A Roma, 17 febbraio 1600, la Santa Inquisizione condannava a morte Giordano Filippo Bruno. E’ stato un filosofo, scrittore e frate domenicano italiano. Il suo pensiero, inquadrabile nel naturalismo rinascimentale, si fondava sulle più diverse tradizioni filosofiche. Dopo 415 anni Vas Onlus, con queste poche righe, vuole ricordare rilanciare il Pensiero Libero di Giordano Bruno.
Archivi Giornalieri: 17 Febbraio 2015
Articolo di Arrigo Cipriani pubblicato con questo titolo il 13 febbraio 2015 su “Il Gazzettino”. L’ acqua alta allaga il Mose. Venerdì scorso, durante il picco della marea, ondate di imprevedibile altezza hanno allagato una galleria subacquea del Mose. L’acqua è penetrata attraverso la tromba delle scale e si è stabilizzata ad un’altezza di due metri sui tre che misura la galleria. Il vento piuttosto violento proveniva da bora e di solito da quella direzione le dighe foranee proteggono la laguna e quindi anche il Mose dalle onde del mare in burrasca. Se ci fosse stato vento di scirocco il moto ondoso sarebbe stato certamente più violento. Sui 6 miliardi spesi per la progettazione e la parziale realizzazione dell’imponente apparato, tutti abbiamo potuto constatare che forse un miliardo manca all’appello, però cinque sono lì a dimostrare l’altissima tecnologia del manufatto. Da quello che si è capito la galleria inondata è proprio quella che consente la manutenzione di tutto l’impianto delle cerniere delle paratoie. Questa inondazione della galleria comunque sta a dimostrare quanto sia difficile in questi casi pensarle tutte. La nostra viva immaginazione ipotizza anche l’ordine del comando strategico del Mose in previsione dell’acqua alta di venerdì scorso. «Chiudere le paratie!» «Abbiamo un problema» «Cosa?» «L’acqua alta» «L’acqua alta?» «Sì, il tunnel si è allagato e si sono bagnati tutti i relais». Alla piccola gag sarebbe mancato solo l’ex presidente del Magistrato alle Acque, il collaudatore, Cuccioletta che avrebbe detto: «Bene, meglio, così arriveranno i turisti a vedere l’alta marea».
Articolo di Silvio Testa pubblicato con questo titolo l’8 febbario 2015 su “La Nuova Venezia”. Silvio Testa è autore dei saggi: E le chiamano navi e Invertire la rotta, nella collana “Occhi aperti su Venezia“, Corte del fòntego editore Silvio Testa La iattanza e la sicumera con le quali il presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Costa, commenta le 27 pagine della commissione nazionale di Valutazione di impatto ambientale che, secondo gli ottimisti, affosserebbero il progetto di scavo del Contorta Sant’Angelo, dovrebbero invece mettere sul chi vive gli oppositori, e soprattutto coloro che non hanno perso la memoria delle vicende veneziane. Costa garantisce che in 30 giorni risponderà ai quesiti “tombali” della Commissione Via, la quale, del resto, ha dato allo stesso Costa proprio 30 giorni per inviare le proprie integrazioni. Ma come? Se solo per la caratterizzazione dei fanghi secondo gli esperti ci vorranno almeno 4-5 anni? Qualcosa non torna e Maria Rosa Vittadini, già presidente di quella commissione Via che nel 1999 bocciò il Mose, lo ha lucidamente messo in evidenza in un incontro pubblico. La commissione politicamente non ha potuto bocciare lo scavo del Contorta, ma si è salvata l’anima con una procedura che, pur mettendo in evidenza tutte le criticità, le debolezze, le sciatterie di un progetto devastante, alla fine lo promuoverà. È come se la commissione avesse detto a Costa che il suo progetto fa acqua da tutte le parti e nel contempo gli avesse dato le precise indicazioni su come tamponare i buchi, e il termine dei 30 giorni serve proprio al Porto solo per garantire che ottempererà alle prescrizioni. In altre parole, tra un mese, cioè in quel marzo già indicato dal ministro Lupi come termine ultimo per l’approvazione del progetto, la commissione Via darà il suo sì, condizionandolo a centomila punti, ma intanto il […]
