Referendum – Conoscere per votare: le disposizioni in materia di decretazione d’urgenza

 

articolo-77

Il vigente articolo 77 della Costituzione dispone testualmente:

Art. 77

Il Governo non può , senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. 

Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. 

I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.  

Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.

Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva le seguenti modifiche riguardanti l’art. 77, contenute all’art. 12 dedicato alle “Disposizioni in materia di decretazione d’urgenza”:

Art. 12 

(Disposizioni in materia di decretazione d’urgenza)

1. All’articolo 77 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «delle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati»;

b) al secondo comma, le parole: «alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono» sono sostituite dalle seguenti: «alla Camera dei deputati che, anche se sciolta, è appositamente convocata e si riunisce»;

c) al terzo comma, secondo periodo, le parole: «Le Camere possono» sono sostituite dalle seguenti: «La Camera dei deputati può»;

d) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«Il Governo non può, mediante provvedimenti provvisori con forza di legge:

disciplinare le materie indicate nell’articolo 72, quarto comma;

reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi;

ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento.

I decreti recano misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. 

L’esame, a norma dell’articolo 70, dei disegni di legge di conversione dei decreti, è disposto dal Senato delle Autonomie entro trenta giorni dalla loro presentazione alla Camera dei deputati e le proposte di modificazione possono essere deliberate entro dieci giorni dalla data di trasmissione del testo».

Nella relazione al disegno di legge le modifiche sono state spiegate nel seguente modo: «Tale istituto trova una corrispondente compensazione, sotto il profilo di una più ri-gorosa disciplina della facoltà del Governo di ricorrere alla decretazione d’urgenza, nelle novelle introdotte nell’articolo 77 della Costituzione.

……

L’articolo 12, come accennato, modifica l’articolo 77 della Costituzione, sia limitando alla Camera dei deputati la competenza a conferire la delega legislativa, sia prevedendo che alla medesima Camera siano presentati per la conversione in legge i provvedimenti d’urgenza adottati dal Governo; a tale Camera spetta, inoltre, la facoltà di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti.

Il medesimo articolo stabilisce specifici limiti alla decretazione d’urgenza, dando così rilievo costituzionale a vincoli posti dall’articolo 15 della legge n. 400 del 1988.

Pertanto, si prevede che i decreti-legge non possano: disciplinare le materie indicate nell’articolo 72, quarto comma (disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approva-zione di bilanci e consuntivi); reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi; ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha di-chiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento.

Si dispone, inoltre, che i decreti debbano recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.

Quanto ai limiti all’introduzione, nel corso del procedimento parlamentare di conversione, di modificazioni non connesse all’oggetto o allo scopo del decreto, si è invece ritenuto di non procedere alla loro costituzionalizzazione, in considerazione del fatto che tali limiti sono già stati evidenziati dalla giurisprudenza costituzionale e che gli stessi potranno comunque essere disciplinati dai regolamenti parlamentari.

Viene, infine, precisato che la richiesta di esame da parte del Senato delle Autonomie, a norma del novellato articolo 70 della Costituzione, possa essere disposta anche in relazione ai disegni di legge di conversione dei decreti-legge; in tale caso, si prevede che la richiesta debba essere deliberata dal Senato delle Autonomie entro trenta giorni dalla presentazione dei disegni di legge alla Camera dei deputati – ciò all’evidente fine di consentire a quest’ultima Camera di valutare l’orizzonte temporale entro il quale può procedere alla conversione in legge del provvedimento d’urgenza – e che il Senato delle Autonomie possa deliberare proposte di modificazione entro dieci giorni dalla data di trasmissione del testo. »

Il disegno di legge si componeva di 35 articoli che modificavano 44 articoli della Costituzione.

Il testo finale approvato si compone invece di 41 articoli, che hanno modificato 47 articoli della Costituzione: quello dedicato ai decreti-legge è diventato l’articolo 16 ed ha il seguente testo:

Art. 16

(Disposizioni in materia di decretazione d’urgenza).

