Giorgio Nebbia Una primavera, quella di trent’anni fa, segnata da un gran numero di guai che, se non altro, servirono, se così si può dire, a migliorare le leggi e i controlli sulla salute e sull’ambiente. L’anno era cominciato con la pubblicazione dell’elenco delle industrie “a rischio” di incidenti; una direttiva della Comunità Europea aveva stabilito che tutti i paesi membri avrebbero dovuto fare un inventario delle industrie in cui avrebbero potuto verificarsi incidenti rilevanti, come quelli di Meda/Seveso in Lombardia, di Manfredonia in Puglia, di Bhopal in India. Erano definite “a rischio” le fabbriche che al loro interno contenevano sostanze tossiche o esplosive in quantità superiori a certi limiti; un primo elenco delle industrie a rischio italiane fu redatto all’inizio di quel 1986 e, benché il governo lo avesse tenuto segreto, divenne presto pubblico e mostrò che l’Italia era piena di fabbriche pericolose di cui le popolazioni non sapevano niente. Cominciò allora una battaglia perché le autorità sanitarie e ambientali (era stato da poco istituito il primo ministero dell’ambiente) provvedessero a imporre procedure e controlli per una maggiore sicurezza e informazione dei lavoratori e degli abitanti del territorio circostante. Nel marzo dello stesso anno fu scoperta una frode del vino che costò la vita a molte persone. Nel vino, come tutti sanno, è presente, in concentrazione fra 8 e 15 percento, alcol etilico che si forma dagli zuccheri dell’uva durante la fermentazione, quel delicato processo che assicura la qualità del vino il cui prezzo dipende, fra l’altro, proprio dalla quantità di alcol presente. Una delle frodi consisteva nel sottoporre a fermentazione uve scadenti aumentando artificialmente la gradazione alcolica o per aggiunta di zucchero al mosto o per aggiunta di alcol etilico. Nel passato era stata anche praticata la frode di aggiungere al vino alcol metilico sintetico, una sostanza […]