Perché le colture transgeniche (OGM) sono una minaccia per gli agricoltori, la sovranità alimentare, la salute e la biodiversità del pianeta

 

Sugli OGM è stato prodotto un documento che è stato pubblicato sul sito http://www.cibosostenibile.it/ e che ha come titolo Perché le colture transgeniche sono una minaccia per gli agricoltori, la sovranità alimentare, la salute e la biodiversità del pianeta.

È stato redatto da Ana María Primavesi, Andrés E. Carrasco, Elena Álvarez-Buylla, Pat Mooney, Paulo Kageyama, Rubens Nodari, Vandana Shiva, Vanderley Pignati, di cui diamo di seguito una breve presentazione.

Ana María Primavesi

Immagine.Ana Maria Primavesi

Austriaca, ingegnere agronomo dell’Università Rurale di Vienna, dottore in Nutrizione vegetale e animale e produttività del suolo. Autrice di 12 libri tecnici sui suoli, 94 lavori scientifici originali e centinaia di altri articoli, documenti, interventi a congressi. Ha collaborato con varie università di altri Paesi, in particolare brasiliane. Tra i suoi testi, si distingue “Gestione ecologica del suolo”. Tra i premi ricevuti l’ One World Award.

Andrés E. Carrasco

Immagine.Andres Carrasco

Dottore in medicina all’Università di Buenos Aires (UBA). Direttore di ricerca del laboratorio di Embriologia Molecolare dell’Istituto di Biologia Cellulare e Neuroscienze (UBA). Esperto a livello mondiale per le sue ricerche e pubblicazioni sugli effetti del glifosato negli anfibi. Ha collaborato con università di Svizzera, Germania e Stati Uniti. Ha avuto importanti incarichi in Argentina a livello scientifico e politico, tra i premi ricevuti la Beca Guggenheim nel 2005.

Elena Álvarez-Buylla Roces

Immagine.Elena Álvarez-Buylla Roces

Biologa dell’Università Nazionale del Messico (UNAM). Dottore in genetica molecolare dell’università della California, coordinatrice del Laboratorio di Genetica Molecolare dello Sviluppo ed Evoluzione delle Piante dell’Istituto di Ecologia della UNAM, autrice di decine di pubblicazioni scientifiche; ha ricevuto molti riconoscimenti ed è un riferimento scientifico a livello mondiale sul tema degli effetti del mais transgenico in Messico.

Pat Mooney

Immagine.Pat Money

Ricercatore canadese, fondatore e direttore esecutivo del Gruppo ETC (Gruppo di Azione sull’Erosione, Tecnologia e Concentrazione), organizzazione internazionale della società civile con sedi in Canada, USA, Messico, Filippine e Nigeria. Autore e coautore di vari libri e pubblicazioni scientifiche, è stato più volte invitato a tenere relazioni all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. È considerato un’autorità sui temi della governance mondiale, della concentrazione delle imprese, della proprietà intellettuale e dell’impatto delle nuove tecnologie. Ha ricevuto molti premi tra cui il “Right Livelihood Award”, o Premio Nobel Alternativo. 

Paulo Yoshio Kageyama

Immagine.Paulo Yoshio Kageyama

Ingegnere agronomo, dottore in genetica e miglioramento delle piante, titolare della Scuola Superiore di Agricoltura dell’Università di São Paulo. Ricercatore in genetica e biodiversità di ecosistemi tropicali e applicazione dell’agro-biodiversità in insediamenti rurali della Riforma Agraria. Ex-direttore del Programma Nazionale di Biodiversità del Ministero dell’Ambiente ed ex-membro della Commissione di biosicurezza in Brasile (CTNBio). È punto di riferimento internazionale sul tema della biodiversità forestale.

Rubens Onofre Nodari

Immagine.Rubens Onofre Nodari

Ingegnere agronomo, professore all’Università Federale di Santa Catarina (UFSC)/Brasile, con ampia esperienza nell’area della genetica vegetale, si occupa in particolare dei temi della differenziazione e conservazione genetica, fitomiglioramento e biosicurezza degli OGM. È coordinatore del gruppo di ricerca su biosicurezza e biodiversità della sua Università. In collaborazione con il Centro di Biosicurezza di Genok in Norvegia, ha sviluppato e diretto ricerche sui rischi biologici diretti e indiretti derivanti dall’introduzione di organismi geneticamente modificati nell’ambiente, ex-membro della Commissione di biosicurezza in Brasile (CTNBio).

