Si ponga fine alla devastazione e saccheggio della nostra Terra

 

logo MIBAC e art.9.

nuova sentenza a tutela del patrimonio paesaggistico, archeologico e culturale

Nella difesa dei beni comuni diviene sempre più arduo far comprendere la necessità di tutelare accanitamente il nostro patrimonio paesaggistico, archeologico e culturale.

In diverse occasioni la giustizia amministrativa ha fornito importanti strumenti per rafforzare l’azione di difesa del territorio con significative indicazioni per i nostri governanti che dovrebbero mostrare una maggiore sensibilità verso i temi ambientali e paesaggistici da non considerare come fastidiosi ostacoli bensì come risorse non rinnovabili ed inestimabili, da tutelare e valorizzare.

Una recente pronuncia del Consiglio di Stato, a favore del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, fornisce un ulteriore strumento per la difesa del nostro patrimonio paesaggistico, archeologico e culturale il cui godimento dovrebbe rappresentare anche un diritto delle generazioni future e quindi l’obbligo, da parte di tutti indistintamente, di far sempre prevalere gli interessi della comunità sugli interessi economici privatistici.

Cosa dice la recente sentenza 

La Sesta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 675 del 19 febbraio 2016 ha affermato che la continuità di un’area da tutelare, tramite l’imposizione di vincoli indiretti, “non deve essere intesa in senso solo fisico, né richiedere necessariamente una continuità stilistica o estetica fra le aree, ma può essere invocata anche a tutela della continuità storica tra i monumenti e gli insediamenti circostanti”.

Conseguentemente, nel caso di una vasta porzione di territorio di interesse paesaggistico, archeologico o culturale, la continuità dell’area, ai fini di una sua tutela tramite vincoli indiretti, non è caratterizzata unicamente dal semplice rapporto di continuità fisica dei terreni interessati da beni culturali e paesistici.

Un’ennesima conferma che la nostra Carta costituzionale va interpretata, applicata e non cambiata.

Respect

Infatti, tra i principi fondamentali della Costituzione, cui la sentenza si è necessariamente ispirata, troviamo l’art. 9 che afferma: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Nella nostra Carta costituzionale non troviamo espressioni come bene comune, diritti delle generazioni future, ma sono molto ricorrenti espressioni similari come “interesse generale” e “utilità sociale”.

Qualunque azione antropica che modifica il nostro territorio dovrebbe porsi in linea, oltre che con l’art. 9, anche con l’art. 41 della Costituzione secondo cui l’iniziativa economica privata è libera, ma non può essere in contrasto con l’utilità sociale, così come l’art. 44 che associa il razionale sfruttamento del suolo al dovere di garantire equi rapporti sociali.

La recente sentenza non fa altro che riaffermare un consolidato orientamento più volte manifestato con precedenti pronunce ben conosciuta da chi difende paesaggio e territorio in generale (Cons. Stato, VI, 6 settembre 2002, n. 4566; Cons. Stato, VI, 1° luglio 1999, n. 4270).

Sentenze secondo le quali la tutela paesaggistica deve andare oltre la semplice conservazione della visuale quindi oltre la libera visibilità del bene immobile, mirando anche alla salvaguardia della consistenza materiale dell’ambiente nel quale l’immobile è inserito quindi la necessità di conservare la continuità storica e con essa quei connotati territoriali nei quali una comunità ripone i propri valori identitari.

È evidente che un territorio pur se non contiguo al bene vincolato, ma facente parte dell’ambiente nel quale il bene è situato, andrebbe tutelato così come tutto ciò che si trova in vista o in prossimità dello stesso.

Un’esigenza di tutela che non viene meno se già in passato quel territorio è stato in parte deturpato poiché deve imporsi, al contrario, un maggior rigore nelle future azioni onde prevenire ulteriori danni all’ambiente e salvaguardare quel poco di integro che ancora permane (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 13 ottobre 2004, n. 4445).

La Regione Basilicata cerca di frenare le rinnovabili speculative

Alla luce della recente sentenza, non si può che accogliere con parziale soddisfazione la recente legge regionale n. 54 del 30 dicembre 2015 “Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10.09.2010”, pubblicata sul BURB n. 53 del 30.12.2015, in recepimento della D.G.R. n. 903 del 7 luglio 2015. 

Una legge che individua tutte le aree non idonee per la collocazione di impianti, alimentati da fonte rinnovabile, quali gli eolici di grande generazione, i fotovoltaici di grande generazione e i solari termodinamici (CSP).

La legge prevede che nel caso in cui l’impianto ricada in una zona interessata da più livelli di distanze (buffer) si considera sempre la distanza più restrittiva (art. 2, comma 2) e che le disposizioni contenute nella legge si applicano anche ai procedimenti di autorizzazione in corso per i quali la Conferenza di Servizi non si sia conclusa con esito positivo alla data di entrata in vigore della citata legge (art. 4, comma 1).

