreto, fintanto che non vedrà la luce il citato regolamento, non ci saranno ulteriori ipotesi di semplificazione nell’iter dell’autorizzazione paesaggistica né nuovi casi di esclusione in ragione della scarsa rilevanza degli interventi. 

6 – novità introdotte in materia di edilizia privata

Passando ora alle novità introdotte dal decreto Sblocca Italia che non configurano veri e propri vizi di legittimità, vediamo le novità introdotte in materia di edilizia privata, che sono sostanzialmente le seguenti: 

  • inserimento della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (in sigla SCIA) accanto alla denuncia di inizio attività, modifica ormai doverosa, visto il ruolo riconosciuto alla SCIA rispetto alla preesistente DIA, secondo cui sono realizzabili mediante SCIA e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista (il quale, ovviamente, se ne assume la piena responsabilità) le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione, ma a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore. 
  • Introduzione del permesso di costruire convenzionato, strumento in realtà già esistente in alcune legislazioni regionali come ad es. in Lombardia, in Piemonte ed in Emilia Romagna. In concreto, quando le esigenze di urbanizzazione possono essere soddisfatte, sempre sotto controllo comunale, con una modalità semplificata, si può richiedere il permesso di costruire convenzionato: nella convenzione sono previsti gli obblighi in capo al richiedente legati al rilascio del titolo. I comuni potranno farvi ricorso, «salva diversa previsione regionale».  
  • il permesso si costruire convenzionato può prevedere modalità di attuazione per stralci funzionali, cui si collegano gli oneri e le opere di urbanizzazione da eseguire e le relative garanzie.

7 – Trivellazioni

Lo Sblocca Italia, agli articoli 36, 37 e soprattutto 38 riconosce interesse strategico e carattere di pubblica utilità e urgenza alle attività legate allo sfruttamento di gas e petrolio anche nei fondali marini. 

Secondo l’articolo 826 del Codice Civile, in Italia i giacimenti di idrocarburi sono “patrimonio indisponibile” dello Stato che non si impegna direttamente nella ricerca e nel loro sfruttamento, ma che lascia in concessione ad imprese private.  

Una società petrolifera titolare di una concessione di coltivazione di idrocarburi è quindi soggetta al rispetto dei programmi di lavoro, al pagamento di canoni proporzionati alla superficie coperta dai titoli minerari e al pagamento di royalties proporzionate alle quantità di idrocarburi prodotte.  

Le royalties sono calcolate rispetto a dove il giacimento si trova e a cosa si estrae.  

Per tutte le concessioni c’è una quota di esenzione: ad esempio le prime 50mila tonnellate di petrolio estratte in mare non sono soggette a royalties, che sono del 4% per tutto ciò che viene estratto in eccesso rispetto a quel limite.  

I petrolieri, e i politici che gli sono amici, parlano spesso di royalties strabilianti versati alle comunità locali, riflettendo miraggi di improbabili El Dorado. 

La sola Basilicata è così interessata in terra ferma da 18 istanze di permessi di ricerca, 11 permessi di ricerca e 20 concessioni di coltivazione di idrocarburi per circa i 3/4 del territorio. 

Dal sottosuolo della Basilicata oggi si estrae oltre il 70% del petrolio in Italia e se andassero in porto tutte le nuove richieste, le aree in concessione alle compagnie petrolifere occuperebbero oltre il 50% del territorio regionale della Basilicata.

Dopo Craco e Brindisi di Montagna, anche i sindaci dell’Area Programma del Vulture Alto Bradano si sono riuniti in assemblea permanente e pronunciati contro le trivellazioni in Basilicata. 

