Il mega parcheggio nel centro di Sorrento bloccato dalla magistratura con quattro condanne per falso ed abuso di ufficio: si è così concluso il processo per la realizzazione di una enorme struttura interrata con 252 box che avrebbe dovuto prendere il posto di un agrumeto tipico nel centro di Sorrento. A stabilirlo è stato il Collegio del Tribunale di Torre Annunziata presieduto dal giudice Maria Rosaria Aufieri. L’indagine partì dopo gli esposti presentati al Commissariato di Sorrento da parte delle forze politiche di opposizioni e dalle associazioni ambientaliste. E’ stata così accolta la tesi accusatoria sostenuta dal pubblico ministero e dalle associazioni ambientaliste, VAS onlus e WWF, costituitesi parti civili. Nel dettaglio è stato condannato ad un anno ed otto mesi di reclusione, pena sospesa, l’avvocato Adriano Bellacosa, proprietario del terreno, ed ex assessore all’Ambiente ed alla Legalità della Provincia di Salerno. Identica la pena inflitta all’imprenditore Giuseppe Langellotto, rappresentante legale della Edilgreen, la società che stava realizzando l’intervento e i funzionari della Città Metropolitana di Napoli Lucio Grande e Dario Perasole, che autorizzarono l’intervento, in qualità di commissari. Per questi ultimi due il Collegio ha anche disposto l’interdizione per un anno e sei mesi dai pubblici uffici. Inoltre tutti gli imputati sono stati condannati a versare una somma a titolo di provvisionale in favore delle associazioni Vas e Wwf e le spese giudiziarie. Grande soddisfazione è stata espressa dall’avvocato Johnny Pollio, che rappresentava i VAS onlus nel giudizio e dallo stesso Presidente dell’associazione, il senatore Guido Pollice che invita i cittadini nel mantenere alto il livello di attenzione per la salvaguardia e tutela ambientale della Penisola Sorrentina. Ass. Verdi Ambiente e Società-VAS Onlus
Archivi Giornalieri: 27 Gennaio 2016
Rilevante pronuncia della Suprema Corte di cassazione in materia di esecuzione delle ordinanze di demolizione di abusi edilizi contenute in sentenze penali passate in giudicato. La sentenza Cass. pen., Sez. III, 15 dicembre 2015, n. 49331 ha ribadito che l’ordine di demolizione delle opere abusive presente nelle sentenze penali passate in giudicato non è soggetto alla prescrizione prevista per le sanzioni penali (art. 173 cod. pen.), perché è sanzione di natura amministrativa, finalizzata al ripristino del bene ambientale/territoriale leso dall’azione illecita compiuta. Si tratta di una funzione autonoma, di carattere reale e senza fini punitivi, potendo avere effetti anche nei confronti di soggetti (es. acquirenti, eredi, ecc.) non autori del comportamento illecito (realizzazione dell’intervento abusivo). Pertanto, non può costituire una “pena” nel senso indicato dalla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). In precedenza, con la sentenza Cass. pen., Sez. III, 9 settembre 2015, n. 36387 il Giudice penale di legittimità ha ricordato che non solo l’ordine di demolizione delle opere abusive presente nelle sentenze penali passate in giudicato non è soggetto alla prescrizione prevista per le sanzioni penali in quanto sanzione di natura amministrativa, ma non è soggetto nemmeno alla prescrizione di cui all’art. 28 della legge n. 689/1981 e s.m.i., riguardante unicamente le sanzioni pecuniare a fini punitivi. Inoltre, come già statuito con sentenza Cass. pen., Sez. III, 26 marzo 2015, n. 12976 e con la sentenza Cass. pen., Sez. III, 10 febbraio 2015, n. 5931, l’ordine di demolizione contenuto in sentenze penali passate in giudicato mantiene efficacia rispettivamente nei confronti degli eredi e di eventuali terzi aventi diritto. Elementi giurisprudenziali di forte contrasto all’abusivismo edilizio. Gruppo d’Intervento Giuridico onlus dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 5 gennaio 2016 Cass. Sez. III n. 49331 del 15 dicembre 2015 (Cc 10 nov 2015) Pres. […]
Tomaso Montanari La domanda: ci conviene mettere a biglietto tutto il patrimonio storico e artistico della Nazione (articolo 9 della Costituzione)? é saggio far pagare chi desidera andare a deporre una rosa sulla tomba di Raffaello, o un pensiero su quella di Vittorio Emanuele II, entrambi sepolti nel Pantheon di Roma, che contemporaneamente un monumento archeologico, una chiesa consacrata, un sacrario civile? La modernizzazione comporta necessariamente biglietterie all’ingresso di tutte le chiese storiche, dei conventi, delle biblioteche, degli archivi, degli ospedali monumentali, e domani magari alle porte di intere città, come Venezia? I dubbi sono leciti. Perché così facendo rischieremmo di spingere ancor di più l’economia culturale verso la passività della rendita. Forse sarebbe preferibile fare esattamente il contrario, rendendo gratuito l’accesso ai grandi musei statali. Nel 2013 il gettito di questi ultimi è stato pari a 125.826.333 euro, ma allo Stato ne sono arrivati 104.333.063 (la differenza è andata agli oligopolisti delle concessioni): che è il costo di un singolo bombardiere F35. Il presidente del Consiglio ha giustamente detto di voler allineare la spesa militare e quella culturale: con meno di un terzo di quanto destinato all’assegno indiscriminato per il consumo culturale dei neo diciottenni, potremmo far entrare tutti gratis nei nostri musei. E l’economia indotta da un aumento del movimento dei cittadini verso il patrimonio darebbe frutti, anche fiscali, assai superiori al gettito dei biglietti. Ma, soprattutto, nel nostro Paese come in nessun altro, il patrimonio culturale è fuso con lo spazio pubblico. Non c’è un vero confine tra il Pantheon e la sua piazza, ed è vitale che si possa continuare a varcare liberamente quella porta bronzea: anche solo per continuare a passeggiare al coperto, anche solo per cinque minuti. Dobbiamo poter respirare liberamente la nostra storia: non possiamo spezzare questa quotidiana intimità, diventando clienti anche […]