La vera crisi – ebbe a dire anni fa Salvatore Settis – è quella del paesaggio, che invece dovrebbe essere considerato la vera risorsa italiana, una risorsa apicale che comprende tutte le altre, come ha scritto Carlo Tosco. Settis e Tosco sono tra i massimi studiosi del paesaggio, ma basta guardarsi intorno e riflettere su quanto sta avvenendo nelle singole regioni o province per rendersi conto della ferite che continuiamo a infliggere al territorio e ai danni che stiamo facendo alla nostra stessa economia, basata essenzialmente sul patrimonio territoriale. I dati a livello nazionale sono drammatici: il nostro paese ha un livello di consumo di suolo tra i più alti d’Europa. Secondo il Rapporto ISPRA 2015 il suolo consumato è oltre il 7% della superficie, mentre la media europea è poco più del 2%. Sono dati che mostrano una prepotenza dell’urbano sul rurale, un dilagare di funzioni non agricole nei campi, la perdita di un confine identitario che permetteva un dialogo reciproco tra città e campagna. Ora, chi è restato nei propri ambienti non li riconosce più, né è capace di trasmettere alle nuove generazioni la memoria dei luoghi, ma al massimo la malinconia, quando non l’angoscia o lo smarrimento, nell’omologazione di paesaggi tutti uguali e quasi sempre senza i connotati della bellezza e dell’armonia. E anche l’economia e il lavoro ne risentono negativamente: non di rado le zone con più capannoni e cemento sono anche quelle con più disoccupati o con più lavoro precario. Si tratta di un fenomeno che ci spinge anche a chiederci quanto cibo in meno è stato prodotto a causa della diminuzione della superficie coltivata. Sepolti dall’asfalto e dal cemento per costruire strade, case, centri commerciali e capannoni industriali spesso rimasti vuoti, se ne sono andati negli ultimi trent’anni campi, pascoli e altri spazi […]