Il solare termodinamico (CSP) una tecnologia da contrastare o da incentivare?

 

Associazione Intercomunale LucaniaPro Natura. Circolo Territoriale VAS Vulture-Alto Bradano Vulture Alto Bradano Salviamo il Paesaggio.

 

Il 26 gennaio scorso è comparso in rete un articolo intitolato “Perché il Governo fa la guerra alle energie rinnovabili?” ed esordisce con un altro interrogativo Che senso ha far crescere una filiera e poi affossarla?” (cfr. http://www.galileonet.it/2016/01/perche-il-governo-fa-la-guerra-alle-energie-rinnovabili/).

Nell’articolo si evidenzia la posizione dell’Associazione assoRinnovabili che giustamente critica il Governo nazionale per non fare abbastanza nel settore delle energie cosiddette pulite.

Immagine.logo assoRinnovabili

Tuttavia, lo stesso articolo riporta, nella parte conclusiva, la seguente frase: “Così, mentre anche gli arabi ricchissimi di petrolio realizzano mega-impianti fotovoltaici e termodinamici, noi rischiamo di devastare ampie aree marine e terrestri per ricavare una fonte energetica che darà un contributo al fabbisogni nazionali di pochi percento per un orizzonte temporale che non supererà pochi decenni!”.

Pienamente condivisibili gli interrogativi riportati nel citato articolo ai quali aggiungiamo: perché non azzerare tutti i sussidi alle fonti fossili ed incentivare al meglio le rinnovabili?

Perché i “grandi del mondo” promettono di eliminare gradualmente gli aiuti pubblici al fossile, ma si spendono ancora ogni anno 452 miliardi di dollari in sussidi alla produzione di petrolio, carbone e gas (cfr. report “Empty promises G20 subsidies to oil, gas and coal production”)?

Perché in Italia gli aiuti alle fonti sporche, sempre considerando solo la produzione, arrivano a 2,7 miliardi di euro? (http://www.qualenergia.it/articoli/20151113-fossili-ecco-i-sussidi-pubblici-dell-italia-e-dei-g20-alle-fonti-climalteranti)

L’articolo riporta la posizione di assoRinnovabili che raggruppa un migliaio di produttori di energie verdi.

Facciamo notare, giusto per evitare che possano passare “mezze verità”, che è la stessa assoRinnovabili a chiedere al Ministero della Sviluppo Economico lo STOP agli incentivi ai grandi impianti solari termodinamici al fine di destinare le risorse a impianti di taglia minore o, meglio ancora, a tecnologie maggiormente competitive nel ridotto arco temporale del decreto (cfr. http://www.casaeclima.com/ar_23630__decreto-fer-assorinnovabili-no-incentivi-grandi-impianti-solari-termodinamici.html).

Sarebbe utile anche la lettura dell’articolo intitolato “In arrivo il nuovo Decreto ministeriale per l’incentivazione agli impianti FER diversi dal fotovoltaico” (cfr. http://www.olambientalista.it/?p=39527).

La posizione di assoRinnovabili è sicuramente dettata dal buon senso e dall’evitare di favorire impianti, aggiungiamo noi, ad alto impatto ambientale con enorme consumo di suolo agricolo e con l’aggravante di non essere interamente rinnovabili.

Una precisazione che ci sembra doverosa al fine di evitare che vengano inserite ogni volta, quando si parla di rinnovabili da promuove in Italia, anche le parole “solari termodinamici”.

Impianti, quest’ultimi, che riteniamo non rispettosi del Territorio, dell’Ambiente e della Salute dei cittadini (cfr. http://www.tecnologia-ambiente.it/solare-termodinamico-pulito-caso-basilicata).

Non dovrebbe essere tollerato alcun abuso in termini di rilascio dei titoli autorizzativi sia che trattasi di fonti fossili (permessi di ricerca e concessioni di estrazione idrocarburi liquidi e gassosi) sia che trattasi di rinnovabili “selvagge”.

Dove con il termine “selvaggio” si intende la devastazione di un territorio: enorme consumo di suolo, enorme consumo d’acqua, forte impatto ambientale su tutte le matrici ambientali, sconvolgimento dell’identità di un territorio.

Rinnovabili selvagge_1

Tutti aspetti riscontrabili, a nostro avviso, sia nei progetti petroliferi sia nei mega progetti speculativi legati a mega impianti, solo in parte rinnovabili.