All’articolo 77 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «delle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «disposta con legge»;

b) al secondo comma, le parole: «alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono» sono sostituite dalle seguenti: «alla Camera dei deputati, anche quando la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere. La Camera dei deputati, anche se sciolta, è appositamente convocata e si riunisce»;

c) al terzo comma:

1) al primo periodo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: « o, nei casi in cui il Presidente della Repubblica abbia chiesto, a norma dell’articolo 74, una nuova deliberazione, entro novanta giorni dalla loro pubblicazione»;

2) al secondo periodo, le parole: «Le Camere possono» sono sostituite dalle seguenti: «La legge può» e le parole: «con legge» sono soppresse;

Con riferimento all’art. 77 le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) dedicano un apposito paragrafo all’argomento e riportano le seguenti precisazioni: «L’articolo in esame modifica l’articolo 77 della Costituzione, che disciplina la decretazione d’urgenza.

Viene quindi adeguato il procedimento relativo ai decre­ti-legge al nuovo assetto di bicameralismo differenziato, procedendo, al contempo, alla “costituzionalizzazione” dei limiti del contenuto della decretazione d’urgenza, già previsti a livello di legislazione ordinaria e dalla giurisprudenza costituzionale.

Disposizioni relative alla delega legislativa

In primo luogo, è oggetto di modifica il primo comma dell’articolo 77 Cost., che riguarda la delegazione legislativa.

Si ricorda che la disciplina costituzionale in tema di delegazione legislativa si esaurisce negli articoli 76 e 77, primo comma.

La seconda disposizione, nel presupposto che la funzione legislativa spetti al Parlamento, stabilisce che il Governo non può emanare decreti che valore di legge ordinaria, senza delegazione delle Camere.

La prima disposizione impone alcuni vincoli al legislatore parlamentare che consistono nella previsione di requisiti minimi della legge di delega: ai sensi dell’articolo 76, la legge delega deve contenere neces­sariamente la determinazione di principi e criteri direttivi, oggetti definiti e l’indicazione di un tempo limitato per l’esercizio della delega.

In particolare, il primo comma dell’articolo 77 Cost., come modificato, at­tribuisce alla “legge”, il potere di conferire al Governo la delega legislativa di cui all’articolo 76, che non è oggetto di alcuna modifica rispetto al testo vigente.

Attualmente, la Costituzione attribuisce tale potere ad entrambe le Camere, mentre il testo originario del disegno di legge presentato dal Governo (A.S. 1429) limitava alla Camera dei deputati la competenza a conferire la delega legislativa.

La modifica in commento (introdotta dal Senato in prima lettura), recando il riferimento alla “legge”, non individua più l’organo costituzionale a cui è attribuito il potere di delega, ma la fonte della delega legislativa.

Il riferimento alla “legge”, piuttosto che alle “Camere” è, infatti, da ricollegarsi alle diverse ipotesi di procedimento legislativo previste dal nuovo articolo 70 della Costituzione.

In tal modo, la legge delega potrebbe essere adottata all’esito di un procedimento legislativo bicamerale, ai sensi dell’articolo 70, primo comma, Cost., ovvero di un procedimento monocamerale partecipato.

Gli altri commi del nuovo articolo 77, dal secondo al settimo, dettano dispo­sizioni sulla decretazione d’urgenza, in parte modificando ed in parte ampliando l’attuale disciplina costituzionale di tale fonte normativa.

La presentazione del disegno di legge di conversione

Il novellato secondo comma dell’art. 77 – innestandosi nel nuovo procedi­mento legislativo definito in particolare dagli articoli 70 e 77 della Costituzione – prevede che i provvedimenti d’urgenza adottati dal Governo siano presentati obbligatoriamente per la conversione in legge alla Camera dei deputati, che, anche se sciolta, è appositamente convocata e si riunisce entro cinque giorni (come già previsto in Costituzione).

Pertanto, si introduce l’obbligo di avviare l’esame del decreto per la conver­sione sempre alla Camera, “anche quando la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle Camere” (ex art. 70, primo comma).