Una legge che non introduce vincoli, ma che dovrebbe orientare verso giudizi sfavorevoli di compatibilità ambientale.

Pur nel rispetto del lavoro dell’Autorità competente, sarebbe auspicabile che la L.R. n. 54/2015 non sia una semplice “velina”, ma un atto sostanziale che scoraggi le società proponenti a scegliere, anche solo parzialmente, quelle aree la cui inidoneità, sia pur non vincolante in senso assoluto, dovrebbe rappresentare uno dei motivi per giustificare l’incompatibilità ambientale e paesaggistica dell’impianto.

Diversi sono gli impianti alimentati da fonti rinnovabili il cui iter autorizzativo non si è ancora concluso positivamente.

Tra questi ricordiamo il progetto dell’impianto solare termodinamico (CSP) di 50 MWe della società Teknosolar Italia 2 S.r.l. previsto in agro di Banzi (PZ) e con opere connesse interessanti il territorio di Palazzo San Gervasio (PZ) e Genzano di Lucania (PZ) ed interferente con le peculiarità ambientali e paesaggistiche del limitrofo Comune di Spinazzola (BT) della Regione Puglia. [vedi http://www.vasroma.it/il-contestato-progetto-di-impianto-solare-termodinamico-di-banzi-pz/]

Nel caso dell’impianto solare termodinamico è evidente osservare che, ai sensi della L.R. n. 54/2015, lo stesso interessa aree non idonee per differenti ordini di motivi tra cui il suo interferire con una delle 16 aree considerate di interesse archeologico e di rilevante pregio storico.

aree sottoposte a tutela del paesaggio

Cartografia con delimitazione delle aree non idonee d’interesse archeologico

In particolare, l’intera area dell’impianto ricade nel comparto territoriale n. 1 denominato “Ager Venusinus” comprendete parte dei territori comunali di Melfi, Genzano di Lucania, Lavello, Venosa, Maschito, Palazzo San Gervasio.

ubicazione impianto termodinamico 

L’impianto termodinamico interferisce con il Torrente Marascione che risulta attraversare integralmente l’area dell’impianto disattendendo quanto previsto, ope legis, dall’art. 142 comma 1 lett. c) del D.Lgs. n. 42/2004 ed interferisce con il buffer del Torrente Basentello dal quale dista meno di 200 metri dal punto perimetrale dell’impianto più prossimo al corso d’acqua, disattendendo quando previsto dalla L.R. n. 54/2015 (allegato A – art. 2 comma 1) che considera non idonee le aree interessate da beni paesaggistici e tra questi i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi delle acque pubbliche e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 500 metri ciascuna.

Inoltre, l’impianto termodinamico interferisce con i buffer previsti per i Tratturi Madama-Giulia n. 60, Palazzo-Irsina n. 61, Perazzolo n. 62 atteso che la L.R. n. 54/2015 (allegato A – art. 2 comma 1) evidenzia come non idonee le aree riguardanti i percorsi tratturali quali tracce dell’antica viabilità, in parte già tutelate con D.M. del 22 dicembre 1983, considerandoli elementi con una forte valenza paesaggistica e prevedendo un buffer minimo di 200 mt dal limite esterno dell’area di sedime.

Area impianto

Tratturi interferenti con il progetto della Teknosolar Italia 2 S.r.l.

Buffer non rispettato dall’impianto della Teknosolar, con relative opere connesse, per nessuno dei 3 tratturi evidenziati.

rendring impianto termodinamico

Infine, occorre evidenziare che l’impianto termodinamico occupa una superficie agricola ed irrigua di 226,7 ettari da considerarsi non idonea in quanto interessata da terreni destinati a colture intensive così come previsto dalla L.R. n.1/2010 “Norme in materia di energia e Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale” e ribadito dalla L.R. n. 54/2015 (allegato A – art. 2 comma 1).

Pur se volessimo limitarci a considerare le sole inidoneità dell’area, scelta dalla Teknosolar, le stesse dovrebbero essere motivo per porre una definitiva pietra tombale su una proposta progettuale la cui istanza risale all’orami lontano 2012.

In generale, si confida in una maggiore tutela del nostro territorio anche grazie al recente orientamento fornito dalla L.R. n. 54/2015 e delle recenti pronunce del Consiglio di Stato.

 

2 marzo 2016

 

Donato Cancellara

Associazione Intercomunale Lucania – Pro Natura

Associazione VAS per il Vulture Alto Bradano

Coordinamento locale del Forum Salviamo il Paesaggio – Vulture Alto Bradano  

 

 

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