Archivi Giornalieri: 6 Marzo 2016
In ordine alla inutile polemica dei giorni scorsi, sui cinque pareri espressi dalla Seconda Sezione consultiva del Consiglio di Stato, secondo cui deve essere accolta la domanda di sospensione dell’efficacia del provvedimento di collocamento a riposo di altrettanti magistrati, si deve preliminarmente osservare che gli stessi, come tutti quelli pronunciati in materia di ricorsi straordinari, sono vincolanti e non possono essere disattesi da chicchessia, né dal ministro, né dal Governo, né dal Presidente della Repubblica. D’altra parte, la giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario – che costituisce ormai un dato acquisito dell’ordinamento, essendo riconosciuta alla Sezione consultiva, quanto decide il ricorso straordinario, la natura di giudice – conferma detta natura vincolante. Disattendere tali pareri equivale a disattendere una pronuncia giurisdizionale ed è veramente singolare che ciò sia stato anche solo prospettato. Nel merito, la ragione principale per cui la Sezione Seconda si è convinta ad emettere i provvedimenti è che in tutti quei posti direttivi l’interpello (cioè il bando) per la relativa copertura è scaduto nel mese di novembre 2015 e, quindi, le complesse operazioni per nominare i successori sono partite da quella data e dureranno prevedibilmente undici mesi (lo stesso Consiglio superiore della magistratura ammette al punto nel proprio regolamento in materia che il tempo medio impiegato dai consigli giudiziari per rendere i pareri preliminari alle nomine è di otto mesi, cui si aggiungono i passaggi in commissione e plenum, che si svolgono in mai meno di tre mesi). Ci si chiede se in questo lungo periodo – che per i posti di cui si discute è appena iniziato – gli uffici possano funzionare adeguatamente senza il titolare, anche in relazione alle prevedibili conseguenze dell’applicazione sia della cosiddetta Legge Pinto, in caso di violazione del termine ragionevole del processo, sia della giurisprudenza europea sull’eccessiva durata della detenzione, dovuta a cause dipendenti anche da carenze di organico nella […]
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo che ci è stato trasmesso da Leonardo Mastragostino giornalista pubblicista socio di Italia Nostra. Leonardo Mastragostino «Il bosco non è un semplice assemblaggio di alberi ed arbusti, né può essere visto, in forma riduttiva, come una “estensione notevole di alberi selvatici” (Devoto e Oli, 1971). All’interno del bosco esiste infatti una molteplicità di alberi e di altri esseri viventi – animali e vegetali – legati l’uno all’altro da rapporti strettissimi di interdipendenza. L’insieme delle piante, nel senso più ampio, determina un assieme con gli animali ed il terreno, (la così detta biogeocenosi) che interagendo ed adattandosi ai fattori fisico-chimici costituiscono l’ “ecosistema bosco” che è teso alla costante ricerca di uno stato di equilibrio. Le intense reazioni tra gli elementi di un ecosistema sono i meccanismi che la natura mette a disposizione per mantenere il migliore equilibrio possibile tra tutte le forze e gli elementi dell’ambiente, comprese le attività dell’uomo. … … … Ma il bosco, con la sua ricchezza biologica è sempre stato considerato dall’uomo come una risorsa a costo prossimo allo zero, capace di autorinnovarsi autonomamente, e pertanto utilizzabile senza eccessivi problemi come fonte di risorse alimentari, energetiche e di materiali da costruzione. Con l’aumentare delle esigenze umane, in conseguenza e del miglioramento del tenore di vita delle popolazioni e del progressivo incremento demografico, con il conseguente allargarsi delle aree utilizzate per l’agricoltura, il saccheggio e/o la distruzione delle risorse boschive attuate per i più diversi fini, ha, nel tempo, raggiunto dimensioni sempre più vaste (Sereni, 1961). Questo è accaduto, a più riprese e per le differenti regioni italiane, in epoca storica, da quando cioè l’uomo, non ricordandosi o non rendendosi conto dell’importanza dei boschi nell’ecosistema, li ha saccheggiati e distrutti, spesso per l’acquisizione di nuove superfici da mettere a coltura […]
Nelle Filippine il rischio di tifoni della potenza catastrofica di Haiyan – che nel 2013 provocò oltre 7300 tra morti e dispersi – è sempre più alto. Secondo uno studio condotto dall’Università di Sheffield, pubblicato sull’International Journal of Climatology, l’aumento della temperatura della superficie del mare, provocato dai cambiamenti climatici, potrebbe essere fattore scatenante di cicloni tropicali sempre più estremi e intensi nell’arcipelago. Con conseguenze drammatiche in termini di perdite di vite umane e danni economici. Analizzando gli eventi verificatisi tra il 1951 e il 2013, i ricercatori hanno rilevato una lieve diminuzione di cicloni di piccola entità (quelli con venti al di sopra dei 118 chilometri orari), in particolare negli ultimi due decenni. Tuttavia negli ultimi anni sono aumentati i fenomeni più pericolosi, con venti che superano i 150 chilometri orari, colpendo principalmente l’isola settentrionale di Luzon. Studi precedenti suggeriscono che l’aumento di cicloni tropicali particolarmente intensi potrebbe essere imputato all’aumento della temperature della superficie marina registrato almeno dal 1970 come effetto dei cambiamenti climatici. Un dato che fa riflettere anche se, precisano gli scienziati, è ancora presto per giungere a conclusioni. Secondo il rapporto 2014 sui rischi globali della United Nation University le Filippine sono tra i Paesi più a rischio per una serie di eventi naturali: piogge monsoniche, cicloni tropicali, terremoti e tsunami. Nel novembre 2013 il tifone Haiyan fu uno dei più violenti mai registrati. (ANSA del 29 febbraio 2016, oere12:54)