Si tratta dunque di una deroga alla regola generale, prevista dal nuovo arti­colo 72, primo comma, per cui nei procedimenti ad approvazione bicamerale, il disegno di legge può essere presentato indifferentemente ad una delle due Camere (mentre negli altri casi deve essere presentato necessariamente alla Camera).

Dai lavori parlamentari – in cui i relatori hanno evidenziato come il pro­cedimento per l’esame dei decreti-legge segua quello generale dei disegni di legge [Relazione per l’Assemblea C. 2613-A.] – e dalla formulazione utilizzata dal legislatore costituzionale al se­condo comma (“anche quando la funzione legislativa è esercitata collettiva­mente dalle Camere”) ed al sesto comma dell’art. 77 Cost. (“L’esame, a norma dell’articolo 70, terzo e quarto comma”) emerge l’intenzione di prevedere che i disegni di legge di conversione dei decreti-legge seguano – ad eccezione della disposizione sulla presentazione che deve avvenire comunque alla Camera – le regole generali previste dall’articolo 70 della Costituzione.

Il relativo proce­dimento di esame potrà pertanto essere ad approvazione bicamerale, monoca­merale partecipata ovvero, nel caso della clausola di supremazia di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., monocamerale rinforzato.

A tale impostazione, peraltro, consegue l’esigenza di assicurare che il decreto-legge abbia un contenuto tale da garantire il rispetto del requisito dell’omogeneità, oltre a quelli della specificità, della corrispondenza al titolo e dell’immediata applicazione, dettato dall’art. 77, quinto comma (v. infra).

Inoltre, nel caso in cui riguardi le leggi di cui all’art. 70, primo comma, Cost. che seguono il procedimento ad approvazione bicamerale, viene altresì in ri­lievo la previsione costituzionale di cui al suddetto art. 70, primo comma, che, all’ultimo periodo, stabilisce che “le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leg­gi approvate a norma del medesimo primo comma” (quindi ad approvazione bicamerale).

Restano pertanto da definire, anche sulla base dei principi di correttezza isti­tuzionale e di cooperazione interistituzionale, forme e modalità con cui potrà essere assicurato il rispetto delle suddette previsioni costituzionali, ivi compresa l’ipotesi di un’eventuale deliberazione da parte del Consiglio dei Ministri di un decreto-legge “a contenuto misto” (sui disegni di legge “a contenuto misto” si veda scheda relativa all’art. 70).

La regolazione dei rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti

Il terzo comma dell’articolo 77 Cost., come novellato in prima lettura dal Senato, attribuisce alla “legge” (il testo vigente fa riferimento “alle Camere”), il potere di regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti (c.d. legge di sanatoria).

Attualmente, la Costituzione attribuisce tale potere ad entrambe le Camere, mentre il testo originario del disegno di legge presentato dal Governo (A.S. 1429) – in maniera analoga a quanto previsto anche con riguardo al primo comma dell’art. 77 Cost, sulla delega legisla­tiva – limitava tale facoltà alla sola Camera dei deputati.

Anche in questo caso, come per il potere di delega legislativa, il riferimento alla “legge”, piuttosto che alle “Camere”, è da ricollegarsi alle diverse ipotesi di procedi­mento legislativo previste dal nuovo articolo 70 della Costituzione.

Il termine di efficacia dei decreti-legge nel caso di rinvio del Presidente della Repubblica

Al fine di coordinare il testo costituzionale rispetto a quanto disposto dal nuo­vo art. 74 della Costituzione in materia di rinvio da parte del Presidente della Repubblica, è stata altresì modificata la previsione, contenuta nel terzo comma dell’articolo 77, che attribuisce ai decreti-legge efficacia per sessanta giorni a de­correre dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, termine entro il quale devono essere convertiti in legge.

Il termine di efficacia del decreto-legge viene prolungato a novanta giorni nei casi di rinvio del Presidente della Repubblica.