L’altro ieri, 4 dicembre 2014, il Consiglio regionale ha deliberato che la Regione Basilicata ricorrerà all’impugnazione dell’articolo 38 dello Sblocca Italia davanti alla Corte Costituzionale, ma solo se non verrà ripristinata la collaborazione tra Stato e Regione: Nello specifico, si impegna il presidente della giunta regionale ad “impugnare l’articolo 38 della legge 164/2014 qualora non vengano ripristinate le prerogative regionali e quindi il principio di leale collaborazione tra Stato, Regione ed enti locali in una norma di modifica che potrebbe trovare accoglimento nella legge di stabilità 2015 ovvero nella legge Milleproroghe“. 

I vescovi dell’Abruzzo e Molise hanno espresso a loro volta la viva preoccupazione riguardo al riproporsi di progetti di sfruttamento petrolifero di vaste aree dei nostri territori e delle nostre coste denominati ’Ombrina 2’, ’Elsa’, ’Rospo mare’, da parte della multinazionale britannica Rockhopper Exploration.  

Tali progetti, a suo tempo abbandonati per la contrarietà delle popolazioni, saranno resi possibili ora dallo Sblocca Italia. 

Dopo l’approvazione definitiva in Senato, l’On. Andrea Cioffi del M5S ha dichiarato riguardo alle trivellazioni che “il governo, con lo Sblocca italia, le rinnova senza indicare per quale numero di anni e senza una gara e questo è un regalo a chi quelle concessioni già le possiede perpetuando il regalo fatto già dal governo Berlusconi. La percentuale di guadagno per lo Stato, sui proventi netti dei pedaggi, sarà solo del 2,4%. Abbiamo chiesto il documento con lo schema di queste concessioni e scopriamo che viene dato per approvato con lo Sblocca Italia. Il governo vuole farci compiere un falso in atto pubblico“.  

8 – gasdotti di importazione di gas naturale dall’estero

Un analogo discorso vale per lo sfruttamento di gas naturale, consentito dall’art. 7, secondo cui anche i gasdotti di importazione di gas naturale dall’estero rivestono carattere di interesse strategico e costituiscono una priorità’ a carattere nazionale e sono di pubblica utilità, nonché’ indifferibili e urgenti”: fra questi c’è il Gasdotto Trans-Adriatico (conosciuto con l’acronimo inglese di TAP, Trans-Adriatic Pipeline) che è un progetto volto alla costruzione di un nuovo gasdotto che porterà il gas dall’Azerbaigian in Europa attraverso il Salento, con approdo sulla magnifica spiaggia di Melendugno (Lecce). 

Dopo le violente proteste dei Sindaci la Commissione Ambiente della Camera ha aggiunto un comma che dispone come contentino la «previa acquisizione del parere degli enti locali ove ricadono le infrastrutture, da rendere entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali il parere si intende acquisito».

9 – Inceneritori e scarico dei rifiuti in altre Regioni

Altra parte del provvedimento contestata da diversi Comuni e Regioni è stato l’art. 35 che prevede l’aumento di capacità degli inceneritori esistenti, la loro trasformazione in impianti energetici e la possibilità di trattare rifiuti da altre Regioni senza la necessità di pareri degli Enti locali, con un conseguente “pendolarismo” dei rifiuti da una Regione all’altra dell’italia.

Contro di esso si é pronunciata per prima la Giunta Regionale della Lombardia, secondo cui “l’articolo 35 dice che chi non ha fatto il proprio dovere mettendo a posto il ciclo dei rifiuti potrà avvalersi degli impianti di altre regioni. È una cosa che non sta né in cielo né in terra”.

Ad essa si sono aggiunte le Regioni del Piemonte e della Puglia, oltre che il Comune di Forlì.

10 – Opere infrastrutturali incompiute

Un altro fronte di protesta ha riguardato l’enorme consumo di suolo che si verificherebbe con la realizzazione di opere infrastrutturali incompiute per lo più del tutto inutili, per le quali viene consentito di riconvocare la Conferenza dei Servizi, riducendone a metà i tempi e prevedendo in caso di motivato dissenso da parte di qualche Soprintendenza di applicare il comma 3 dell’art. 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, che rimette la decisione ad una espressa deliberazione del Consiglio dei Ministri con natura di atto di alta amministrazione.

