Sui Beni culturali chi non si allinea al governo viene ridotto al silenzio

 

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Sui temi dei beni culturali e del paesaggio vigono ormai vere proprie censure e autocensure.

Chi divulga le idee o le nozioni della turbo-cultura, cioè della cultura “che fa profitti”, “che rende”, ha vistosi spazi quotidiani.

Chi invece contrasta questa tendenza allo spaccio dei beni culturali (dai centri storici ai musei) quale merce “fruttifera”, non ha più testate alle quali comunicare, sia pure come notizia, cioè fatti alla mano, un diverso o opposto parere.

Tranne alcuni siti come Articolo 21.

Non che un tempo fossero tanti i giornalisti o gli specialisti che si occupavano della materia sostenendo le ragioni della tutela.

Li ricordo: inizialmente soprattutto Leonardo Borgese sul Corriere della Sera.

Più tardi Antonio Cederna prima sul Mondo, quindi sul Corriere, infine su Repubblica e anche sull’Espresso, Mario Fazio sulla Stampa, Alfonso Testa su Paese Sera, Vito Raponi sull’Avanti!, Salvatore Rea sull’Europeo, il sottoscritto sul Giorno e sul Messaggero (dove poi hanno scritto lo stesso Alfonso Testa, Fabio Isman, Vezio De Lucia e Italo Insolera).

Una compagnia di canto comunque assai ristretta.

La quale però dava la linea a intere grandi testate: se sul Corriere della Sera, specie nella fase di Piero Ottone e Giulia Maria Crespi, Cederna faceva una inchiesta, quella era la linea di tutto il giornale.

Lo stesso per Fazio alla Stampa e per noialtri.

Oggi vi sono quotidiani nei quali si stenta a capire chi sia il giornalista specializzato o l’esperto che “dà la linea”.

Alcuni, a differenza del passato, non ce l’hanno proprio.

Anche perché la proprietà ha primari, e prioritari, interessi edilizi e immobiliari.

Ogni tanto (sempre meno?) compaiono su “Repubblica” articoli polemici molto documentati e autorevoli di Salvatore Settis e di Tomaso Montanari, talora rispunta il bravo Francesco Erbani e con lui Carlo Alberto Bucci.

Ma la linea del giornale non è propriamente quella.

Né temo che migliorerà col nuovo direttore che sulla “Stampa” ha abbastanza abbassato le luci su questo grande patrimonio.

Dal “Corriere della Sera” è quasi scomparso Carlo Bertelli e, a parte Corrado Stajano nella sua rubrica settimanale, la linea della “valorizzazione” sembra ormai prevalente.

Tranne che nelle pagine romane rette da Paolo Fallai.

Lo stesso “Fatto” – che tempo fa, con Montanari, costituiva una spina nel fianco – oggi, stranamente, è presente in modo alterno in una materia che pure offre spunti quotidiani anche di pura cronaca alla polemica.

Nei telegiornali Rai, andato in pensione, anni fa ormai, Fernando Ferrigno del Tg3 e la stessa Tina Lepri del Tg2, non sono mai stati sostituiti da redattori o inviati altrettanto attrezzati.

Lo stesso, del resto, era accaduto per la musica con Gregorio Zappi del Tg1: scomparso lui nell’ormai lontano 2001, non c’è stato più nessuno che se ne occupasse in modo specialistico.

A Radio Rai bisogna dare atto soprattutto ad Anna Longo di dar tuttora voce anche al dissenso dalle politiche governative.

Ricordo che i Verdi ci fecero una sorta di cordiale “processo” nel 2000 su quantità e qualità delle trasmissioni su beni culturali e ambientali.

Ce la cavammo, come CdA della Rai, abbastanza bene.

Oggi la bocciatura sarebbe garantita.

Dei Tg ho già detto.

Fra le trasmissioni sono scomparse o sono state declassate negli orari di ascolto per casalinghe e pensionati (al tocco di mezzogiorno o giù di lì) citerò “Nel regno degli animali”, “Bellitalia”, la stessa “Ambiente Italia”.

E potrei andare avanti.

Resiste Geo & Geo che per ascolti è addirittura la seconda o terza trasmissione di tutta la programmazione di Rai Tre.

Che torna ogni tanto incisivamente sull’argomento con Report di Milena Gabanelli e con le inchieste di Riccardo Iacona.

È un ottimo esempio, ma purtroppo isolato.

Si può fare di più?

Certamente.

Si faceva molto di più in anni lontani.

La Rai attuale è riuscita nell’impresa di varare una trasmissione che fin dal titolo – “Petrolio” – vi dice quale sia l’impostazione di fondo: i beni culturali e paesaggistici sono “il nostro petrolio”… Da mettersi a piangere.

Il 16 novembre scorso l’Associazione Bianchi Bandinelli presieduta dall’urbanista Vezio De Lucia ha organizzato un importante convegno per fare il punto critico, anzi polemico, sulla politica odierna dei Beni culturali e paesaggistici.

In esso è stata svolta una critica serrata, quanto mai documentata, sulla situazione generale ormai orientata esclusivamente alla “valorizzazione” a tutto scapito della “tutela” demolendo o depotenziando il già traballante edificio del Mibact nelle sue articolazioni territoriali.

Ma ci si è soffermati con dati e documenti anche sui musei, sulle biblioteche, sugli archivi, sulla formazione.

È uscita almeno una notizia sulle pagine culturali dei quotidiani?

No, nemmeno cinque righe, che mi risulti.

C’è stata una qualche citazione nei tg?

Men che meno.

Un solo servizio (ch’io ricordi) a Radio Uno.

Ormai è sempre così, inesorabilmente.

Oscurati, ignorati sul piano della cronaca.

Per questo è risultato eccezionale il Tg2 Dossier firmato da Stefania Conti sui mecenati dell’arte in cui finalmente, oltrepassando le consuete querimonie su Pompei, ci è stato dato, fra l’altro, di ammirare i restauri strutturali di Ercolano operati grazie all’informatico Packard.

E spero, citandola, di non farle danno. Non si sa mai.

Ci sono ovviamente siti come questo, come PatrimonioSos, Eddyburg, Salviamo il Paesaggio o Carteinregola dove le nostre e altre voci possono venire ascoltate secondo una linea che coraggiosamente mette davanti a tutto la tutela, attiva beninteso, nella quale crediamo tuttora che la cosiddetta valorizzazione sia ricompresa.

Si parla e straparla ogni giorno di Bellezza o della Grande Bellezza, ma si denuncia sempre più sporadicamente chi la sta intaccando e inquinando facendo del Belpaese un Malpaese.

Con una politica ormai costante e mirata: dal decreto Sblocca Italia alla legge Madia che consente incredibili deregulation (ne parlerò) e sottomette i Soprintendenti ai Prefetti (Luigi Einaudi perdonali!), alla legge sui Musei “di eccellenza” separati dal loro territorio nell’illusione provincialotta di “far soldi”.

Aridàtece almeno Bottai!

 

(Articolo di Vittorio Emiliani, pubblicato con questo titolo il 30 novembre 2015 su “Articolo 21”)

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