Articolo di Roberto Saviano pubblicato il 14 dicembre 2014 su “La Repubblica”. Roberto Saviano IN QUESTI GIORNI, dopo l’inchiesta “Mafia Capitale“, sono diventati tutti conoscitori di mafia. Non ho mai temuto i professionisti dell’antimafia, ma i dilettanti sì e ho sentito affermazioni talmente assurde che mi viene da pensare che chi le ha pronunciate non solo non conosce il fenomeno criminale, ma non conosce forse nemmeno il Paese. D’improvviso sembra stupirsi che le organizzazioni mafiose agiscano con alleanze imprenditoriali e politiche. Ma in quale Paese ha vissuto sino ad ora? Non solo Mafia Capitale ma anche la più recente inchiesta “Quarto Passo” in Umbria mostra come le organizzazioni siano in tempo di crisi la nuova e unica linea di credito all’impresa italiana. Chi sottovaluta il problema non riesce a capire quello che sta accadendo nel Paese, e allora decide che è meglio prendere in giro e sottovalutare. Il Pd sembra accorgersi solo ora del meccanismo di corruzione di cui molti suoi uomini erano protagonisti da molto tempo. Agisce costretto dalle inchieste giudiziarie quando avrebbe dovuto al contrario ispirare le inchieste. Beppe Grillo ha detto, a proposito di Mafia Capitale: «La parola mafia ci depista. Ci ricorda qualcosa che non c’è più. Oggi un’associazione mafiosa è fatta da professionisti, politici, magistrati, poliziotti; il mafioso non c’è neanche». Sono anni che si lotta per ribadire culturalmente che mafia significa invece proprio questo: impresa, borghesia imprenditoriale, rapporti con i media. Mi domando: ma secondo Grillo cosa sono state le organizzazioni criminali italiane sino a questo momento? Dei cafoni armati di fucile? Quindi secondo l’interpretazione di alcuni adesso, e solo adesso, la mafia sarebbe “diventata tridimensionale perché ci sono dentro politici, imprenditori, massoni, spacciatori“, e perché ha smesso di parlare calabrese, napoletano, lucano, casertano, siciliano? Queste sono semplificazioni inaccettabili. Ciò che mi viene da […]