Per l’occasione della Giornata della Terra celebrata dalle Nazioni Unite il 22 aprile Giorgio Nebbia ha scritto il seguente editoriale, che con questo titolo è stato pubblicato il 21 aprile 2015 su “Eddyburg”. Giorgio Nebbia Anche quest’anno si celebra, sia pure in maniera sempre più fiacca e svogliata, la “Giornata della Terra”, “Earth Day”, per la quarantacinquesima volta da quel 22 aprile 1970 che segnò l’inizio, di fatto, della “primavera dell’ecologia”. Il 1970 arrivava dopo una lunga serie di proteste contro le esplosioni delle bombe nucleari nell’atmosfera; dai deserti africani, asiatici o dagli isolati atolli del Pacifico tali tests americani, russi, francesi, immettevano nell’aria elementi radioattivi che ricadevano poi anche a migliaia di chilometri di distanza, sulle terre coltivate e nelle acque. Era la stagione della protesta contro la diffusione planetaria dei pesticidi clorurati persistenti, come il DDT, e contro l’uso di erbicidi contaminati di diossina nel Vietnam; le città industriali erano afflitte da un traffico congestionato e la loro aria era oscurata dai fumi industriali; il petrolio copriva vaste superfici del mare. In quella lontana primavera, in tutti i paesi industriali fu come se si aprissero gli occhi a un gran numero di persone: in un’epoca di grande sviluppo economico gli abitanti dei paesi industrializzati si accorsero improvvisamente che le fumose ciminiere delle fabbriche non segnavano l’avanzata del progresso, ma buttavano nell’atmosfera polveri e sostanze cancerogene e acidi che andavano a finire nei polmoni dei cittadini, nei fiumi, sui boschi. L’automobile, massimo segno del successo tecnologico, appariva improvvisamente come un “Insolent chariot”, l’arrogante veicolo che, invece di liberare l’uomo dai vincoli delle distanze, costringeva a muoversi a pochi chilometri all’ora, tutti in fila, in mezzo a un’atmosfera inquinata da fumi, metalli, veleni. La plastica, trionfo dell’industria chimica sintetica, era un bellissimo materiale ma, dopo l’uso, restava indistruttibile e […]