Venezia, lo strano caso della chiesa-moschea ecco perché l’arte torna a fare scandalo

 

Interessante articolo di Tomaso Montanari, pubblicato con questo titolo su “La Repubblica” del 12 maggio 2015.

TRASFORMANDO in moschea — sia pure solo per il tempo della Biennale — una chiesa di Venezia inaccessibile dal 1969, l’artista svizzero Christoph Büchel ha fatto tre volte centro.

 Immagine.Chiesa trasformata in moschea

Chiesa di Santa Maria della Misericordia trasformata in moschea

Di fronte alle opere esposte in Biennale la domanda rituale è: «Perché è arte?». 

Se ci spostiamo dallo scivoloso piano della definizione a quello della funzione, possiamo rispondere che la metamorfosi di Santa Maria della Misericordia è arte perché ci obbliga a pensare. 

Tutto fa tranne che intrattenerci, o distrarci: ci ricorda che, per millenni, l’arte è stata un potente strumento per cambiare il mondo, non un irrilevante altrove di comodo in cui fuggire. 

Ci dice ancora, Büchel, a cosa può servire il nostro patrimonio artistico: non è vero che le uniche alternative siano la chiusura, o la messa a reddito commerciale. 

Una chiesa antica che non diventa resort a 5 stelle, ma una moschea, rende chiaro il nesso fortissimo, e quasi sempre eluso, tra cultura ed eguaglianza, tra articolo 9 e articolo 3 della Costituzione. 

Perché — e questo è il terzo, e più importante, successo — l’opera è tutta giocata sul corto circuito tra finzione e verità, nella più alta tradizione dell’arte occidentale. 

Nella “moschea” pregano veri fedeli, guidati da veri imam: il che ha comprensibilmente turbato una parte dei veneziani. 

Più curiosamente, il Comune di Venezia ha provato a fermare il libero gioco dell’arte con la carta moschicida della burocrazia: ieri ha chiesto di avere, entro il termine perentorio del 20, i documenti che dimostrano che la chiesa è stata sconsacrata, e ha surrealmente imposto che la chiesa ospiti un luogo di culto solo “per finta” (e che, dunque, non si sia per esempio obbligati a togliersi le scarpe). 

Ma la questione sollevata da Büchel va esattamente nella direzione opposta: perché non offriamo alle comunità islamiche, cui non abbiamo permesso di avere un dignitoso luogo di culto, alcune chiese storiche che non usiamo più?

Un simile passo si collegherebbe a una storia lunga e terribile, cambiandone il segno. 

Conquiste e riconquiste hanno mutato molte chiese in moschee, e viceversa: il Partenone di Atene è stato consacrato alla Vergine cristiana, per poi essere islamizzato. 

Il Duomo di Siracusa è passato da tempio di Atena a chiesa della Madonna, a moschea: e quindi ancora a chiesa. 

Così è successo alla cattedrale di Cordova, prima chiesa, poi Grande Moschea poi definitivamente chiesa: ma nel 2007 i musulmani spagnoli hanno chiesto di poter tornarci a pregare. 

Non mancano esempi di (almeno temporanea) convivenza: la Grande Moschea degli Ommayadi, a Damasco è un tempio costruito dagli Amorrei intorno al 2500 circa a. C., rinnovato dai romani, trasformato in santuario cristiano da Teodosio alla fine del IV secolo, e poi in moschea dopo la conquista araba del 661: quando musulmani e cristiani poterono pregare, fianco a fianco, intorno alla testa del Battista. 

Oggi sono l’immigrazione musulmana in Europa e la contrazione del numero di cristiani praticanti a far sì che la più grande moschea di Dublino sia un’ex chiesa presbiteriana, e che simili trasformazioni si contino a migliaia in Inghilterra (dove dal 1960 ad oggi sono chiuse 10mila chiese), a centinaia in Olanda, a decine in Francia. 

Da noi l’opera veneziana fa rumore perché c’è un solo caso: quello della chiesa storica di San Paolino, nel centro di Palermo, donata nel 1990 alla comunità musulmana dal cardinale Pappalardo, e oggi moschea amministrata direttamente dal governo tunisino. 

Non poteva che venire da Palermo questo segno profetico di accoglienza: e sarebbe importante che un’altra città aperta all’Oriente, Venezia, facesse per sempre ciò che l’opera di Büchel fa per qualche giorno. 

Una chiesa che diventa moschea, per amore e non per forza, in una città chiave dell’identità culturale europea: la migliore risposta a ogni intolleranza. 

Qualche anno fa mi capitò di proporre che una chiesa storica del centro di Firenze diventasse moschea: perché è profondamente incivile che i compagni di scuola dei nostri figli non abbiano nemmeno un luogo di culto, in una città che trasforma le chiese antiche in sedi espositive, o location per sfilate. 

Il sindaco di allora — si chiamava Matteo Renzi — rispose che «era una bella sfida»: ma niente si è fatto, e anche l’ultimo piano urbanistico non prevede spazi per la moschea.

E quando la politica non raccoglie le vere sfide, la parola torna all’arte: capace di vedere più lontano, di costruire più futuro. 

Di svegliare, prima o poi, la politica stessa.

 

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