Il novellato articolo 74 Cost. prevede infatti – in caso di rinvio da parte del Pre­sidente della Repubblica per una nuova deliberazione su una legge di conversione – il differimento di trenta giorni del termine per la conversione in legge (v. supra).

Da ciò deriva altresì che, nel caso di rinvio, i termini ordinari fissati per l’esame parlamentare dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge andranno rimo­dulati – in sede di revisione dei regolamenti parlamentari – in modo da assicurare il rispetto del suddetto termine di trenta giorni, sia nel caso di procedimento bi­camerale sia in quello monocamerale (“partecipato” o “rinforzato”), disciplinando in quest’ultimo caso tempi e modalità per le eventuali proposte di modifica del Senato.

Si ricorda che, per i procedimenti monocamerali partecipati, i tempi ordinari per l’espres­sione di eventuali proposte di modificazioni da parte del Senato sono, in base all’art. 77, sesto comma (v. infra) così articolati:

l’esame è disposto dal Senato entro 30 giorni dalla presentazione dei medesimi alla Camera;

le proposte di modificazione possono essere de­liberate entro 10 giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge di conversione, che deve avvenire – da parte della Camera – non oltre 40 giorni dalla presentazione.

L’articolo in esame introduce inoltre all’articolo 77 della Costituzione quattro commi aggiuntivi.

I limiti costituzionali alla decretazione d’urgenza

I nuovi commi quarto e quinto inseriscono in Costituzione nuovi limiti di or­dine sostanziale alla decretazione d’urgenza, mutuati dall’articolo 15 della legge n. 400/1988 e dalla giurisprudenza costituzionale.

Attualmente, la Costituzione si limita a prevedere per la decretazione i presupposti di ne­cessità e di urgenza (art. 77, secondo comma), oggetto di una copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale, che, a partire dalla sentenza n. 29 del 1995 ha ribadito l’ammissibilità di un sindacato su tali presupposti.

Il tentativo di disciplinare ulteriormente la decretazione d’urgenza, introducendo vincoli e limiti contenutistici, è stato esperito con l’articolo 15, comma 2, della legge n. 400 del 1988.

Molti dei limiti introdotti con tale legge sono frutto a loro volta di interpretazione costituzionale, che la Corte ha ricollegato all’esistenza degli stessi presupposti fattuali di cui all’art. 77, secondo comma, Cost.

In particolare, l’articolo 15, comma 2, prevede che il Governo non può, mediante decre­to-legge:

a) conferire deleghe legislative;

b) provvedere nelle materie per le quali la Costituzione (art. 72, quarto comma) richiede la procedura normale di esame davanti alle Camera, ossia in materia costituzionale ed elettorale, per la delegazione legislativa, l’autorizzazione alla ratifica di trattati interna­zionali, l’approvazione di bilanci e consuntivi;

c) rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere;

d) regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti;

e) ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento [Un ulteriore limite contenutistico è contenuto nella legge n. 212 del 2000, recante lo statuto dei diritti del contribuente, secondo cui non si può disporre con decreto-legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti. Nella prassi, tale limite non ha, peraltro, trovato applicazione.].

Nel nuovo quarto comma dell’art. 77 Cost. si “costituzionalizza” dunque il divieto:

  • di disciplinare con decreto-legge le materie per cui l’articolo 72, quinto comma, della Costituzione prevede riserva di Assemblea.

Pertanto, il decreto legge non può essere adottato nei seguenti ambiti: materia co­stituzionale ed elettorale, delegazione legislativa, conversione in legge di decreti, autorizzazione a ratificare trattati internazionali, approvazione di bilanci e consuntivi.

Tale limite è già previsto dalla legge n. 400 del 1988, all’articolo 15, comma 2, lettera b) (salva l’ipotesi della conversione in legge di decreti, che comunque era ritenuto un limite implicito).

Per il divieto di decreto-legge recante delega legislativa, inoltre, opera l’inibizio­ne prevista già alla lettera a) del citato comma 221.