Nel testo originario del decreto si prendevano in considerazione soltanto le opere segnalate dai sindaci in riposta alla sollecitazione del premier Matteo Renzi della scorsa primavera: nel testo finale apporvato le norme sulla semplificazione delle procedure e i pagamenti delle opere incompiute si applicano anche ai “cantieri interrotti” segnalati dalle Regioni e riportati nell’anagrafe curata dal ministero delle Infrastrutture.

Sui pagamenti si precisa inoltre che, quelli finanziati grazie allo svincolo dal patto di stabilità, devono riguardare prioritariamente scuole, impianti sportivi, difesa del suolo e sicurezza stradale.

È rimasta ad ogni modo la defiscalizzazione per oltre 10 miliardi in project financing riguardo al vecchio progetto della autostrada Orte – Mestre, che risale al 2003 e che è del tutto inutile se si guardano i flussi di traffico su quella direttrice, come se la defiscalizzazione non fosse un onere e un peso per i conti dello Stato e quindi peri cittadini, tanto che la stessa Corte dei Conti ha già sollevato più di un fondato dubbio per questi artifizi contabili.

In conto allo Stato vanno messi 1,8 miliardi di defiscalizzazioni previste nel piano finanziario della Orte-Mestre, che avrebbe se realizzata una lunghezza sarà di 396 chilometri, con ponti e viadotti che si svilupperanno per 139 chilometri, gallerie naturali per 51 chilometri e le gallerie artificiali per 13.

Verrebbero realizzati 20 cavalcavia, 226 sottovia, 83 svincoli, 2 barriere di esazione e 15 aree di servizio

Il consumo di suolo è stimato tra i 600 e i 700 ettari al 90% agricoli.

Con que­sto sistema le opere dichiarate «di inte­resse nazio­nale» sono diven­tate 348: sono troppe, e spe­cie in un periodo di crisi occor­re­rebbe con­cen­trarsi su quelle dav­vero impor­tanti e can­cel­lare opere utili solo agli affa­ri­sti che le hanno inven­tate.

11 – Concessioni autostradali

Un altro fronte di scontro si è aperto sulle concessioni delle autostrade (art.5), di cui la norma originaria impe­diva il rin­novo delle con­ces­sioni mediante una gara nel caso che i concessionari propongano investimenti nella rete: in tal modo il «mer­cato» delle auto­strade resterebbe in mano ai mono­po­li­sti. 

L’articolo 5 è stato cri­ti­cato dall’Autorità dei tra­sporti e dall’Antitrust : la prima ha par­lato di «un ritorno a pro­ce­dure del pas­sato incen­trate sulla deter­mi­na­zione in via ammi­ni­stra­tiva di canoni, pedaggi e tariffe di accesso alle infra­strut­ture di tra­sporto», mentre l’Antitrust ha sol­le­vato dubbi di anticoncorrenzialità.

Il 17 ottobre scorso Bru­xel­les ha aperto una pre-procedura di infra­zione sull’articolo 5 del decreto ed ha chiesto all’esecutivo di spie­gare la norma che per­mette ai con­ces­sio­nari auto­stra­dali di pro­porre la modi­fica dei rap­porti con­ces­sori esi­stenti sulla base di nuovi piani economico-finanziari. 

Il testo definitivo approvato, così come modificato dalla Commissione Ambiente della Camera ritiene di aver trovato un compromesso prevedendo che per la proroga del rapporto concessorio servirà il via libera dell’Unione europea. 

12 – Comprensorio Bagnoli-Coroglio

Un altro fronte di scontro è scoppiato sul comprensorio Bagnoli-Coroglio (art. 33).

