Trivelle, Tar respinge ricorso dei comuni abruzzesi. Via libera a prospezione (con air gun) in 30mila chilometri di Adriatico

 

Via libera a Trivelle in Adriatico

La Spectrum Geo Limited potrà cercare petrolio e gas in un’area dell’Adriatico vasta 30mila chilometri quadrati.

Proprio mentre in Adriatico si smantella il pozzo esplorativo di Ombrina Mare – entrato in funzione nel 2008 al largo di San Vito, davanti alle coste abruzzesi -, con una sentenza il Tar del Lazio va in direzione opposta.

È stato bocciato, infatti, il ricorso presentato dalla Provincia di Teramo, da sette Comuni della costa teramana e da altri due Comuni marchigiani contro il decreto di Via (valutazione di impatto ambientale) rilasciato in favore della compagnia inglese.

L’attività è quella di prospezione descritta da due istanze presentate il 26 gennaio 2011 per altrettante aree dell’Adriatico, la d1 BP SP (per 13.700 chilometri quadrati, da Rimini a Termoli) e la d1 FP SP (per 16.210 chilometri quadrati, da Rodi Garganico a Santa Cesarea Terme).

Gli enti locali contestavano la procedura seguita dai ministeri competenti e che ha portato al decreto di Via: dal limite dell’area interessata, fino alla mancata Valutazione ambientale stragetica. Per il Tar, invece, la Via è legittima, soprattutto perché non si tratta di attività di ricerca, ma di prospezione.

Che vuol dire air-gun.

Ora però il ministero non avrà nessuno ostacolo per il rilascio del permesso di ricerca.

«Parlare di una nuova strategia energetica nazionale, come fa il governo, è l’ennesima presa in giro nei confronti dei quasi 14 milioni di italiani che il 17 aprile hanno chiesto di voltare pagina. Faremo pressioni su Regioni, Province e Comuni perché facciano ricorso al Consiglio di Stato» dice a ilfattoquotidiano.it Enrico Gagliano del Coordinamento nazionale No Triv.

L’area interessata

L’area complessiva, originariamente, era ancora più vasta (tant’è che nel ricorso si fa riferimento a 30.810 chilometri quadrati) ma alla luce del limite delle 12 miglia introdotto con la legge di Stabilità (e dopo la diffida presentata dagli enti che hanno fatto ricorso), il Ministero dello Sviluppo Economico ha riperimetrato l’area, come pubblicato sul Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi di gennaio scorso.

Cinque le regioni interessate dalle attività di prospezione: Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia.

E proprio da quest’ultima regione era partito un altro ricorso ancora pendente, il cui esito a questo punto potrebbe andare nella stessa direzione di quello appena pronunciato dai giudici amministrativi del Lazio.

A proporre ricorso oltre alla Provincia di Teramo, sono stati i Comuni di Alba Adriatica, Cupra Marittima, Giulianova, Martinsicuro, Pedaso, Pineto, Roseto degli Abruzzi, Silvi e Tortoreto.

Le amministrazioni chiedevano la sospensione, previo annullamento, del decreto del ministro dell’Ambiente, emanato di concerto con il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, del 3 giugno 2015, con il quale si certificava «la compatibilità ambientale relativa al programma dei lavori».  

Il verdetto del TAR

Per il Tar il giudizio positivo di compatibilità ambientale è stato rilasciato in esito ad una adeguata istruttoria, atta a rivelare non solo una compiuta valutazione dei cosiddetti ‘effetti cumulativi’, ma anche ad assoggettare l’attività di cui si discute a misure di mitigazione e a continui controlli. Si tratta di una sentenza che non convince neppure Enzo Di Salvatore, costituzionalista e autore dei quesiti del referendum sulle trivelle del 17 aprile: «I ricorrenti avevano denunciato il fatto che il provvedimento Via riguardasse aree poste entro le 12 miglia marine – spiega a ilfattoquotidiano.it – che gli enti locali non fossero stati coinvolti, che non fosse stata effettuata la Vas (Valutazione ambientale strategica) e che la richiesta di rilascio del permesso riguardi due aree di ben 30mila chilometri quadrati».

Se il Mise è intervenuto sul limite delle 12 miglia, era rimasto infatti il problema dell’estensione delle zone interessate dalle due istanze.

La legge 625 del 1996 prevede che la zona del permesso di ricerca non possa superare l’estensione di 750 chilometri quadrati.

Ed è proprio questo il fulcro del verdetto dei giudici amministrativi, secondo cui «l’attività di ricerca – scrivono nella sentenza – è connotata da ricadute sul territorio chiaramente più gravose ed invasive di quella di mera prospezione».

Così il Tar esclude quel limite imposto per legge, ritenendo che la normativa non disciplini anche l’attività oggetto delle istanze della Spectrum Geo, che non riguardano «il rilascio di un permesso di ricerca».

Il costituzionalista :«sentenza contraddittoria».

Per Enzo Di Salvatore si tratta di «un divieto che, invece, non può che riguardare anche le attività di prospezione».

Il Tar ritiene che il limite dell’estensione dell’area sia da collegare al minore o maggiore impatto delle attività di ricerca, e cioè che debba valere solo per la ricerca effettuata con il pozzo esplorativo e non per quella eseguita con altre tecniche.

La pensa diversamente Di Salvatore secondo cui «se il legislatore avesse voluto, avrebbe potuto limitare il divieto di ricerca solo all’utilizzo del pozzo esplorativo, cosa che invece non ha fatto».

Di più: «Il ragionamento del Tar è contraddittorio, perché se la ratio del divieto fosse quella di contenere gli impatti particolarmente invasivi di una data tecnica di ricerca, il divieto dovrebbe riguardare a maggior ragione (se non esclusivamente) le attività di prospezione».

Questo perché, secondo il costituzionalista «un conto è un pozzo esplorativo che ha sì un impatto, ma limitato a un’area geografica, un conto è una tecnica di prospezione come quella dell’air-gun», che consiste in scariche violente di aria compressa verso i fondali.

«Una tecnica – conclude Di Salvatore – non solo invasiva, ma che viene effettuata a tappeto e che, in questo caso, riguarderebbe un’area molto vasta, con impatto su cinque regioni».

 

(Articolo di Luisiana Gaita, pubblicato con questo titolo il 28 luglio 2016 su “Il Fatto Quotidiano”)

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