Quesito ingannevole? Il Colle scarica la Cassazione

 

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Le polemiche sulla scheda del referendum costituzionale prendono la strada della giustizia amministrativa.

Arriva al Tar del Lazio un ricorso contro il decreto del presidente della Repubblica che ha indetto il referendum il 4 dicembre, stabilendo anche il testo del quesito.

Testo che non riporta l’intero elenco degli articoli della Costituzione modificati o soppressi dalla riforma che gli elettori devono approvare o respingere – sono in totale 47 articoli -, così come previsto dalle legge che ha introdotto i referendum nel 1970.

Ma solo una sintesi del contenuto del disegno di legge, soluzione già adottata in occasione dei due precedenti referendum costituzionali nel 2001 e nel 2006.

Si chiese allora ai cittadini di approvare o respingere le «modifiche al Titolo V» (2001) e le «modifiche alla seconda parte» della Costituzione (2006).

Due quesiti sintetici eppure neutri, se paragonati a quello che il presidente del Consiglio Renzi ha cominciato a esibire in comizi e trasmissioni tv anche prima di fissare la data del referendum.

Agli elettori, oggi, viene chiesto di approvare o respingere le «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione».

Una formula ingannevole, per i sostenitori del No.

Secondo i quali il quesito contiene più gli auspici del governo che la realtà della riforma, visto che il bicameralismo non è affatto superato, vengono ridotti solo i senatori e non i deputati, il contenimento dei costi è al massimo una possibilità e la soppressione del Cnel è assai meno rilevante di una serie di novità costituzionali neanche citate, come la modifica dei quorum per l’elezione del presidente della Repubblica.

I sondaggi sul referendum testimoniano di una grande incertezza, la preoccupazione degli avversari della riforma è che una quota di indecisi possa essere convinta, direttamente nell’urna, dal testo accattivante del quesito.

A firmare il ricorso al Tar sono due avvocati del comitato del No (Enzo Palumbo e Giuseppe Bozzi) e due senatori (Vito Crimi del M5S e Loredana De Petris di Sinistra italiana) che sono tra i firmatari della prima richiesta di referendum sulla riforma, ammessa dalla Cassazione il 6 maggio scorso.

Una richiesta che per la verità era fatta indicando come testo da sottoporre a referendum lo stesso che adesso il No considera ingannatore.

Ma, sostiene l’avvocato Palumbo, è proprio la legge sul referendum a distinguere tra il momento in cui si avanza la richiesta di referendum, dov’è consentita una indicazione generica della legge che si intende fermare con il referendum (articolo 4 della legge 352/70) e il momento in cui si stabilisce il quesito, che andrebbe scritto sulla scheda indicando tutti i punti della Costituzione soggetti a modifica, così come impone l’articolo 16 della stessa legge.

Il decreto del presidente della Repubblica che indice il referendum, invece, riporta solo il titolo del disegno di legge Renzi-Boschi, chiaramente concepito dal governo in vista del referendum e passato indenne attraverso il percorso – blindato – di approvazione parlamentare.

Il Quirinale, ieri, con una nota dell’ufficio stampa, ha scaricato la responsabilità sull’Ufficio centrale per il referendum della Cassazione, che ha svolto le verifiche formali sulle richieste di referendum: «Il quesito è stato valutato e ammesso, con proprio provvedimento, dalla corte di Cassazione e riproduce il titolo della legge approvato dal parlamento».

«Ma la legge – è la replica dell’avvocato Palumbo – all’articolo 16 che il Quirinale nel suo decreto ha anche dimenticato di citare, indica in termini precisi e senza equivoci che il quesito dev’essere scritto citando gli articoli oggetto del referendum».

In realtà, già al tempo della prima richiesta di referendum, il vecchio democristiano Peppino Gargani, oggi schierato con il No, si era accorto che era il caso di riformulare la domanda alla Cassazione, ma la sua istanza era stata respinta dai giudici della suprema Corte che avevano già ammesso il referendum.

A tempo di record: a maggio sembrava infatti che il governo volesse votare il prima possibile.

E velocissimo dovrebbe essere adesso il Tar del Lazio, se volesse accogliere quest’ultimo ricorso: per confermare la data del 4 dicembre eventualmente cambiando il quesito resta poco più di una settimana.

 

(Articolo di Andrea Fabozzi, pubblicato con questo titolo il 6 ottobre 2016 su “Il Manifesto”)

 

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