Articolo pubblicato con questo titolo il 9 febbraio 2015 sul sito “Casa&Clima.com”. Per completare lo smaltimento degli oltre 32 milioni di tonnellate di amianto ancora presenti in varie forme in stabilimenti ed edifici pubblici e privati in Italia, ci vorranno 85 anni. Attualmente la bonifica prosegue al ritmo di circa 380mila tonnellate dismesse ogni 12 mesi. A 23 anni dalla messa al bando di ogni attività di estrazione, commercio, importazione, esportazione e produzione nella penisola, il tema della bonifica della fibra killer è ancora di grande attualità e ha avuto un ruolo centrale nei lavori della terza Consensus Conference italiana per il controllo del mesotelioma maligno della pleura, che per due giorni ha riunito a Bari i maggiori esperti della patologia insieme a giuristi, giornalisti, rappresentanti delle associazioni delle vittime e delle istituzioni, tra cui l’Inail e il ministero della Salute. OLTRE 35MILA I SITI ANCORA DA BONIFICARE. Stando ai dati del ministero dell’Ambiente, aggiornati alla fine di novembre, i siti che devono ancora essere bonificati sono 35.521, 1.957 quelli già bonificati e 571 quelli parzialmente bonificati. Oltre a Casale Monferrato, dove la fabbrica della Eternit ha provocato più di 1.700 vittime, tra le aree più a rischio figura anche Bari, che fino al 1985 ha ospitato lo stabilimento della Fibronit, fabbrica di elementi per l’edilizia a base di amianto, collocata fra tre popolosi quartieri del capoluogo pugliese. Altri siti di interesse nazionale sono Broni-Fibronit (Pavia), Priolo-Eternit Siciliana (Siracusa), Balangero-Cava Monte S.Vittore (Torino), Napoli Bagnoli-Eternit, Tito-ex Liquichimica (Prato), Biancavilla-Cave Monte Calvario (Catania) e Emarese-Cave di Pietra (Aosta). L’Italia è al vertice della task force europea per la sorveglianza attiva dell’amianto, un killer silenzioso che nel nostro Paese miete circa tremila vittime ogni anno, 1.500 delle quali per mesotelioma. “È il ‘cancro marker’ dell’esposizione all’amianto – hanno spiegato i presidenti della […]
Articolo di Luca Martinelli pubblicato con questo titolo il 3 febbraio 2015 su “Altraeconomia”. Venezia, in autunno, chiude alle cinque del pomeriggio. Vicino al Ponte di Rialto, è a quest’ora che gli ambulanti smontano i loro baracchini: mentre i turisti scemano camminando a testa alta, seguendo le indicazioni sulle calli (le indicazioni sono “Roma”, per piazzale Roma, o “Ferrovia”, per la stazione di Venezia Santa Lucia), i venditori si preparano per tornare a casa. Non tutti, però, ne hanno una: almeno sessanta, tra quelli che vivono nel centro storico, in realtà ne “occupano” una, e fanno parte dell’Assemblea sociale per la casa, la rete veneziana per il diritto all’abitare. “La crisi colpisce anche gli ambulanti che vendono le mascherine in San Marco – racconta Tommaso Cacciari, attivista del Laboratorio Occupato Morion – : molti non possono più permettersi un affitto”. È uno dei paradossi di questa città oggi tagliata su misura per i turisti: a Venezia le case ci sono, e sono vuote; il 30 giugno 2014, nel centro storico, vivevano appena 56.684 abitanti, 9.011 in meno rispetto al 2001. I veneziani, oggi, sono meno di quelli che vivevano in città nel 1631, un anno dopo la peste che decimò la popolazione, che scese da 141mila a circa 98mila persone. Questi dati li cita Salvatore Settis, che nel suo ultimo libro “Se Venezia muore” (Einaudi, 2014) scrive: “Una nuova peste si è insediata a Venezia, dagli anni Settanta del Novecento in qua”. Per spiegare come s’è declinata, questa peste, serve alzarsi sulla città, osservare la forma di pesce del centro storico di Venezia, spostare lo sguardo alle isole minori (Murano, Burano, Sant’Erasmo), e correndo al limite della Laguna osservare il cantiere infinito delle paratie del Mo.S.E. in costruzione. Il “Modulo sperimentale elettromeccanico” dovrebbe difendere Venezia e Piazza San Marco dall’acqua […]