Editoriale di Giorgio Nebbia pubblicato il 30 marzo 2015 su “Eddyburg”. Giorgio Nebbia Quella prima della Pasqua è celebrata dalla chiesa cattolica come “la domenica delle palme”. In questa festa viene ricordato il giorno in cui Gesù torna a Gerusalemme per festeggiare la Pasqua, la festa ebraica che ricorda la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto con preghiere e pranzi in comune. Era un momento di grande popolarità per Gesù; la sua predicazione in varie parti della Palestina faceva sperare in una nuova liberazione dall’esosa Roma che opprimeva il paese con la collaborazione o tolleranza delle autorità religiose ufficiali, ostili, quindi a questo nuovo profeta. Una folla accoglie Gesù, come racconta l’evangelista Giovanni, agitando rami di palme, la pianta diffusa sul posto. Quello che succede dopo è noto; il pranzo con gli amici, l’agguato dei nemici, la denuncia alle autorità romane, le perplessità del prefetto romano Pilato, le folle sobillate contro Gesù dai “sacerdoti”, la crocefissione. Nella tradizione cattolica la domenica “delle palme” prevede la benedizione di rami di piante, in Italia dell’ulivo che è diffuso nell’Europa meridionale. (Non so che cosa facciano benedire i cristiani in Germania o Svezia). Pensando a questo rito mi risuonava nella mente lo stridio delle motoseghe che stanno tagliando gli ulivi del Salento, attaccati da un mortale parassita, e mi sono ricordato quando, settant’anni fa, sono venuto per la prima volta in Puglia. Proprio nel Salento mi hanno fatto vedere i tronchi contorti e bellissimi dei secolari ulivi, raccontandomi la leggenda che fossero così per la sofferenza del nume tutelare, il genius loci, che ogni ulivo portava dentro di sé. Chi sa che cosa pensa la divinità pagana ora cacciata via del tronco del suo ulivo, ridotto ad un fittone che emerge sconsolato dal suolo nel terreno dopo aver visto imbrunire a morte le […]