Articolo di Luca Martinelli pubblicato con questo titolo il 3 febbraio 2015 su “Altraeconomia”. Venezia, in autunno, chiude alle cinque del pomeriggio. Vicino al Ponte di Rialto, è a quest’ora che gli ambulanti smontano i loro baracchini: mentre i turisti scemano camminando a testa alta, seguendo le indicazioni sulle calli (le indicazioni sono “Roma”, per piazzale Roma, o “Ferrovia”, per la stazione di Venezia Santa Lucia), i venditori si preparano per tornare a casa. Non tutti, però, ne hanno una: almeno sessanta, tra quelli che vivono nel centro storico, in realtà ne “occupano” una, e fanno parte dell’Assemblea sociale per la casa, la rete veneziana per il diritto all’abitare. “La crisi colpisce anche gli ambulanti che vendono le mascherine in San Marco – racconta Tommaso Cacciari, attivista del Laboratorio Occupato Morion – : molti non possono più permettersi un affitto”. È uno dei paradossi di questa città oggi tagliata su misura per i turisti: a Venezia le case ci sono, e sono vuote; il 30 giugno 2014, nel centro storico, vivevano appena 56.684 abitanti, 9.011 in meno rispetto al 2001. I veneziani, oggi, sono meno di quelli che vivevano in città nel 1631, un anno dopo la peste che decimò la popolazione, che scese da 141mila a circa 98mila persone. Questi dati li cita Salvatore Settis, che nel suo ultimo libro “Se Venezia muore” (Einaudi, 2014) scrive: “Una nuova peste si è insediata a Venezia, dagli anni Settanta del Novecento in qua”. Per spiegare come s’è declinata, questa peste, serve alzarsi sulla città, osservare la forma di pesce del centro storico di Venezia, spostare lo sguardo alle isole minori (Murano, Burano, Sant’Erasmo), e correndo al limite della Laguna osservare il cantiere infinito delle paratie del Mo.S.E. in costruzione. Il “Modulo sperimentale elettromeccanico” dovrebbe difendere Venezia e Piazza San Marco dall’acqua […]