Pistoia, la quieta dolcezza quasi sconosciuta di una città tra le più belle

 

Pistoia

Pistoia capitale italiana della cultura.

Più che l’operazione di bonario marketing democristiano del ministro Franceschini (il quale, come il Signor Bonaventura, sventola felice un milione: premio che difficilmente farà la differenza), a fare notizia dovrebbe essere lo stupore diffuso.

In queste ore sono tutti a domandarsi «ma cosa c’entra Pistoia con la cultura?».

Questa sorpresa è il risultato dell’estrema brandizzazione della comunicazione turistica: in questo gioco di figurine Firenze è il Rinascimento, Siena è il Sogno Gotico, Pisa è la Torre Pendente… e Pistoia?

Lo zoo, se va bene.

Questa compressione dell’intelligenza e della conoscenza a fini commerciali sta lentamente cambiando il nostro modo di pensare.

Ora non sono solo i turisti di massa, ma anche i toscani (e certo molti tra gli stessi pistoiesi) a non sapere che Pistoia è una delle più belle città del mondo.

Qualche tempo fa, scegliendo poche opere d’arte da far conoscere ai bambini, ho avuto occasione di ricordare che, a nemmeno cinquecento metri dall’elegantissima Piazza del Duomo, c’è la chiesa di Sant’Andrea: un luogo in cui ogni italiano dovrebbe entrare, almeno una volta nella vita.

Perché è lì che si può leggere una poesia alta e forte come una cantica della Divina Commedia.

Una poesia fatta di marmo.

Ma anche di luce e di ombra, di violenza e tenerezza, di cielo e terra.

Fu Giovanni Pisano a scolpire la folla di figure che danza come un incendio intorno al pulpito.

La pietra non era mai stata così mobile, così simile alla nostra anima quando è turbata, inquieta, instabile.

Ma è solo un piccolo esempio: Pistoia è tessuta della stessa materia, è stata fatta dalle stesse mani da cui scaturiscono Firenze, Lucca, Siena.

Col vantaggio di una quieta dolcezza.

Ora, se vogliamo che questo riconoscimento a forte rischio-carrozzone non si riduca a un anno di eventi effimeri, se vogliamo che qualcosa rimanga davvero, l’amministrazione di Pistoia deve sfruttarlo per recuperare per sempre almeno qualche brano del meraviglioso tessuto monumentale pistoiese: che non versa tutto in buone condizioni.

Per sapere cosa fare, basta ascoltare i cittadini pistoiesi.

Per esempio l’associazione ‘Pistoia città di tutti’, nata nel 2010 dopo un’intensa giornata di studi dedicata al «Patrimonio monumentale della città tra restauro, riuso, abbandono. Il caso della Santissima Annunziata».

Grazie al lavoro esemplare della storica dell’arte Lucia Gai e degli altri soci, sono usciti libri importanti su singoli monumenti in pericolo (come Santa Maria delle Grazie), si sono avanzate proposte (come quella per la valorizzazione del Chiostro Grande di San Lorenzo), si sono vinte battaglie (come quella per la tutela di San Bartolomeo in Pantano, minacciata da un parcheggio sotterraneo), si sono organizzati incontri, dibattiti, visite.

Insomma, un caso esemplare di cittadinanza attiva che scaturisce dall’amore per un patrimonio culturale sentito come vivo e proprio.

Ora, Pistoia ha vinto con un progetto: che naturalmente deve essere attuato.

Ma sarebbe una bella notizia per la Toscana e per l’Italia, se l’amministrazione sapesse ascoltare i suoi cittadini, e sapesse trovare le risorse per restaurare e restituire ad un uso civico (senza biglietto!) un complesso monumentale tra quelli in pericolo.

E sarebbe anche l’occasione per tornare sulla decisione di vendere (cioè, dati i tempi, di svendere) immobili comunali di importanza storica come lo stesso San Lorenzo, “Le Leopoldine”, Palazzo Baldi Papini, i monasteri dei Santi Giorgio ed Elisabetta e delle Crocifissine.

L’ormai famosa lettera dell’Unesco al sindaco di Firenze indicava l’alienazione di edifici storici pubblici come un problema: perché il cambio di destinazione d’uso (da sedi di funzioni della vita civile quotidiana ad alberghi di lusso) aumenterà ancora la disneyficazione del capoluogo.

Ecco, è vitale che la Toscana cosiddetta minore non imiti lo sviluppo involutivo e autocannibalesco di Firenze: abbiamo bisogno di modelli alternativi, sostenibili, democratici.

In questo Pistoia potrebbe darci davvero una lezione.

Perché una vera capitale della cultura deve saper guardare lontano: oltre il pensiero unico del presente, oltre la vetrina del marketing.

 

(Articolo di Tomaso Montanari pubblicato con questo titolo il 27 gennaio 2016 su “la Repubblica”)

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