Vandana Shiva

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Indiana, scienziata, ricercatrice e attivista, laureata in fisica e filosofia della scienza in Canada. Fondatrice e coordinatrice della Fondazione per la Ricerca Scientifica, Tecnologica e Ecologica, con sede in India, dal 1982 ha realizzato una grande quantità di attività di informazione e divulgazione con contadine e contadini sulla biodiversità, i semi, l’agricoltura ecologica e gli organismi geneticamente modificati, tra cui il programma Navdanya, per la conservazione e il recupero della agrobiodiversità e dei semi contadini. È autrice di numerose pubblicazioni e libri conosciuti a livello mondiale. Ha ricevuto moltissimi premi, tra cui, nel 1993, il Nobel alternativo e il Premio Global 500 del programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.

Wanderlei Pignati

Immagine.Wanderlei Pignati

Dottore in medicina, specialista in medicina del lavoro, salute pubblica e medicina ambientale, professore della Facoltà di Medicina dell’Università Federale del Mato Grosso/Brasile, professore del corso di specializzazione in Salute Pubblica dell’Istituto di Salute Pubblica del Mato Grosso e della Scuola Nazionale di Salute Pubblica (FIOCRUZ/ ENSP). Conduce ricerche sull’impatto di agribusiness e veleni agricoli sulla salute e l’ambiente ed è membro di ABRASCO, Associazione Brasiliana di Salute Pubblica. I suoi lavori di ricerca sull’impatto dei veleni agricoli sugli esseri umani, sugli animali e sugli ecosistemi (in particolare in Mato Grosso, una delle maggiori aree di coltivazione industriale e di transgenici del Brasile) sono assai conosciuti.

Riportiamo di seguito il riassunto del documento che ha fatto per VAS Antonio Lupo del Comitato Amigos MST Italia.

 Immagine.Amigos MST Italia

Introduzione 

Quasi venti anni di coltivazione transgeniche che cosa hanno prodotto?  

Al contrario di quanto promettevano le imprese, la realtà delle coltivazioni transgeniche, che si basa sulle statistiche ufficiali degli USA – il maggiore produttore di transgenici a livello globale –, mostra che i transgenici hanno ottenuto minore produttività per ettaro rispetto ai semi già presenti sul mercato e hanno portato a una crescita esponenziale nell’uso dei veleni agricoli. 

Ciò ha prodotto anche un forte impatto negativo tanto sulla salute pubblica quanto sull’ambiente. Inoltre, le coltivazioni transgeniche sono state lo strumento chiave per favorire un’enorme concentrazione di prodotti agricoli nelle mani delle imprese. 

I transgenici sono serviti per alleviare la fame nel mondo?  

No, anzi, dal 1996 – anno in cui si cominciano a seminare transgenici – è aumentata la quantità di malnutriti e obesi, un fenomeno che è sinonimo di povertà, non di ricchezza. (FAO, 2012; OMS, 2012).

È una grande diversità di sistemi alimentari contadini e di piccola scala ad alimentare attualmente il 70% della popolazione mondiale (un 30-50% degli alimenti proviene da piccole coltivazioni, un 15/29% da orti urbani, un 5/10% dalla pesca artigianale, un 10/15% da caccia e raccolta). 

È una produzione di alimenti più sana, in gran parte libera da veleni e transgenici. 

Il sistema alimentare agroindustriale, al contrario, fornisce solo il 30% degli alimenti, ma usa l’80% delle terre coltivabili e il 70% dell’acqua e dei combustibili per uso agricolo. 

Dalla raccolta al consumo, il 50% degli alimenti della catena industriale finisce nei rifiuti (ETC Group, 2013a). 

I transgenici hanno aggravato i problemi ambientali del pianeta 

A partire dallo stesso periodo in cui si sono cominciate a realizzare le coltivazioni transgeniche, si è aggravata seriamente la crisi climatica e si è registrata la gran parte dei problemi ambientali più gravi del pianeta: è ciò che lo Stockholm Resilience Center ha definito come “limiti planetari”, quelli cioè che non possiamo superare se vogliamo che il pianeta sopravviva. 

