Idrocarburi e occupazione: l’equazione non regge

 

Idrocarburi e occupazione

Idrocarburi e occupazione sono grandezze inversamente proporzionali.

Focus: idrocarburi e occupazione. Un’equazione smentita dai fatti. 

Nel precedente post Referendum trivelle: chiariamoci le idee (un po’ lunghetto, mi rendo conto. Occorrono circa 6 minuti di lettura, ma ho cercato di affrontare il problema del referendum del 17 aprile in modo completo) per chiarire la questione della perdita di posti di lavoro che deriverebbe da una vittoria del “SI” al referendum ho citato l’autorevole parere di Leonardo Maugeri.

Assommava sotto la sua direzione i dipartimenti Strategie e Sviluppo, Ricerca Scientifica & Tecnologica e Salute, Sicurezza e Ambiente dell’Eni SpA.

Nel suo curriculum ancora presente sul sito dell’ENI veniva inquadrato “tra i massimi esperti mondiali di energia“.

Oggi insegna ad Harvard.

Maugeri sostiene che il settore degli idrocarburi

non è ad alta intensità di lavoro. Si pensi, per esempio, che la Saudi Aramco, il gigante di stato saudita che controlla le intere riserve e produzioni di petrolio e gas dell’Arabia Saudita, impiega circa 50.000 persone

Dai commenti al post, però, mi sono reso conto che sventolare il drappo rosso dei posti di lavoro derivanti dalle perforazioni di idrocarburi è un mito che ancora regge.

Posso anche comprenderlo.

In un periodo di crisi nera come quello che stiamo attraversando è evidente che sbandierare improbabili posti di lavoro ha il suo appeal, per cui c’è chi parla di 25.000 posti di lavoro complessivi, chi  come il Presidente della Regione Sicilia ne fantastica 10.000 solo in Sicilia.

Ogni tanto dovremo pur porci la domanda “a causa di chi c’è questa crisi così nera?

La risposta non potrà non essere: “a causa di quegli stessi soggetti politici che ci dicono che l’industria degli idrocarburi è la panacea per tutti i mali”.

Ritengo perciò doveroso fare un approfondimento sulla capacità di impiego del settore degli idrocarburi con il “caso Basilicata”.

È definita “il Texas italiano” perché del 7% del nostro fabbisogno energetico da idrocarburi che estraiamo in terra d’Italia  (tanto è, vedi  Referendum trivelle: chiariamoci le idee) la sola Basilicata provvede con il 70% (il che significa che quasi il 5% del nostro fabbisogno energetico primario viene tratto dalle estrazioni in Basilicata).

Se fosse vero che l’industria degli idrocarburi porta occupazione ci si aspetterebbe che in Basilicata ci sia – quanto meno – un tasso di occupazione superiore alla media nazionale, giusto?

Idrocarburi e occupazione vanno di pari passo, anzi, cosa meglio dell’industria degli idrocarburi per produrre occupazione?

Ebbene, così non è.

A parte l’ormai usuale giro di mazzette, corruzione e tangenti, il tasso di occupazione pone la Regione Basilicata al 17° posto su venti regioni.

Se mai ci fossero ancora dubbi, invito a investire 90 minuti del proprio tempo (giuro che di investimento si tratta e non è tempo buttato al vento) per rivedere la puntata di “Presa Diretta” del 22/02/2015  per verificare cosa accade nel “Texas d’Italia” in termini di occupazione, ma anche di devastazione del territorio e di mattanza dell’economia vera e che perdurerebbe (agricoltura, soprattutto), ma che soccombe per la soddisfazione di poche compagnie petrolifere e per pochi anni.

La Regione Basilicata, dall’estrazione degli idrocarburi porta la croce, altro che “nuovi posti di lavoro”.

Idrocarburi e occupazione, idrocarburi e sviluppo, idrocarburi e progresso sono termini in contraddizione.

 

(Articolo di Stefano Alì, pubblicato con questo titolo il 14 marzo 2016 sul sito ”Il Cappello pensatore”)

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