Archivi Giornalieri: 17 Luglio 2015
È stato prodotto il seguente importante documento con cui si vuole avviare una sensibilizzazione sulla necessaria campagna referendaria per gli artt. 37 e 38 dello “Sblocca Italia” e cui aggiungere anche l’art. 35 del cosiddetto Decreto “Sviluppo”. Il documento vede l’adesione anche del Circolo Territoriale VAS del Vulture Alto Bradano. Una delle tante riunioni di attivisti per fermare le trivelle L’approvazione del Decreto Sblocca Italia del 2014 sta portando ad una proliferazione di interventi di perforazione e infrastrutturazione pesante della terraferma e del mare in numerose regioni, dal Piemonte alla Sicilia, dalle Marche all’Emilia Romagna, dalla Campania all’Abruzzo, dal Molise alla Puglia, dal Veneto alla Calabria, dalla Lombardia alla Basilicata. Mare e terra sono egualmente toccati, con pozzi a pochi metri da abitazioni e coltivazioni che rappresentano la vera eccellenza italiana e in aree turistiche conosciute in tutto il mondo. Nell’assemblea nazionale della campagna Blocca lo Sblocca Italia del 24 maggio, svoltasi a Pescara, è stato proposto il coinvolgimento di almeno 5 regioni per la promozione di un referendum sul Decreto Sblocca Italia, con quesiti da far votare dai rispettivi consigli regionali. L’assemblea nazionale di Pescara Ricordiamo, infatti, che la Costituzione consente di richiedere un referendum (su uno o più quesiti) in due modi: -previa raccolta di 500.000 firme certificate di elettori; -attraverso il voto dello stesso quesito (o quesiti) da parte di 5 consigli regionali. Successivamente, senza un reale e ampio coinvolgimento dei movimenti che dal nord al sud della penisola si stanno battendo contro la deriva petrolifera, è stata avanzata, da parte di due organizzazioni, una proposta alle regioni di un referendum incentrato non tanto sul Decreto Sblocca Italia del 2014 ma esclusivamente sull’Art. 35 del cosiddetto Decreto “Passera” (o Decreto “Sviluppo”) del 2012 che riguarda i procedimenti in mare entro le 12 miglia. […]
(ANSA del 16 luglio 2015, ore 17:45) – BRUXELLES – “A causa dell’inesatta applicazione della direttiva ‘rifiuti’ in Campania, l’Italia è condannata a pagare una somma forfettaria di 20 milioni di euro più una penalità di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo“. Lo ha deciso la Corte di giustizia dell’Ue. “La direttiva relativa ai rifiuti ha l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente“, si legge in una nota diffusa dalla Corte Ue, in cui si sottolinea come “gli Stati membri abbiano il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione, in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili“. Dopo la crisi dei rifiuti scoppiata in Campania nel 2007, ricordano i giudici di Lussemburgo, “la Commissione ha proposto un ricorso per inadempimento contro l’Italia, imputandole la mancata creazione, in quella regione, di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica“. Bruxelles “riteneva infatti che tale situazione rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l’ambiente“. Nel 2010 la Corte Ue aveva stabilito che l’Italia “era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva” europea. E nell’ambito del “controllo dell’esecuzione della sentenza della Corte, la Commissione è giunta alla conclusione che l’Italia non ha garantito un’attuazione corretta della prima sentenza“. In particolare, “tra il 2010 e il 2011 sono stati segnalati più volte problemi di raccolta dei rifiuti in Campania“. Inoltre, “in detta regione si è accumulata una grande quantità di rifiuti storici (sei milioni di tonnellate di ‘ecoballe’), che deve ancora essere smaltita, il che richiederà verosimilmente un periodo di circa quindici anni“. Infine, “persistevano carenze strutturali in termini di impianti di smaltimento dei rifiuti, indispensabili nella regione Campania“. Pertanto, […]