La nuova democrazia nasce dal suolo. Expo presenta il manifesto #TerraViva

 

Nell’ambito delle giornate inaugurali di Cascina Triulza, il Padiglione della Società Civile all’interno di Expo Milano 2015, Banca Etica, Fondazione Triulza e Navdanya International sabato 2 maggio 2015 hanno presentato il manifesto Terra Viva, elaborato da un panel di esperti guidati da Vandana Shiva con il contributo di ricercatori da tutto il mondo.

Oltre alla stessa Vandana Shiva, vi hanno partecipato don Luigi Ciotti, il ministro Maurizio Martina, il presidente di Banca Etica e di Etica SGR Ugo Biggeri e Sabina Siniscalchi, Vicepresidente Vicario Fondazione Triulza.

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La presentazione del Manifesto Terra Viva è descritta nel seguente articolo di Giulia Polito pubblicato il 2 maggio 2015 sul “Corriere della Sera”.

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MILANO – «Occorre un nuovo patto che riconosca che noi siamo il suolo: veniamo dal suolo, siamo sostenuti dal suolo». 

Con queste parole Vandana Shiva, presidente di Navdanya International, ha sintetizzato il manifesto “Terra Viva”, presentato questa mattina nel corso del primo incontro di Cascina Triulza ad Expo. 

Il manifesto è un documento di analisi e denuncia che soprattutto offre alcune proposte su come superare il paradigma dell’economia lineare in favore di quella circolare rigenerativa, per creare un modello di sviluppo agricolo realmente sostenibile per l’ambiente e le popolazioni della terra. 

Tutti temi importanti, quelli posti al centro di “Terra Viva”, che in Expo 2015 trovano la loro più naturale collocazione

«Siamo a Expo – spiega a questo proposito Sabina Siniscalchi, vicepresidente vicario di Fondazione Triulza – perché è una grande opportunità da un punto di vista culturale. Qui ci sono i cittadini a cui dobbiamo rivolgerci per affermare che di fronte ai drammi del mondo dobbiamo reagire». 

Secondo i dati forniti, al suolo urbanizzato entro il 2030 si aggiungerà una città estesa come tutto il Sudafrica

La terra fertile è stata erosa a una velocità tra le 10 e le 40 volte superiore alla sua capacità di rigenerazione. 

Il 40% delle guerre degli ultimi 60 anni è stato causato da clima, suolo, risorse. 

Dati su cui è intervenuto anche il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, sottolineando il ruolo che investe Expo 2015 rispetto al contesto descritto: «Credo che il protagonismo delle associazioni dentro la sfida dei contenuti sarà la vera grande eredità di Expo. Noi abbiamo aperto un tavolo di lavoro intorno alla Carta di Milano che ancora non è stato chiuso. Occorre far emergere punti di consenso e di dissenso, del resto la grandezza di Expo consiste proprio nel confronto tra diversi. Dobbiamo essere tutti a disposizione di questo laboratorio». 

Ma, così come è stato ricordato da Papa Francesco nel corso delle celebrazioni di inaugurazione di ieri, non esiste futuro senza la solidarietà collettiva.  

Punto sul quale sarà Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e Libera, a soffermarsi: «Vorrei che ci fossero meno solidarietà e più diritti. Le associazioni non possono essere delegate alla cura dei poveri. Da questo luogo bisogna alzare la voce con forza: sono i poveri che devono indicarci l’orizzonte, sono loro la base su cui costruire il nostro futuro. La speranza ha il loro volto». 

E prosegue: «Auspico un mondo nuovo fondato sulla cittadinanza planetaria.

Per questo è necessario compiere un grande percorso di trasformazione che deve incanalarsi nelle coscienze e prendere forma nei nostri cambiamenti quotidiani.

Il manifesto “Terra viva” dice anche non bisogna cedere alla rassegnazione, ma neanche lasciarsi andare all’indignazione.

Non basta essere indignati, occorre sporcarsi le mani e ribadire con forza l’etica della terra che è maestra di vita». 

Don Ciotti, nel salutare prima del previsto i partecipanti, annuncia infine che oggi, per la prima volta, un prete di Libera è stato nominato vescovo. 