Nel testo originario si introduce una disciplina innovativa che va ad integrare quella del testo unico dell’ambiente (che nell’art. 252 prevede i “siti di interesse nazionale” individuati secondo specifici criteri di selezione assai restrittivi, attribuendo l’identificazione e la procedura di bonifica alla competenza del ministero dell’ambiente) e opererà dunque come corpo normativo a regime.

Scavalcate le attribuzioni del ministero dell’ambiente, l’art. 33 rimette la individuazione delle aree di rilevante interesse nazionale alla deliberazione del consiglio dei ministri (ma non indica alcun criterio che orienti la speciale selezione al riguardo, a differenza della stringente previsione dell’art.252 del testo unico) ed è al Governo attraverso i suoi commissari straordinari che spettano le funzioni amministrative del procedimento di bonifica ambientale “per assicurarne l’esercizio unitario” “sulla base dei principi di sussidiarietà e adeguatezza”. 

Secondo Giovanni Lo Savio «la rottura dell’ordine costituzionale di attribuzione della potestà legislativa è operata dall’art. 33 là dove esso si propone di disciplinare, nelle medesime forme e contestualmente alla bonifica ambientale, “la rigenerazione urbana” delle aree che saranno dichiarate “di rilevante interesse nazionale”, costruendo un modello normativo speciale di pianificazione territoriale finalizzato, oltre al risanamento ambientale, “alla riconversione delle aree dismesse e dei beni immobili pubblici, al superamento del degrado urbanistico ed edilizio, alla dotazione dei servizi personali e reali e dei servizi a rete, alla garanzia della sicurezza urbana.

Si tratta dunque di una dichiarata invasione nella potestà legislativa di “governo del territorio” che spetta alle regioni nella materia di legislazione concorrente, essendo riservata alla legislazione dello Stato la sola “determinazione dei principi fondamentali”(art. 117, comma 3, Cost.). 

L’art. 33 rifiuta di dettare principi fondamentali di orientamento e vincolo per la legislazione regionale e direttamente interviene per costruire uno speciale strumento di governo del territorio rigidamente accentrato e gestito da “commissario straordinario del governo” e “soggetto attuatore”, con i contenuti propri della pianificazione urbanistica, come “localizzazione delle opere infrastrutturali per il potenziamento della rete stradale e dei trasporti pubblici e le altre opere di urbanizzazione primaria e secondaria funzionale agli interventi pubblici e privati”, e perfino “la previsione urbanistico-edilizia degli interventi di demolizione e ricostruzione e di nuova edificazione e mutamento di destinazione d’uso dei beni immobili, comprensivi di eventuali premialità edificatorie”; “fermo restando il riconoscimento degli oneri costruttivi in favore delle amministrazioni interessate”. 

E, sigillo di chiusura del sistema, l’approvazione di un tale programma costituisce variante urbanistica automatica della vigente pianificazione

Lo Savio rileva un 2° vizio di legittimità costituzionale, perché la considerazione di quei contenuti dice che insieme è offesa la titolarità di funzioni amministrative proprie di cui i Comuni sono titolari (art. 118, comma 2, Cost.). 

L’espresso richiamo (comma 2 dell’art. 33) alla esigenza di esercizio unitario della funzione, perciò avocata al più alto livello della amministrazione (al Governo dello Stato!), “sulla base dei principi di sussidiarietà e adeguatezza”, se mai possa valere per gli interventi di bonifica ambientale dagli inquinamenti, non può dare legittimo fondamento alla espropriazione della forse più qualificante, anzi fondante, attribuzione comunale di pianificazione territoriale, la potestà urbanistica, che ben può, e quindi deve, essere esercitata nei modi ordinari pure sulle aree oggetto di bonifica ambientale».

Riporto al riguardo anche la critica al testo originario dell’urbanista Vezio De Lucia, secondo cui il decreto ignora che il comune di Napoli disponga di un progetto urbanistico regolarmente approvato e vigente il decreto ed «accredita anzi il convincimento che si sia all’anno zero e si debba cominciare daccapo. Determinando così le condizioni per una grande abbuffata, restituendo il comando agli energumeni del cemento armato – comunque vestiti – affossando per sempre le speranze dei napoletani. La natura eversiva dell’operazione Bagnoli è confermata dalle procedure per l’approvazione dei programmi e dei progetti per la bonifica e la rigenerazione urbana (commi 9 e 10)».