Nel corso dell’esame parlamentare alla Camera è stato peraltro delimitato l’ambito di ap­plicabilità del divieto di decretazione di urgenza in materia elettorale, escludendo da tale divieto la disciplina dell’organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni.

Tale modifica tiene conto dei numerosi precedenti di decreti-legge adottati in prossimità delle elezioni per regolare aspetti di carattere organizzativo o per consentire l’abbinamento di più consultazioni elettorali (cd. election day).

In relazione alla previsione con legge ordinaria dell’esclusione della materia elettorale, si ricorda che la Corte costituzionale ha affrontato la questione nella sentenza n. 161 del 1995, nella quale ha riconosciuto l’esistenza di un divieto di provvedere con decreti-legge in ma­teria elettorale, sancito dall’art. 72, quarto comma, Cost. e richiamato dall’art. 15, secondo comma, lett. b), della legge 13 agosto 1988, n. 400, e ha rilevato che, anche ammettendo una piena equiparazione tra materia elettorale e materia referendaria, la disciplina posta dal decreto non incideva né sul voto né sul procedimento referendario in senso proprio – in cui va identificato l’oggetto della materia – ma solo sulle modalità della campagna referendaria.

Da tale affermazioni sembra desumersi che, sulla base del vigente testo costituzionale, il divieto di intervenire con decreto-legge in materia elettorale riguardi, per così dire, il “nu­cleo duro” della legge elettorale, essenzialmente quello che regola la determinazione della rappresentanza politica in base ai voti ottenuti, e non incida invece sulla cosiddetta legi­slazione elettorale di contorno o sulla disciplina di aspetti di carattere procedimentale o organizzativo.

  • di reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi;

Va ricordato che già la legge n. 400 del 1988, all’articolo 15, comma 2, lettere c) e d), prevede che il decreto-legge non possa rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali fosse stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere, né regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.

A partire dalla sentenza n. 360 del 1996, com’è noto, è stato sancito dalla Corte costituzionale il divieto di reiterazione di decreti-legge non convertiti in legge dalle Camere.

In tale sede la Corte ha precisato che “devono considerarsi costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 77 Cost., i decreti-legge iterati o reiterati, quando tali decreti, considerati nel loro complesso o in sin­gole disposizioni, abbiano sostanzialmente riprodotto, in assenza di nuovi (e sopravvenuti) presupposti straordinari di necessità ed urgenza, il contenuto normativo di un decreto-legge che abbia perso efficacia a seguito della mancata conversione”.

La Corte rileva come in tale caso si viene a collidere con la previsione costituzionale per una serie di motivi:

a) viene al­terata la natura provvisoria della decretazione d’urgenza, procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla Costituzione per la conversione in legge;

b) viene tolto valore al carattere “straordinario” dei requisiti della necessità e dell’urgenza, posto che la reiterazione viene a stabilizzare e a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi già posti a fondamento del primo decreto;

c) è così attenuata la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del de­creto non convertito, posto che il ricorso ripetuto alla reiterazione suscita nell’ordinamento l’aspettativa di consolidamento degli effetti determinati dalla decretazione d’urgenza me­diante la sanatoria finale della disciplina reiterata;

d) la prassi della reiterazione, tanto più se diffusa e prolungata nel tempo, incide sugli equilibri istituzionali, alterando i caratteri della stessa forma di governo e l’attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento;

e) siffatta prassi, se diffusa e prolungata, intacca anche la certezza del diritto nei rapporti fra i diversi soggetti, per l’impossibilità di prevedere la durata nel tempo delle norme reiterate e l’esito finale del processo di conversione, con conseguenze ancora più gravi nei casi in cui il decreto reiterato incida nella sfera dei diritti fondamentali, nella materia penale, o sia, comunque, tale da determinare effetti irreversibili in ipotesi di mancata conversione finale.

