Clima, nuova bozza accordo ma ancora molti nodi

 

Nuova bozza su clima

Il quarto giorno di trattative nella Conferenza Onu sul clima si è aperto oggi con una nuova bozza del testo dell’accordo, leggermente più corta della precedente (50 pagine invece che 54) ma ancora appesantita da circa 250 opzioni aperte e oltre un migliaio di termini tra parentesi.

Il nodo principale resta quello dei finanziamenti per gli interventi di riduzione delle emissioni e adattamento al clima che i Paesi avanzati dovrebbero fornire a quelli emergenti e in via di sviluppo.

India, Cina e diversi Stati africani e asiatici chiedono garanzie su questo fronte, sottolineando che pur riconoscendo l’importanza dell’azione di tutela del clima non possono rinunciare a fornire accesso all’energia a una fetta più ampia possibile di popolazione.

Dobbiamo soddisfare i bisogni energetici di tutti gli indiani, in parte con le rinnovabili ma in parte anche con il carbone“, ha spiegato alla stampa un portavoce della delegazione di New Delhi, secondo cui il Paese può agire per fare in modo che “progressivamente la parte delle rinnovabili aumenti“, ma non può rinunciare in tempi brevi al carbone, che fornisce oggi circa 160 gigawatt di energia al Paese, ovvero il 59% circa della capacità istallata.

Dobbiamo continuare a usare il carbone, e farlo nel modo più pulito possibile – ha aggiunto – oggi, ogni anno le nuove centrali a carbone che vengono installate sono più efficienti di quelle dell’anno prima“. Il problema, spiegano fonti vicine alle trattative, riguarda innanzitutto il fatto che resta un grosso divario tra la cifra che i Paesi avanzati si erano impegnati a mobilitare, 100 miliardi di dollari l’anno di capitali pubblici e privati, e quella effettivamente fornita quest’anno, che secondo una stima dell’Ocse è di 57 miliardi – cifra a sua volta contestata, perché include anche le somme versate tramite prestiti e ‘grant’, che quindi dovranno essere restituite.

Per colmare il divario, gli Usa avrebbero proposto di ampliare la rosa dei donatori, inserendovi per esempio la Cina, che già fornisce un rilevante aiuto finanziario ad alcuni Stati vicini per progetti di transizione energetica.

La risposta degli emergenti, e in particolare dell’India, è però nettamente negativa: “Quello è un contributo che secondo gli impegni deve essere versato dai Paesi avanzati – ha detto ancora il portavoce dei negoziatori indiani – i capitali della cooperazione sud-sud non possono assolutamente essere inclusi nel calcolo“.

Alcuni Paesi in via di sviluppo, inoltre, criticano la suddivisione dei capitali mobilitati, concentrata sul finanziamenti di piani per riduzione delle emissioni e mitigazione del cambiamento climatico, e solo in minima parte (16%, sempre secondo i calcoli Ocse), assegnata a opere di adattamento al nuovo clima, che sono invece cruciali per le popolazioni vulnerabili.

La loro richiesta è che questo squilibrio sia almeno in parte ridotto, e che la percentuale di fondi dedicati all’adattamento sia raddoppiata.

Restano poi pesanti disaccordi anche sull’obiettivo di contenimento dell’aumento della temperatura globale rispetto all’età preindustriale.

I Paesi insulari su questo punto hanno “fatto sentire la loro voce come mai prima d’ora“, insistendo su una riduzione da 2 a 1,5 gradi, e secondo le Ong del Climate Action Network hanno ottenuto il supporto di “oltre cento” altri Paesi.

Restano però forti resistenze da parte dei cosiddetti ‘grandi inquinatori’, a cominciare dall’India, secondo cui “il consenso internazionale raggiunto dopo un dibattito tecnico e politico è per un obiettivo di 2 gradi“.

 

(Articolo di Chiara Rancati, ANSA del 3 dicembre 2015, ore 08:52)

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