Il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità, l’acidificazione degli oceani, la contaminazione e l’esaurimento dell’acqua dolce, l’erosione dei suoli, l’eccessiva quantità di fosforo e azoto che finiscono nei mari e nei suoli e la contaminazione chimica sono direttamente in relazione con il sistema industriale delle imprese legate alla produzione di alimenti, nel quale i transgenici rappresentano il paradigma centrale (Rockström, 2009; ETC Group, 2013a, GRAIN, 2013). 

  1. Una tecnologia imprecisa che suscita molte incertezze 

Al contrario di quanto afferma l’industria biotecnologica, la tecnologia dei transgenici è imprecisa, nel senso che manca il controllo delle conseguenze. 

È abbastanza facile isolare diverse sequenze del DNA di organismi diversi e unirle per formare un transgene. 

Tuttavia, non è possibile fino ad ora introdurre questa sequenza intatta in un determinato locus del genoma. 

Né è possibile controllare quante copie intatte o parti della sequenza modificata saranno integrate nel genoma dell’organismo ospite. 

E ancora più difficile è evitare qualsiasi interazione di queste sequenze con gli altri geni dell’ospite. 

È impossibile controllare l’espressione genica dei transgenici inseriti e la dispersione o rottura dei transgenici in diversi luoghi del genoma. 

  1. Coltivazioni transgeniche: uno strumento di controllo dell’agricoltura da parte delle imprese 

Non c’è mai stata nella storia dell’agricoltura e dell’alimentazione una concentrazione di semi così grande, nelle mani di appena 6 imprese. 

I transgenici assumono grande importanza per queste imprese perché sono resistenti ai veleni agricoli e ne assicurano la vendita. Inoltre, essendo frutto dell’ingegneria genetica, vengono brevettati e quindi vanno comprati ogni anno. 

Oltretutto, agli agricoltori i cui campi vengono contaminati dai transgenici si può persino esigere il pagamento per “appropriazione indebita”. 

Per assicurarsi il controllo totale degli agricoltori, le imprese dell’agribusiness hanno anche messo a punto la tecnologia “Terminator”, diretta a produrre semi che diventano sterili una volta utilizzati (tecnologia condannata a livello internazionale e soggetta a una moratoria delle Nazioni Unite, ma che, in seguito alle pressioni delle imprese, potrebbe essere presto legalizzata in Brasile). 

Quindi permettere la coltivazione dei transgenici in un Paese vuol dire cedere a poche transnazionali la propria sovranità, la possibilità di decidere su un aspetto fondamentale della sopravvivenza come l’alimentazione, ed è un attentato al diritto dei contadini di conservare i propri semi, diritto riconosciuto dalla FAO come eredità di 10.000 anni di agricoltura contadina.

  1. Si produce meno.  

Molti studi, condotti in particolare da università statunitensi – tra cui uno studio molto approfondito coordinato dal Dr. Doug Gurian-Sherman, “Failure to Yield” (Gurian-Sherman, 2009) che analizza 20 anni di coltivazione e 13 di commercializzazione di mais e soia transgenica negli USA, basato su dati ufficiali – mostrano che le coltivazioni transgeniche, in media, producono, per ettaro, meno delle coltivazioni ibride. 

  1. Si usano più veleni agricoli, sempre più pericolosi.  

Le coltivazioni transgeniche hanno portato a un aumento senza precedenti dell’uso di veleni agricoli (erbicidi e altri antiparassitari sempre più tossici). 

Ciò si traduce in gravissimi problemi ambientali di salute pubblica, in particolare nei tre principali Paesi produttori di transgenici: Usa, Brasile e Argentina (insieme coprono quasi l’80% della produzione). 

Poiché le piante infestanti sono sempre più resistenti ai veleni agricoli, le imprese stanno mettendo a punto prodotti sempre più forti e quindi tossici e cancerogeni. 

Il Brasile, per esempio, è diventato il maggiore consumatore mondiale di veleni agricoli con più di 850 milioni di litri consumati ogni anno. 

In Argentina si usano 250 milioni di litri all’anno di glifosato e 600 milioni di litri complessivi di prodotti chimici in una superficie occupata da 11 milioni di abitanti.

  1. Esistono alti rischi per la agrobiodiversità e l’ambiente. 

Un forte rischio per la biodiversità viene dalla contaminazione dei semi naturali e autoctoni. La biodiversità e le conoscenze locali e contadine sono molto importanti per l’adattamento al cambiamento climatico. 