Infatti, devastanti progetti andrebbero concepiti nelle aree desertiche e non in aree agricole ad alto pregio e particolarmente antropizzate.

Andrebbero concepiti nel deserto attività petrolifere così impattanti come quelle presenti nella Val D’Agri (Basilicata) e andrebbero concepiti nel deserto, o comunque in aree degradate, i mega impianti termodinamici previsti su centinaia di ettari di superficie.

Infatti, gli impianti termodinamici cui si fa riferimento, siano quelli statunitensi o marocchini, sono collocati in aree desertiche: mega impianto termodinamico della California “Ivanpah” collocato nel deserto del Mojave ed impianto “Noor” nel Marocco nel deserto a sud della città marocchina di Ouarzazat (cfr. http://www.vasonlus.it/?p=23241).

IVANPAH, CALIFORNIA, OCTOBER 17 2012: Aerial view of Unit 1 and heliostats at the Ivanpah Solar Project (photo Gilles Mingasson/Getty Images for Bechtel).
IVANPAH, CALIFORNIA, OCTOBER 17 2012: Aerial view of Unit 1 and heliostats at the Ivanpah Solar Project (photo Gilles Mingasson/Getty Images for Bechtel).

Impianto termodinamico della California “Ivanpah” collocato nel deserto del Mojave

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Impianto termodinamico “Noor” nel Marocco nel deserto sabbioso del Sahara

Con riferimento all’impianto solare termodinamico californiano si legge, in un recente articolo, che “l’inconveniente è che le centrali termiche solari generano grandi quantità di calore di scarto che viene dissipato facendo evaporare molta acqua. Le centrali termiche solari possono consumare due volte la quantità di acqua impiegata dalle centrali a combustibili fossili, e un progetto proposto recentemente per una centrale termica solare avrebbe consumato intorno a 500 milioni di galloni d’acqua l’anno” (cfr. http://www.technologyreview.it/la-siccita-della-california-mette-a-dura-prova-il-solare-termico).

Collocare tali impianti nelle aree desertiche non è solo un problema di forte impatto sul territorio, ma anche legato ai rischi di incendi ed esplosioni in quanto sottoposti alla Direttiva Seveso perché attività a rischio di incidente rilevante come, purtroppo, il cento Olio di Viggiano in Basilicata per la preraffinazione petrolifera.

La differenza risiede nel fatto che il Centro Olio di Viggiano è un’attività sottoposta alla Direttiva Seveso ed occupa una superficie di 18 ettari, mentre ogni singolo impianto termodinamico previsto in Italia (compreso quello in Basilicata di 226 ettari) è sottoposto alla Direttiva Seveso ed occupa centinai di ettari (cfr. http://basilicata.basilicata24.it/salute/ambiente/basilicata-svariati-impianti-rischio-dincidente-rilevante-18281.php).

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In Basilicata, purtroppo, tra le tante assurdità, viene presentato un impianto solare termodinamico di prima generazione che prevede 2.100 tonnellate di oli diatermici nei ricevitori e nei collettori.

È importante precisare che il problema dei termodinamici (CSP) non risiede solo nell’utilizzo dell’olio diatermico, ma anche in tante altre problematiche che accomunano, inevitabilmente, anche gli impianti di ultima generazione che utilizzano, come fluido termovettore e come accumulatore, i sali fusi.

Quali i problemi?

Tali impianti, pur non prevedendo l’utilizzo di oli diatermici, continuano ad essere considerati attività industriali da sottoporre alla Direttiva Seveso in quanto a rischio di incidente rilevante poiché i sali fusi, in quanto comburenti, vengono utilizzati in quantità superiori al limite delle 50 tonnellate quale limite soglia previsto dalle normative vigenti oltre il quale scatta l’inquietante Direttiva.

Qual è la quantità di sali fusi utilizzati nell’impianto termodinamico in Basilicata?

38.000 tonnellate oltre 2.100 tonnellate di olio diatermico (limite soglia 500 tonnellate).

In Sardegna vi sono altrettanti impianti solari termodinamici (CSP) che non utilizzano oli diatemici e sali fusi, ma unicamente sali fusi nell’ordine delle decina di migliaia di tonnellate tali da renderli comunque attività da sottoporre alla Direttiva Seveso.

Si conoscono altri impianti alimentati da fonte rinnovabile, annoverabili nel settore delle “energie pulite”, che si trascinano il loro essere attività a rischio di incidente rilevante?