“Terra Viva” non è solo denuncia, ma soprattutto analisi e proposta

«L’attuale sistema economico – afferma Ugo Biggeri, Banca Etica –  dice che il profitto è un obiettivo, ma in realtà non è così.

Bisogna sforzarsi di ripensare l’economia da un altro punto di vista, avendo il coraggio di dire che alcune cose non si devono fare.

Noi come banca abbiamo partecipato alla stesura del manifesto non per una questione economica bensì di relazioni.

Non abbiamo paura di assumere posizioni ben precise.

È la finanza oggi che governa il mondo, se non capiamo il legame tra finanza e manifesto non potremo capire tutto il resto». 

A concludere l’incontro di oggi a Cascina Triulza è Vandana Shiva: «Quello che il manifesto cerca di fare è concreto.

Vuole mostrare i percorsi su cui abbiamo già camminato e misurare poi le conseguenze.

Io voglio un’agricoltura fatta realmente per tutti. Io dico sempre che la finanza è il colesterolo della politica: “Terra viva” rappresenta il nostro bypass.

È possibile realizzare un modello economico basato non più sull’austerità bensì sull’ecologia.

La Carta di Milano oggi rappresenta un grande ombrello dove stiamo tutti, un collante tra persone, movimenti e organizzazioni.

Finora abbiamo speso energia in maniera frammentata. Formiamo un unico contenitore dove costruire la pace. Pensate che forza saremmo se fossimo insieme».

 

 MANIFESTO TERRA VIVA

Scheda

La corsa al suolo

Il processo di consumo del suolo è devastante e sta subendo un’accelerazione drammatica.

Negli ultimi due secoli il cambiamento dell’uso dei suoli ha trasformato la biosfera producendo il 20% delle emissioni di anidride carbonica e la scomparsa o la conversione ad altri usi del 70% delle praterie, del 50% delle savane, del 45% delle foreste temperate decidue, del 27% del bioma delle foreste tropicali.

Entro il 2030 è prevista una crescita dell’area urbana pari a 1,2 milioni di chilometri quadrati: si tratta di una superficie equivalente a quella del Sudafrica, 3 volte quella urbanizzata nel 2000.

L’incontrollata espansione dell’area antropizzata riduce la quantità di terreno fertile a disposizione dell’umanità, con conseguenze che stanno diventando sempre più gravi.

Un ettaro di suolo contiene 15 tonnellate di organismi viventi: 1,5 chili per metro quadro.

È un dato che non andrebbe sottovalutato perché nel suo insieme il suolo conserva una quantità di carbonio molto superiore rispetto all’atmosfera e indebolire la sua vitalità significa minacciare la stabilità climatica.

Eppure negli ultimi decenni è stato di fatto ignorato: il suolo fertile è stato eroso a una velocità tra le 10 e le 40 volte superiore alla capacità di rigenerazione.

Perdiamo 24 miliardi di tonnellate di humus – il suolo fertile – all’anno e per ricostruirne uno strato da 2,5 centimetri ci vogliono circa 5 secoli.

Il ventesimo secolo è stato dominato da un modello di agricoltura industriale derivato da tecnologie chimiche nate a fini bellici e centrato sui prodotti chimici e sui combustibili fossili.

Quell’agricoltura è responsabile della perdita del 75% dell’acqua, del suolo e della biodiversità, è uno dei principali responsabili dell’effetto serra e dell’aumento della disoccupazione.

È un sistema che non mira alla produzione di alimenti ma alla produzione di commodities, con l’80% dei cereali che viene trasformato in biofuel o mangimi per l’allevamento.

Land grabbing

La dimensione dei terreni abbandonati a causa dell’uso insostenibile è uguale alla somma della superficie degli Stati Uniti e del Canada (2 miliardi di ettari) ed è maggiore della superficie globale attualmente occupata dall’agricoltura.

Milioni di ettari di terra fertile che in tutto il mondo permettono la sussistenza di intere comunità stanno cadendo sotto il dominio delle multinazionali e di alcuni Stati che cercano al di fuori dei propri confini le risorse non più disponibili al loro interno.

È uno scenario che ripete in maniera drammatica una pagina nota della storia.

