Clima: ‘È un passo avanti ma la strada è ancora lunga’

 

Passo avanti ma strada lunga.

Un accordo storico, quello raggiunto a Parigi sul clima, ma non ancora sufficiente secondo scienziati e ambientalisti.

È solo un primo passo, concordano, per ridurre e magari azzerare entro la seconda metà del secolo le emissioni di gas a effetto serra, soprattutto mettendo un freno ai combustibili fossili e dando slancio alle rinnovabili.

Un punto critico riguarda i Paesi vulnerabili.

Non c’è garanzia di assistenza per le persone che subiscono i più gravi effetti del cambiamento climatico“, sottolineano i rappresentanti della rete di Ong Climate action network, secondo cui “gli interessi dei più poveri, soprattutto sull’adattamento, sono stati sorvolati” nelle decisioni in ambito finanziario. 

Anche per Oxfam, l’accordo è insufficiente per tutelare più poveri che rischiano di dover “far fronte entro il 2050 a costi che ammontano a circa 800 miliardi l’anno” e “non scongiura l’aumento delle temperature a 3 gradi entro 2050“.

Peraltro, a dire che “questo accordo da solo non basta” è Greenpeace, secondo cui “contiene un’intrinseca e radicata ingiustizia: le nazioni responsabili del riscaldamento globale hanno promesso un aiuto misero a chi già oggi rischia di perdere la vita e i mezzi di sostentamento a causa dei mutamenti climatici“. 

Gli impegni alla riduzione di CO2 espressi da quasi tutti i Paesi, “se rigorosamente attuati, sono sufficienti a ridurre soltanto di un grado circa il trend attuale di crescita delle emissioni di gas-serra, con una traiettoria di aumento della temperatura globale che si attesta verso i 2,7-3 gradi“, osserva anche il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, secondo il quale “non consentono di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto dei 2 gradi, e ancor meno al limite di 1,5 gradi“.

Quindi, “è cruciale una revisione di questi impegni non oltre il 2020 e purtroppo l’accordo lo prevede solo su base volontaria, rimandando al 2023 la prima verifica globale degli impegni. È invece urgente farlo prima del gennaio 2021, quando il nuovo accordo sarà operativo“. 

Quello di cui c’é bisogno ora, secondo Maria Grazia Midulla del Wwf, “sono le azioni, per ridurre le emissioni e aiutare i Paesi più vulnerabili e nel testo ci sono le opportunità per farlo“. 

I finanziamenti e gli impegni di riduzione delle emissioni prima del 2020 “dovranno essere rafforzati per raggiungere l’obiettivo a lungo termine. Permangono preoccupazioni per il meccanismo Loss&Damage, che non pare ancora garantire assistenza soprattutto i poveri e vulnerabili“. 

Accordo storico “dopo 23 anni di tentativi falliti” ma “non salva il mondo e non crea le condizioni per salvarlo“, commenta Angelo Bonelli dei Verdi, che chiede all’Italia di “essere coerente: fermi le trivellazioni e rilanci le energie rinnovabili per farla diventare il primo paese decarbonizzato“. 

La comunità mondiale “ha riconosciuto che i rischi del riscaldamento globale sono di gran lunga maggiori rispetto a quanto precedentemente capito, e che la base scientifica che indica la necessità di azioni urgenti non è mai stata più forte” osserva Bill Hare, Ceo di Climate Analytics (team di esperti in cambiamenti climatici e in finanza legata al clima).

Limitare l’aumento medio della temperatura “significa abbattere le emissioni di gas serra a zero in pochi decenni, in linea con le prove scientifiche che abbiamo presentato“, sottolinea il direttore del Potsdam Institut per la ricerca dell’impatto del clima, John Schellnhuber.

Se approvato, questo accordo rappresenterà una svolta storica, aprendo la strada verso quella transizione al 100% di energie pulite che i cittadini di tutto il mondo reclamano e di cui il pianeta ha bisogno” afferma Emma Ruby-Sachs, direttore esecutivo vicario del movimento americano della società civile Avaaz rilevando che “scendendo in piazza, chiamando i leader e firmando appelli, i cittadini di tutto il mondo hanno reso possibile questo momento. E saranno sempre quegli stessi cittadini a fare in modo che sia rispettato per mettere in salvo il futuro dell’umanità“.

L’accordo “è una base di lavoro per tutti i paesi, indica un percorso e riconosce un problema che va affrontato e risolto“.

Così Gianni Silvestrini, presidente del Coordinamento Free, fonti rinnovabili ed efficienza energetica che raggruppa 30 associazioni del settore aggiungendo che “per quello che riguarda l’Europa, pensiamo che sia necessario alzare gli obiettivi al 2030 portando il taglio delle emissioni di CO2 al 50%, aumentando la quota di efficienza energetica dal 30% al 40% e quella di produzione di energia da rinnovabili al 33%. Per questo – conclude – il Governo Renzi deve fare proprio l’obiettivo di una politica che combatta il cambiamento climatico, con un programma ambizioso che sinora è stato troppo timido“. 

Sulla Cop 21 speravamo di essere smentiti ma il risultato finale non ci dà motivo di essere soddisfatti. Basare un accordo sul meccanismo di un protocollo che deve essere ratificato dalla maggior parte dei paesi, come è stato per Kyoto, non è la strada migliore per raggiungere obiettivi ambiziosi che salvino il pianeta“.

Così Livio de Santoli, presidente di Aicarr, associazione italiana condizionamento dell’aria riscaldamento e refrigerazione.

Anche a Parigi “è mancato un serio lavoro sul capitolo del ‘climate finance’, infatti ci troviamo a dover fronteggiare il cambiamento climatico con risorse economiche del tutto insufficienti – afferma de Santoli – Inoltre, non si è fatto riferimento all’obiettivo di arrivare al 2050 con una produzione di energia da rinnovabili al 100% e con una moratoria sulle estrazioni dei fossili. Per queste ragioni non brindiamo all’accordo, che si può considerare al ribasso“.

 

(ANSA del 13 dicembre 2015, ore 11:19)

 

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