Il testo finale così come emendato dalla Commissione Ambiente della Camera ritiene di aver superato i vizi di legittimità disponendo semplicemente che «ai fini della definizione del programma di rigenerazione urbana il Soggetto Attuatore acquisisce in fase consultiva le proposte del comune di Napoli, con le modalità e nei termini stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri

Il piano di rigenerazione è il documento con il quale, sia nel caso di Bagnoli che nelle altre ipotesi future, viene organizzata la riconversione delle aree dismesse e il loro risanamento ambientale. Il soggetto attuatore, che è incaricato di seguire direttamente il piano di rigenerazione, «esamina le proposte del Comune di Napoli, avuto riguardo prioritario alle finalità del redigendo programma di rigenerazione urbana ed alla sua sostenibilità economico-finanziaria». 

Nel caso in cui le sue osservazioni non vengano accolte, l’amministrazione potrà riproporle durante la Conferenza di servizi. 

In caso di mancato accordo, sarà il Consiglio dei ministri a scavalcare tutti, con la sua decisione.

La Commissione Ambiente della Camera ha individuato come già detto precedentemente una nuova ipotesi alla quale sarà applicato il modello pensato per Bagnoli: si tratta dell’area della ex Eternit di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria. 

Il finanziamento degli interventi per la bonifica dell’amianto da realizzare nel 2015 sarà svincolato dal patto si stabilità interno del Comune, ma dovrà avvenire entro il limite dei trasferimenti assegnati alla Regione Piemonte.

13 – Immobili pubblici inutilizzati

Il testo originario prevedeva che l’accordo di programma «avente ad oggetto il recupero di immobili non utilizzati del patrimonio immobiliare pubblico, costituisce variante urbanistica» , nonché «variante di destinazione d’uso».

La Commissione Ambiente della Camera ha fra gli altri aggiunto un emendamento secondo cui il «hanno priorità di valutazione i progetti di recupero di immobili a fini di edilizia residenziale pubblica, da destinare a nuclei familiari utilmente collocati nelle graduatorie comunali per l’accesso ad alloggi di edilizia economica e popolare e a nuclei sottoposti a provvedimenti di rilascio per morosità incolpevole, nonché gli immobili da destinare ad autorecupero, affidati a cooperative composte esclusivamente da soggetti aventi i requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica.

È comunque rimasto il fatto che il patri­mo­nio di tutti gli ita­liani viene messo in mano alle lobby locali: a ven­derlo ci pen­serà la Cassa Depositi e Prestiti e la sua società immo­bi­liare SGR, ema­nazione della cul­tura di JP Mor­gan, società finanziaria con sede a New York , leader nei servizi finanziari globali che serve attualmente più di 90 milioni di clienti.

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Tengo in conclusione a mettere in evidenza che a mio giudizio lo scopo di questa assemblea e comunque di questo mio intervento non è certo quello di piangerci addosso in modo sterile ed improduttivo per il fatto che a legge ormai approvata i buoi sono ormai tutti scappati: non è affatto così e non è detta comunque l’ultima parola perché con le armi che ci mette a disposizione questo nostro Stato di diritto, laddove si ravvisano inaccettabili vizi di legittimità che non possono né debbono permanere in danno dell’interesse pubblico generale, si tratta di aspettare gli atti amministrativi che verranno emanati a qualunque livello in applicazione delle norme distorte della legge sullo Sblocca Italia, per impugnarli al TAR e cercare di convincere il Tribunale Amministrativo Regionale a chiedere alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sui vizi di legittimità anche da lui riconosciuti.    

 

Capena, 6 dicembre 2014

 

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