Tra il 1770 e il 1830 il Parlamento inglese votò 3.280 norme (gli enclosures acts) per legittimare le privatizzazioni di terre che fino a quel momento erano state gestite dalle comunità: 2,4  milioni di ettari di campi, paludi, boschi vennero recintati e trasformati in beni a disposizione di pochi.

Oggi le multinazionali, supportate dai sussidi pubblici si stanno impossessando delle terre dei piccoli coltivatori (che a livello globale producono il 70% degli alimenti che consumiamo) causando una nuova ondata di massicce spoliazioni di poveri.

Aumentano i conflitti sociali e le guerre

La connessione tra danni ambientali da una parte e squilibri sociali e conflitti dall’altra è allarmante. La percentuale di ricchezza posseduta dall’1% più abbiente della popolazione mondiale è passata dal 44% del 2009 al 48% del 2014.

Il patrimonio delle 300 persone più ricche vale 524 miliardi di dollari, più della somma del Pil dei 29 Paesi più poveri.

E quello delle 85 persone più ricche è uguale a quello di 3,5 miliardi di persone.

Inoltre, secondo i dati elaborati della Convenzione per la lotta contro la desertificazione analizzando un periodo di 60 anni, il 40% dei confitti all’interno degli Stati è collegato a una tensione nata dal controllo delle risorse naturali e della terra.

E nel 2007 l’80% dei maggiori conflitti armati è avvenuto in ecosistemi resi vulnerabili dalla carenza di acqua.

Ad esempio prima dell’esplosione delle tensioni in Siria, nel 2011, il Paese aveva subito una siccità estremamente severa e prolungata e la perdita dei raccolti.

Anche il movimento estremista di Boko Haram si è sviluppato in un’area di forte crisi ecologica, nella zona del lago Chad, ridotto all’ombra di quello che era: in molte zone del Nord della Nigeria i pastori musulmani sono in competizione con gli agricoltori cristiani per il controllo delle sempre più scarse risorse idriche. Uno scenario analogo a quello del Mali e del Sudan.

Una nuova agricoltura per il clima e la pace

Come abbiamo visto i segnali di allarme si moltiplicano.

Ma esiste la possibilità di scegliere un’altra strada: quella basata sulla cittadinanza globale e sulla condivisione delle risorse, abbandonando la logica dello sfruttamento progressivo a favore dello sviluppo circolare fondato sulla rigenerazione delle risorse.

Secondo l’Unccd (la Convenzione per la lotta contro la desertificazione), è possibile recuperare 2 miliardi di ettari di terreno degradato: un’operazione che comporterebbe l’assorbimento di 3 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno, il 30% del carbonio emesso bruciando combustibili fossili.  

La conversione verso l’agricoltura organica è la strada maestra per combattere l’erosione e l’impoverimento del suolo.

È una svolta necessaria e urgente.

Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2015 “Anno internazionale dei suoli” per rendere tutti consapevoli del ruolo cruciale che i suoli giocano nella sicurezza alimentare, nella lotta contro il cambiamento climatico, nei servizi ecosistemici essenziali, negli sforzi per ridurre la povertà e incentivare lo sviluppo sostenibile.

La nuova agricoltura, che si sviluppa nel Pianeta attorno al ruolo centrale delle donne, dà un contributo essenziale in questa direzione perché rovescia lo schema degli ultimi decenni: invece di essere un assorbitore di energia la produce, invece di contribuire alla crescita dell’effetto serra la frena.

L’agricoltura biologica ha la possibilità di catturare ogni anno 2 tonnellate di CO2 per ettaro: è una formidabile arma per centrare l’obiettivo del contenimento della temperatura entro i 2 gradi di aumento.

La democrazia della Terra

La vita e la sua vitalità in natura come nella società è basata su cicli di rinnovamento e rigenerazione reciproca, di rispetto e solidarietà.

Il rapporto tra il suolo e la società dovrebbe essere basato sulla reciprocità, sulla Legge del Ritorno, del dare indietro.

Il modello agricolo industriale ha completamente disatteso questo modello. Una nuova agricoltura fondata sul rispetto del suolo è la premessa fondamentale per passare dal paradigma dell’economia lineare estrattiva in favore di quella circolare rigenerativa.

Da questa nuova agricoltura può generarsi una nuova economia e una nuova democrazia.

 

 

 

 

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