Nel caos del Ministero, vanno a fondo gli Archivi

 

foto archivi

Dove va il Ministero per i Beni Culturali e il Turismo sulla strada esasperata della “valorizzazione”?

Per ora sembra in stato confusionale, al di là di quello che scrivono tanti trombettieri.

Per i Musei piovono decine di nomine che però per i Musei non autonomi al 35 per cento (dato ufficiale) vengono rifiutate dai prescelti.

In certe Soprintendenze dove si sono assurdamente accorpati i beni storico-artistici e quelli architettonici non ci sono più storici dell’arte e se qualcuno chiede di valutare un quadro o una pala, gli rispondono imbarazzati che loro in quell’ufficio sono tutti architetti.

Gli storici dell’arte o gli archeologi passati ai Musei spesso sono destinati a coprire due o tre istituzioni fra loro lontane chilometri.

Un solo direttore è stato previsto per i Musei archeologici di Sibari e di Vibo Valentia (168 Km e due ore circa di viaggio in auto, ma chi paga la benzina?) e sempre un solo direttore deve reggere i Musei di Manfredonia (Foggia) e Gioia del Colle (Bari) e relative aree archeologiche fra cui corrono 161,4 Km per oltre un’ora e tre quarti di viaggio (e 12 litri di carburante).

È la valorizzazione, bellezza!

Purtroppo c’è di peggio.

Agli Archivi di Stato – che già sono considerati la Cenerentola del Mibact – vengono inferti altri danni.

In particolare all’Archivio Centrale dello Stato che l’indimenticato direttore Mario Serio aveva portato a livelli di efficienza rari nel grande fabbricato dell’Eur destinato, se ben ricordo, al Ministero e al Museo fascista della Guerra. (vedi http://www.vasonlus.it/?p=6844)

Cosa succede ora?

Il Segretariato generale del Mibact ha deciso di spostare il Museo Nazionale di Arte Orientale (sinora situato nel palazzo Brancaccio, in via Merulana) nella sede dell’Archivio Centrale dello Stato, sgomberando il primo piano del deposito laterale dell’Archivio stesso.

Pur sapendo benissimo (se non lo sanno, è di una gravità assoluta) che i suoi depositi sono da tempo strapieni tant’è che uno spazio supplementare è stato affittato a Pomezia in un magazzino…industriale, senza una sala di studio e neppure uno spazio dove gli archivisti possano lavorare per riordinare le carte.

Ma pure quel magazzino di Pomezia è saturo.

Adesso si tratta di far posto ai 23 km circa di documenti sin qui conservati negli spazi dell’Eur che vengono dati al Museo Nazionale delle Arti Orientali.

Finiranno in qualche altro deposito decentrato quei 23 Km?

Il 16 novembre, il Consiglio superiore per i beni paesaggistici ha approvato una mozione in cui ha espresso “viva preoccupazione” per la situazione in cui versano gli Archivi di Stato ed ha raccomandato che gli stessi siano dotati di ulteriori locali di deposito, per poter riceve i versamenti di documentazione che ora sono bloccati per mancanza di spazio.

La Corte d’Appello di Roma vorrebbe riversare all’Archivio di Stato di Roma gli atti della Corte d’assise per gli anni ’70 e ’80, cioè su terrorismo, delitto Moro, attentato al papa e altre cosucce, ma tutto è bloccato perché non c’è già più posto.

Eppure l’Agenzia del Demanio ha definito “operazione attendibile” questo trasloco del prezioso Museo Nazionale di Arte Orientale intitolato a Giuseppe Tucci.

“Attendibile”, per chi?

Non si sa visto che negli spazi di Palazzo Brancaccio dispone di oltre 4.800 metri quadrati e che gli stessi sono del Comune di Roma col quale un accordo non dovrebbe essere impossibile.

Fra l’altro negli ultimi venticinque anni il Ministero vi ha speso circa 2 milioni di euro per attrezzare i locali di deposito di ben 30.000 pezzi di pregio, ruotati in mostre ed esposizioni permanenti.

Del resto, il dramma è nazionale: meno del 35% delle sedi di Archivi di Stato e Soprintendenze sono demaniali, le restanti sedi risultano in locazione e i canoni d’affitto ammontano complessivamente a più di 22,5 milioni di euro, pari ad oltre i 4/5 del bilancio dell’Amministrazione archivistica.

Una follia pura coi tanti edifici demaniali vuoti o sottoutilizzati esistenti.

E vogliamo ripetere qual è la situazione del personale archivistico che oggi dovrebbe poter digitalizzare e rendere fruibili telematicamente un numero grandissimo di documenti?

Il numero complessivo degli addetti è crollato dagli 830 del 1998 agli attuali 621 (- 25,4 %, un quarto, spariti).

Nessuno di quelli in ruolo ha meno di 37 anni, mentre il 66 % dei funzionari archivisti conta più di 60 anni.

Vuol dire che, con questo trend, fra non molto gli archivi dello Stato chiuderanno i battenti per mancanza di personale qualificato.

E di tutto il resto.

Tranne il patrimonio di secoli di storia.

Chiuso chissà dove e infrequentabile.

Purtroppo sono fatti tragicamente reali.

Ma su giornali e telegiornali non fanno notizia.

Bisogna essere tutti ottimisti, proiettati nel futuro.

Il passato ai Gufi.

 

(Articolo di Vittorio Emiliani, pubblicato con questo articolo il 30 novembre 2015 su www.patrimoniosos.it)

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