«Campagna mondiale contro la guerra»

 

Gino Strada

Gino Strada

Venezia, città per l’abolizione della guerra.

È questo il sogno di Gino Strada, primo cittadino italiano ad aver ricevuto qualche giorno fa in Svezia il Premio Right Livelihood, il Nobel alternativo dedicato a persone o gruppi che si stanno impegnando per una società migliore, come ha fatto il fondatore di Emergency dalla sua nascita, nel 1994.

I semi per il suo sogno veneziano ha iniziato invece a piantarli in questi giorni nella sede della Giudecca dove, per la prima volta, si sono radunati per il Primo meeting internazionale sulla creazione di un network di risposta clinica alle malattie emergenti” (Emerging diseases Clinical Assessment and Response Network – Edcarn) un centinaio di medici ed esperti di Emergency, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Istituto nazionale malattie infettive «Lazzaro Spallanzani».

Qual è il suo progetto per Venezia? 

Vorrei che questa diventasse la sede internazionale per la nostra campagna contro l’abolizione delle armi e della guerra.

Per adesso stiamo svolgendo degli incontri per medici e addetti ai lavori, ma nei prossimi mesi prenderà forma il nostro progetto.

Per adesso lo stiamo studiando, ma penseremo anche a un modo di coinvolgere i singoli cittadini.

Venezia è una città con una storia di grande apertura e dialogo, capace di parlare a tutti e quindi si presta particolarmente a questo messaggio. 

L’Italia però produce e vende molte armi. 

Siamo tra i primi Paesi a produrne.

È molto positivo che il premier Matteo Renzi non abbia voluto intervenire nella guerra, ma sarebbe ancora più positivo smettere di dare armi all’Iraq e uscire da questi meccanismi.

Mi domando, anche da un punto di vista pratico, cosa voglia dire bombardare i terroristi.

Non solo è la risposta sbagliata, ma non è nemmeno praticabile.

Qualcuno pensa che i terroristi girino con dei cartelli con la scritta: «Sono un terrorista, colpiscimi»?

A rimetterci sono i civili. 

Da cosa deriva questo impegno contro la guerra? Quando ha iniziato a occuparsi delle vittime di guerra? 

Era il 1988, in Pakistan.

Erano le vittime del conflitto afghano.

Quando guardi in faccia le conseguenze di cosa vuol dire usare le armi ti rendi completamente conto che la guerra è una follia scelta da piccoli cervelli che fanno solo disastri. 

Molti hanno donato fondi in ricordo della volontaria Valeria Solesin, una delle vittime del Bataclan a Parigi. Cosa ne farete? 

Non sappiamo ancora a quanto ammontino, anche perché il fondo per le donazioni rimane aperto.

Li useremo tutti per costruire la seconda ala del reparto maternità dell’ospedale afghano che intitoleremo sicuramente a lei.

Adesso i lavori sono fermi perché è freddissimo, ma li riprenderemo presto e contiamo di finire per ottobre prossimo. 

Da pochi giorni ha ricevuto un prestigioso premio del valore di circa 100 mila euro. Nel 2015 la Fondazione ha ricevuto ed esaminato 128 proposte da 53 Paesi. È il primo italiano. Come si sente? 

Sono contento.

È un riconoscimento che servirà in futuro a Emergency.

Non abbiamo ancora deciso su quali progetti investire, ma di sicuro li useremo per le nostre attività. 

In questi giorni si è tenuto un importante convegno. Avete raggiunto dei risultati? 

È la prima volta poi che si parla di Ebola in maniera così approfondita perché su questa epidemia la comunità medica non è mai stata preparata, mentre ora abbiamo tanto materiale per sviluppare meglio un piano di intervento.

 

(Articolo di Vera Mantengoli, pubblicato il 5 dicembre 2015 su “La Nuova di Venezia e Mestre”)

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