Oxfam: «Con il cambiamento climatico, industria alimentare insostenibile»

 

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Il nuovo dossierA qualcuno piace caldo: così l’industria alimentare nutre il cambiamento climatico”, diffuso da Oxfam in occasione del Business and Climate Summit 2016, che riunirà oggi e domani a Londra, i rappresentanti delle grandi aziende, della finanza e delle istituzioni internazionali, non lascia molto spazio a interpretazioni: «L’industria alimentare che produce riso, soia, mais, grano e olio di palma, genera da sola una quantità di emissioni di gas serra superiore a quella prodotta da qualsiasi altro paese al mondo, ad eccezione di Cina e Stati Uniti».

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Il dossier analizza il rapporto tra industria alimentare e cambiamento climatico e sottolinea che «le grandi aziende produttrici di queste cinque materie prime, assieme a molte altre, debbano ridurre drasticamente e al più presto la quantità di emissioni in atmosfera.  

A rischio infatti c’è prima di tutto il raggiungimento degli obiettivi chiave definiti nell’accordo di Parigi del dicembre scorso, ossia l’azzeramento delle emissioni entro la metà del secolo e il contenimento dell’aumento delle temperature entro 1,5° C.   

Due obiettivi che senza una immediata inversione di rotta sarà impossibile centrare».

Il rapporto individua nelle emissioni della produzione agricola intensiva una delle cause principali del cambiamento climatico: «Basti pensare al metano prodotto dalle risaie allagate o al protossido di azoto derivante dall’utilizzo dei fertilizzanti.  

Se sommate, infatti, questo genere di emissioni sono dannose per l’ambiente quanto quelle prodotte dalla deforestazione per scopi agricoli, che giustamente è stata al centro delle politiche di lotta al cambiamento climatico degli ultimi anni».

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Elisa Bacciotti, direttrice delle Campagne di Oxfam Italia, evidenzia che «l’accordo di Parigi è stato un primo importante passo avanti, ma non riusciremo a raggiungerne gli obiettivi senza un ulteriore sforzo e un’azione urgente.  

Le grandi aziende riunite a Londra oggi e domani devono dar prova che Parigi è stato davvero un trampolino di lancio verso tagli più consistenti alle emissioni e devono assicurare un maggiore sostegno agli agricoltori di piccola scala nella lotta agli effetti del cambiamento climatico.  

Il settore alimentare è il primo ad essere chiamato in causa e dovrebbe davvero aprire la strada per gli altri settori, affinché questo processo virtuoso diventi realtà».

“A qualcuno piace caldo” prende di mira l’industria alimentare: «Oggi è responsabile per almeno il 25% delle emissioni di gas serra a livello globale, e quindi tra i principali responsabili dei cambiamenti climatici.  

Un sistema produttivo fondato sul lavoro di milioni di agricoltori di piccola scala, che sono le prime vittime di shock climatici estremi, ormai sempre più frequenti. Un circolo vizioso insostenibile».  

Oxfam stima che «le 10 maggiori aziende del settore alimentare dipendano dal lavoro di almeno 100 milioni di agricoltori di piccola scala, che per primi subiscono le conseguenze delle calamità naturali causate dal cambiamento climatico, e sono costretti a vendere la loro terra rischiando di piombare nel circolo vizioso della povertà.  

Ad essere le più colpite sono poi le donne, che in molti paesi non hanno diritto a possedere la terra e incontrano molte più difficoltà nell’accesso al credito e ad altre risorse economiche.  

Per di più, sono spesso escluse dalle cooperative agricole e dagli altri sistemi fondamentali nel supportare il sistema agricolo quando il verificarsi di disastri climatici mette a rischio i raccolti».

La Bacciotti conclude: «Le grandi aziende del cibo non solo devono pensare a come ridurre le emissioni di gas serra all’interno della loro filiera produttiva, ma devono anche garantire ai contadini un reddito adeguato in modo che possano reggere agli impatti del cambiamento climatico, senza perdere l’unica risorsa che permette loro di condurre una vita dignitosa».

 

Videogallery

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https://www.youtube.com/watch?v=r7gQtoh0Cow

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 28 giugno 2016 sul sito online “greenreport.it”)

 

 

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