Non ve ne sono.

Solo i solari termodinamici (CSP) di grandi dimensioni, anche se utilizzano unicamente sali fusi, sono soggetti alla citata Direttiva.

È importante precisare che non si sta parlando dell’impiantino dimostrativo di Priolo in Sicilia di appena 5 MWe che per funzionare utilizza la stessa turbina della centrale termoelettrica alimentata a gas metano, ma di impianti con potenza elettrica di 50-55 MW.

Non stiamo parlando di impianti nel deserto, come quelli del Nord Africa a cui spesso ci si riferisce nei vari articoli che sembrano fare propaganda al termodinamico più che alle rinnovabili in generale, ma di impianti in aree agricole ad alto valore ambientale, paesaggistico, agricolo ed a poche centinaia di metri da luoghi fortemente antropizzati.

Se ci dovessimo chiedere come mai i vari impianti termodinamici, presentati in Italia, non sono stati autorizzati, la ragione andrebbe ricercata in una sola costatazione: carenze progettuali, carenze negli studi di impatto ambientali presentati dalle società proponenti e mancanza di informazione.

Propria quella mancanza di informazione che porterebbe a configurare una violazione della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ratificata in Italia con legge n. 108/01, che all’art. 6 stabilisce, con disposizione immediatamente precettiva, che ogni decisione relativa ad una serie di attività suscettibili di produrre effetti pregiudizievoli sull’ambiente sia preceduta nella fase iniziale del processo decisionale da un’informazione adeguata, tempestiva ed efficace del pubblico interessato.

Per “pubblico interessato”, secondo le definizioni della convenzione, si intende il pubblico che subisce o può subire gli effetti dei processi decisionali in materia ambientale o che ha un interesse da far valere al riguardo.

Propria quella mancanza di informazione che porterebbe a configurare una violazione del D.Lgs. n. 4/2008, correttivo del D.Lgs. n. 152/2006, che ha introdotto l’obbligo di fornire al pubblico non più il semplice annuncio della comunicazione inviata alle autorità, ma la notizia del progetto, con una breve descrizione dello stesso e dei suoi possibili principali impatti ambientali, ed ha prolungato a 60 giorni il termine per la presentazione di osservazioni e di elementi conoscitivi e valutativi, in modo da contemperare le contrapposte esigenze di celerità dell’istruttoria e di fattiva partecipazione degli interessati.

Ci sarebbe da scrivere pagine e pagine di mancata informazione da parte di chi vorrebbe far apparire come luccicante ciò che non luccica affatto, almeno in Italia.

Ci limitiamo a fare un po’ di informazione sui sali fusi di cui spesso si parla facendo credere che rappresentino una importante innovazione rispetto all’utilizzo degli oli diatermici, purtroppo utilizzati nell’impianto presentato in Basilicata.

Si tratta di sali al 60% di nitrato di sodio (NaNO3) e al 40% di nitrato di potassio (KNO3).

È noto che le acque ricche di sali e di sodio degradano i suoli, in quanto ne determinano la salinizzazione e la sodificazione riducendone sostanzialmente la fertilità e quindi la produttività.

Entrambi i sali utilizzati, nitrati di sodio e nitrati di potassio, possiedono un’elevata solubilità in acqua che consentirebbe loro una rapida diffusione nella matrice suolo ed eventualmente nelle falde acquifere sottostanti.

Quindi, un accidentale sversamento di sali fusi, concomitante al verificarsi di precipitazioni meteoriche di una certa intensità, rappresenta un impatto ambientale significativo sia nel caso di sali fusi che solidi.

È chiaro che anche i concimi contengono i nitrati, ma è facilmente comprensibile che le quantità di cui stiamo parlando per un solare termodinamico (CSP) sono elevatissime se volessimo ingenuamente, o forse in malafede, paragonarle alle ridotte quantità usate nella concimazione.

Sono talmente elevate da rendere tali impianti sottoposti alla direttiva Seveso proprio per l’enorme quantitativo in gioco.

Il rischio della contaminazione dei nitrati, in seguito a sversamenti da parte degli impianti termodinamici, è tutt’altro che remota se si considera che la falda acquifera, nel caso dell’impianto presentato in Basilicata, è presente a pochi metri dal piano campagna e, evidentemente, ci troviamo in aree per nulla desertiche.

