Vittorio Emiliani Avanti che il governo Renzi mettesse mano, prima col ministro Dario Franceschini e poi con la ministra Madia, a tutta una serie di “riforme” che investono in pieno il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si pensava che quel corpo stremato e indebolito dai ripetuti tagli di risorse andasse anzitutto rivitalizzato subito con un piano graduale che prevedesse: a) una congrua ricostituzione delle risorse per la cultura, divenute infime, e che ci ponevano, secondo l’Istat, al 22° posto, dopo Malta, Cipro e Bulgaria e prima delle sole Grecia e Romania; b) la riduzione del “testone” centrale di direttori centrali e regionali, con il ripotenziamento delle Soprintendenze diffuse sul territorio e del personale divenuto drammaticamente insufficiente a fronte delle aggressioni portate al paesaggio, a partire da quello tecnico-scientifico, sottoretribuito e mediamente sui 50-55 anni di età; c) l’organizzazione sollecita di autentici concorsi di merito coi quali rinsanguare gli ormai anemici quadri tecnico-scientifici e lo stesso personale di custodia del Mibact arricchendolo di nuove competenze e professionalità; d) uno status giuridico ed una autonomia funzionale per i musei maggiori ai quali destinare una parte delle somme oggi lucrate dalla società oligopolistiche di servizi aggiuntivi; e) un rapporto coi privati che privilegiasse i mecenati veri e che non avviasse alcuna ambigua privatizzazione delle gestioni museali. Era una linea, questa, che ancora ricomprendeva la cosiddetta valorizzazione nella tutela stessa. Due valori scissi dal sciagurato pasticcio del Titolo V della Costituzione (Bassanini-Fassino), ricuciti a fatica, bisogna riconoscerlo, dai ministri Rocco Buttiglione e Francesco Rutelli. Renzi e per lui Franceschini ha invece puntato sulla netta scissione fra valorizzazione e tutela al punto che si parla soltanto della prima e la seconda è praticamente sparita dal lessico ministeriale e governativo. In perfetta coerenza del resto con quanto aveva scritto nel suo libro […]