Napolitano: i confini del premier non sono dilatati

 

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Caro Professore, la ringrazio naturalmente per i generosi riconoscimenti rivolti alla mia persona già all’inizio della lettera: riconoscimenti peraltro introduttivi a domande insinuanti e ad aspre quanto infondate considerazioni relative al mio atteggiamento sulla riforma costituzionale approvata dal Parlamento. Premetto che escludo di poter rispondere giornalisticamente su questa materia a questioni o osservazioni di singole personalità.

Lo faccio qui brevemente, ed eccezionalmente, per cortesia verso il Direttore de La Repubblica. Ma in generale, rinvio chiunque a quanto in materia ho detto e mi riservo di dire pubblicamente, rivolgendomi alla generalità degli interessati al confronto referendario in atto.

Ribadisco qui solo che non ho mai “mutato radicalmente” la posizione che assunsi sulla “riforma Berlusconi- Bossi“: della quale d’altronde non potetti nemmeno occuparmi ampiamente, o “vigorosamente“, in quanto entrai in Senato, chiamatovi come Senatore a Vita dal Presidente Ciampi, appena in tempo per pronunciare un sintetico intervento alla fine della discussione e alla vigilia del voto finale, il 15 novembre 2005.

Una lettura non unilaterale e strumentale di quel mio testo mostra chiaramente che considerai essenzialmente come “inaccettabile“, di quella legge di riforma, il “voler dilatare in modo abnorme i poteri del primo ministro“, con un evidente “indebolimento dell’istituto supremo di garanzia, la Presidenza della Repubblica“.

Del che non vi è traccia nella riforma attuale.

Diversi punti poi toccati dalla sua lettera, e sollevati da altri, hanno già ricevuto puntuali risposte da parlamentari autorevoli che sono stati gli effettivi protagonisti della definizione della legge, articolo per articolo, su cui il Parlamento si è espresso a larga maggioranza anche in Senato.

Lei ne ha certamente preso nota, studiando e citando anche qualche fonte non italiana.

In quanto a me non sono, com’è ovvio, come Senatore di Diritto e a Vita, rappresentante elettivo della nazione, ma mi sentirò pienamente a mio agio anche nel nuovo Senato grazie a titoli di rappresentanza che mi sono stati conferiti con l’elezione a Presidente della Repubblica e con il successivo status attribuitomi dall’art. 59 della Costituzione.

Infine, per quanto mi riguarda, più in generale ho esposto organicamente le mie posizioni e i miei argomenti di carattere storico-istituzionale nell’ampio intervento in discussione generale alla I Commissione del Senato il 15 luglio 2015 (e nella dichiarazione di voto resa in Aula il 13 ottobre 2015).

Sono certo che lei – nella lodevole grande attenzione che ha riservato a queste questioni, pur lontane dal campo di ricerca e di insegnamento in cui ha saputo eccellere – abbia letto attentamente il testo di entrambi quei miei interventi, peraltro facilmente a tutti accessibile.

Per ausilio pratico, gliene invio comunque copia.

 

(Risposta di Giorgio Napolitano alla lettera aperta di Salvatore Settis, pubblicata con questo titolo il 4 ottobre 2016 su “la Repubblica”)

 

N.B. – Il senatore Giorgio Napolitano ha evitato di rispondere riguardo alla possibilità di eleggere il Presidente della Repubblica dal settimo scrutinio in poi con i tre quarti dei votanti e non più dei componenti della intera assemblea, dando di fatto alla maggioranza dei deputati del Governo di turno la possibilità di eleggersi da soli un proprio Presidente di appoggio al Governo (perché basterebbero 220 voti su un quorum minimo di 366): non ne ha parlato affatto nemmeno nell’ampio intervento in discussione generale alla I Commissione del Senato il 15 luglio 2015 (vedi http://www.ilfoglio.it/politica/2015/07/15/bicameralismo-non-funziona-riformare-costituzione-soccorso-napolitano-alle-riforme-di-renzi___1-v-130873-rubriche_c288.htm) né nella dichiarazione di voto resa in Aula il 13 ottobre 2015 (vedi http://www.unita.tv/focus/napolitano-impegniamoci-tutti-per-il-nuovo-senato-video/). 

Il senatore Napolitano non ravvede in questa riforma costituzionale il “voler dilatare in modo abnorme i poteri del primo ministro“, con un evidente “indebolimento dell’istituto supremo di garanzia, la Presidenza della Repubblica“.  

Non considera che le modifiche sostanziali apportate al Titolo V della Costituzione consistono fra l’altro in un evidente accentramento in capo allo Stato di molte delle materie concorrenti con le Regioni (art. 117), fino alla cosiddetta “clausola di supremazia”, che diventerebbero nel bene o nel male di competenza esclusiva del Governo volta per volta di turno con un più che evidente rischio di premierato assoluto.

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