In aggiunta la stessa ENEA nel “Quaderno del solare termodinamico” del Luglio 2011, nel paragrafo titolato “Il solare termodinamico in Italia – Prospettive di sviluppo” valuta che “Le prospettive di applicazione in Italia […] appaiono modeste, […]. Rimangono disponibili le aree industriali dismesse o le discariche esaurite, dove questi impianti potrebbero rappresentare un utile modo per riqualificare l’ambiente” e nel paragrafo titolato “Conclusioni” si afferma che la tecnologia del solare termodinamico consente di valorizzare terreni non altrimenti utilizzabili, come le aree desertiche, le aree industriali dismesse o le discariche esaurite”.

Le Rinnovabili sulle quali puntare, a nostro avviso, ci sono, ma non andrebbero certo concepite tramite megalomani impianti che fanno comunque ricorso alle fonti fossili, come il gas metano, per insufficiente irraggiamento solare.

La politica delle rinnovabili deve passare dal rispetto del territorio altrimenti si rischia di commettere gli stessi errori avvenuti con il petrolio avvantaggiando spropositatamente le lobbies dell’energia senza ricadute tangibili e con l’aggravante di causare un reale impoverimento ambientale, sociale ed economico (cfr. http://forumambiente.altervista.org/fotovoltaico-si-sui-tetti-no-per-le-campagne/?doing_wp_cron=1454858110.7707350254058837890625).

Non è un caso se le scriventi Associazioni, insieme a tante altre realtà, assumono una posizione di contrasto verso le attività petrolifere, verso le rinnovabili “selvagge”, verso mega immondezzai, verso mega impianti di trattamento rifiuti non calibrati alle reali esigenze del territorio.

In definitiva, riteniamo importante opporci a tutto ciò che viene concepito senza il rispetto del Territorio e di chi lo abita.

Azione di contrasto che non si limita all’informazione e non fa sconti a nessuno (cfr. http://www.intercomunalelucania.it/2015/06/stop-all-incentivazione-delle-rinnovabili-speculative.html).

Lo scorso 6 maggio si è tenuto a Milano un convegno scientifico nazionale sul consumo del suolo intitolato “Recuperiamo terreno – Politiche, azioni e misure per un uso sostenibile del suolo”.

Recuperiamo terreno.

 

Temi chiave del convegno sono il consumo ed il degrado del suolo dovuti all’impermeabilizzazione per edificazione o costruzione di opere e infrastrutture, nonché all’erosione, alla contaminazione, al dissesto idrogeologico, al perdita di biodiversità e alla perdita della capacità del suolo di accumulare carbonio.

Problematiche che comportano impatti rilevanti sul paesaggio, sull’ambiente, sulla salute dei cittadini e su tanti aspetti della nostra vita, come ad esempio la produttività agricola, la dipendenza alimentare, la qualità delle acque potabili, eventi franosi e alluvionali, servizi turistici, eredità culturale, valori identitari riposti in quel preciso ambiente e in quel preciso paesaggio.

È proprio in questo quadro tematico risulta essere estremamente importante che la ricerca scientifica ed il lavoro di difesa delle territorio, messo in campo dalle associazioni nazionali e locali, lavorino insieme anche per diffondere un’informazione completa che accenda i riflettori sulla gravità del problema, presente e futuro, sulla necessità di norme meno ambigue e sulla necessità che quelle esistenti non vengano eluse nell’indifferenza, o peggio con la complicità, di coloro i quali sono preposti al governo e quindi alla difesa del territorio.

L’Associazione Intercomunale Lucania confederata con Pro Natura, affiancata dal Coordinamento “Salviamo il Paesaggio” del Vulture Alto Bradano e dall’Associazione A.Mi.C.A., erano presenti con un lavoro degli Ingg. Donato Cancellara e Mario Pasquino dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, intitolato “Esigenza energetica della collettività Vs. salvaguardia del suolo agricolo e tutela paesaggistica: il caso del solare termodinamico in Basilicata” (Atti 2015 del Convegno nazionale “Recuperiamo terreno”, Vol. 2, pp. 367 -381, ISBN: 978-88-448-0710-8) – (vedi allegato)

 

7 febbraio 2016

 

Ing. Donato Cancellara

Associazione V.A.S. per il Vulture Alto Bradano

Associazione Intercomunale Lucania – Fed. Pro Natura

Forum Salviamo il Paesaggio – Vulture Alto Bradano

 

 

 

 

 

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