I transgenici non sono “una possibilità in più” come poteva succedere con gli ibridi, perché la contaminazione delle altre piante è inevitabile, per esempio con l’impollinamento attraverso i venti e gli insetti (alla base anche di denunce per “uso indebito”). 

Si possono registrare gravi danni alle varietà native, che possono anche diventare sterili (Kato, 2004). Ciò produce gravi effetti economici, sociali e culturali su contadini/e e indigeni. Particolarmente preoccupante è la contaminazione nei luoghi di origine di alcuni prodotti. 

Anche l’inquinamento di acque e suoli legato all’uso massiccio di veleni agricoli ha assunto proporzioni devastanti che si riflettono sulla salute. 

In Mato Grosso (municipio di Lucas do Rio Verde) si sono rilevati dati allarmanti di residui di veleni agricoli nel latte materno e nell’urina e nel sangue di insegnanti delle scuole locali (Pignati, Dores, Moreira et al., 2013).

  1. Rischi per la salute 

Tra gli effetti negativi dimostrati da numerosi studi, si parla di seri rischi di infertilità, invecchiamento accelerato e anche effetti tossici su fegato, pancreas, reni, apparato riproduttivo, oltre ad alterazioni ematologiche e immunitarie e possibili effetti cancerogeni (Dona y Arvanitoyannis, 2009). 

L’uso della tossina Bt può provocare allergie, infiammazioni di stomaco e intestino e molti altri effetti negativi (Schubert, 2013). 

C’è poi un fortissimo aumento dei residui dei veleni agricoli negli alimenti (Bøhn y Cuhra, 2014). In Europa, dove il consumo di soia transgenica è alto a causa dell’uso di mangimi animali che la contengono, si sono trovate tracce di glifosato nell’urina del 45% di un campione di cittadini in 18 città (2013). 

È stato dimostrato in molti studi che il glifosato ha effetti teratogeni: è capace, cioè, di produrre deformazioni congenite (Carrasco, Paganelli, Gnazzo, et al 2010). 

Nel Chaco, in Argentina, c’è stato un incremento di malformazioni del 400%. Negli individui esposti al glifosato aumenta fortemente anche la possibilità di contrarre il cancro, come dimostrano studi relativi alle località di Brasile e Argentina dove la produzione di transgenici è più elevata. 

Gli studi che contengono questo tipo di conclusioni (come quelli del Dr. Gilles-Eric Séralini – CRIIGEN, Università di Caen, Francia) vengono duramente combattuti dalle multinazionali come la Monsanto attraverso scienziati vicini all’impresa, denunce ecc. 

  1. Ci sono vantaggi con la coltivazione dei transgenici? 

Dopo quasi 20 anni di sperimentazione, il 99% dei transgenici piantati nel mondo riguarda  prodotti per l’esportazione gestiti da grandi imprese (soia, mais, colza, cotone). 

Il 98% dei transgenici è seminato solo in 10 Paesi, 169 Paesi non permettono la loro semina. 

Le grandi promesse relative alla creazione di prodotti resistenti alla siccità o di prodotti come il “riso dorato” ricchi di vitamina A si sono rivelate fallimentari. 

I soldi spesi nel progetto del riso dorato, per esempio (più di 100 milioni di dollari donati da istituzioni filantropiche), avrebbero potuto risolvere il problema della mancanza di vitamina A in molti Paesi usando metodi naturali gestiti dai contadini. 

  1. Chi guadagna e chi perde con i trasgenici?  

Non c’è alcun dubbio che quelli che traggono maggiore vantaggio dalle coltivazioni transgeniche siano le 6 transnazionali che controllano il 100% dei semi transgenici: Monsanto, Syngenta, DuPont, Dow Agrosciences, Bayer, Basf. 

Le stesse imprese controllano anche il 76% del mercato mondiale dei veleni agricoli e il 75% di tutta la ricerca privata sulle coltivazioni. 

Dove i transgenici sono stati autorizzati, gli studi sui loro effetti sono stati realizzati solo dalle imprese che li producono. 

Chi perde con i transgenici è la maggior parte delle popolazioni del pianeta, dai piccoli agricoltori ai consumatori delle città a tutti quelli che soffrono della contaminazione chimica di alimenti, acqua e suoli.  

La grande maggioranza dei consumatori non vuole mangiare transgenici, le imprese lo sanno e per questo si oppongono alla etichettatura dei prodotti.

 

 

 

 

 

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