  • di ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non attinen­ti al procedimento;

Anche in questo caso va ricordato che già la legge n. 400 del 1988, all’articolo 15, comma 2, lettera e), prevede che il decreto-legge non possa operare in tal senso (sia pur con riferi­mento più generale alle “disposizioni”, e non alle norme di legge o di atti aventi tale forza).

In ogni caso comunque (quindi sia con riferimento al decreto-legge, sia alla legge ordinaria e alle altre fonti di grado primario) la riproduzione di norme dichiarate illegittime dalla Corte costituisce un’elusione del giudicato costituzionale, come tale preclusa.

Nel quinto comma dell’art. 77 Cost. sono riprese le prescrizioni della legge n. 400 del 1988 relativamente al contenuto del decreto-legge, che deve essere specifico, omogeneo, corrispondente al titolo e recare misure di immediata ap­plicazione (art. 15, comma 3, della legge n. 400/1988).

Riguardo al requisito dell’omogeneità di contenuto, nella sentenza n. 22 del 2012 la Corte costituzionale ha collegato il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico.

La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi og­gettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare.

Pertanto, si afferma che l’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 – là dove pre­scrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» – pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assur­gere a parametro di legittimità in un giudizio davanti alla Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell’intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Go­verno ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento [Per quanto riguarda la dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme del testo originario per ragio­ni attinenti anche al difetto di omogeneità possono richiamarsi le sentenze n. 171 del 2007 (DL n. 80/2004 – Incandidabilità negli enti locali) e n. 128 del 2008 (D.L. n. 262/2006 – Esproprio del teatro Petruzzelli), nelle quali sono state oggetto di censura, rispettivamente, una disposizione in materia di cause di incandi­dabilità e di incompatibilità inserita in un decreto-legge relativo a misure di finanza locale e la previsione dell’esproprio del teatro Petruzzelli di Bari inserita nell’ambito di un decreto-legge collegato alla manovra di finanza pubblica].

Nella sentenza n. 220 del 2013 la Corte si è espressa inoltre sull’immediata applicazione delle misure recate dal decreto-legge, rilevando che “i decreti-legge traggono la loro legit­timazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità”.

Secondo la Corte, la disposizione della legge n. 400 del 1988 (art. 15, co. 3), secondo la quale i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge, che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo.

Nella citata sentenza la Corte Costituzionale ha dunque dichiarato illegittimo (si veda in particolare la sentenza n. 220 del 2013 sul DL n. 201/2011- Riforma delle province), l’uso del decreto-legge per introdurre riforme di carattere ordinamentale, come, nel caso di specie, la riforma delle province prevista dall’art. 23-bis del D.L. 201/2011.

Secondo il ragionamento della Corte, tale limite discende dalla natura stessa del decreto-legge, per cui materie di carattere ordinamentale non possono essere interamente condizionate dalla con­tingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell’art. 77 Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall’insorgere di «casi straordinari di necessità e d’urgenza».

L’esame parlamentare dei disegni di legge di conversione

Gli ultimi due commi sono relativi all’esame parlamentare dei disegni di legge di conversione.

Il sesto comma stabilisce le modalità del procedimento di conversione per quanto riguarda il Senato, prevedendo che:

  • l’esame del disegno di legge di conversione “è disposto” dal Senato entro 30 giorni dalla presentazione alla Camera dei deputati;
  • la Camera trasmette il testo al Senato entro 40 giorni dalla presentazio­ne. Tale previsione è stata introdotta nel corso dell’esame alla Camera, al fine di garantire la certezza dei tempi del procedimento di conversione;
  • le proposte di modificazione possono essere deliberate entro 10 giorni dalla data di trasmissione del testo. Nel procedimento si ravvisano le seguenti peculiarità rispetto al procedimento monocamerale ordinario:
  • dalla formulazione del testo (l’esame “è disposto”) deriva che, nel caso di disegni di legge di conversione di decreti-legge, non vi è la necessità che la richiesta di esame sia formulata da un quorum minimo di senatori (come previsto per la procedura ordinaria), essendo comunque posta all’ordine del giorno. Appare invece richiesta in ogni caso una delibera del Senato, come si evince anche dalla previsione di un termine (30 giorni) entro cui disporre l’esame. Si ricorda inoltre che analoga dizione (“l’esame è disposto entro 10 giorni dalla data di trasmissione”) è utilizzata dal legislatore costituziona­le all’art. 70, quarto comma, per la procedura monocamerale “rinforzata”, relativa alla clausola di supremazia di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione;
  • tale esame è disposto entro trenta giorni dalla presentazione del disegno di legge di conversione alla Camera dei deputati, prescindendo quindi dal completamento dell’iter presso quel ramo, come nella procedura ordinaria;
  • le proposte di modificazione del Senato dovranno riferirsi al testo appro­vato dalla Camera, essendovi per quest’ultima l’obbligo costituzionale di concluderne l’esame entro 40 giorni dalla presentazione. Si ricorda come attualmente, nella prassi, accada non di rado che uno dei due rami del Par­lamento esamini il disegno di legge di conversione in tempi che superano anche i 40 giorni, con la conseguenza che il testo viene, di fatto, trasmesso all’altra Camera quasi a ridosso del termine per la relativa conversione;
  • le proposte di modificazioni del Senato devono essere formulate entro 10 giorni dalla data di trasmissione (nella procedura ordinaria, il termine è invece di 30 giorni dall’avvio dell’esame); • la Camera dispone in tal modo dei successivi 10 giorni per la valutazione delle eventuali proposte di modificazione del Senato e per l’approvazione in via definitiva del disegno di legge di conversione.

Durante l’esame in prima lettura al Senato è stato introdotto il settimo com­ma, che riprende il tema dell’omogeneità del contenuto, ma con riferimento al momento dell’esame parlamentare ai fini della conversione, avendo riguardo alle disposizioni introdotte nel corso dell’iter presso le Camere.

Tale disposizione prevede infatti che nel corso dell’esame di disegni di legge di conversione non possano essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto.

Siffatta previsione esplicita alcune questioni sottese alla più recente giurispru­denza costituzionale (in particolare, sentenze n. 220 del 2012 e n. 32 del 2014) e avrà riflessi anche sulle decisioni relative all’ammissibilità delle proposte emen­dative che spettano, in via definitiva, ai Presidenti della Camera e del Senato.

In particolare, al Presidente del Senato competeranno le decisioni con riguardo agli emendamenti riferiti, nel corso dell’iter al Senato, ai disegni di legge ad appro­vazione bicamerale, nonché riguardo alle proposte di modificazioni deliberate sul testo trasmesso dalla Camera.

Andrà peraltro definito in sede regolamentare la possibile configurazione in capo al Presidente della Camera – in qualità di “garante” del procedimento mo­nocamerale “partecipato” – di un potere di valutazione sull’ammissibilità delle proposte di modifica trasmesse dal Senato alla luce del criterio di omogeneità di contenuto che deve essere rispettato nel corso di tutto l’esame parlamentare.

Potrà, in proposito, venire in rilievo anche la clausola di carattere generale prevista all’art. 70, sesto comma, Cost. in base alla quale i Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza , sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti.

Sul tema la Corte si è pronunciata con nettezza nella sentenza n. 22 del 2012 (DL n. 225/2010 – “mille proroghe”), con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di disposizioni introdotte nel corpo del decreto-legge per effetto di emendamenti approvati in sede di conversione.

In particolare, la Corte ha affermato che la legge di conversione deve osservare la necessaria omogeneità del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all’apprezza­mento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento.

È infatti, lo stesso art. 77 secondo comma, Cost., ad istituire “un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario”, in base al quale è esclusa la possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario.

La Corte non esclude che le Camere possano, nell’esercizio della propria ordinaria potestà legislativa, apportare emendamenti al testo del decreto-legge, che valgano a modificare la disciplina normativa in esso contenuta, a seguito di valutazioni parlamentari difformi nel merito della disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in vista delle medesime finalità.

Il testo può anche essere emendato per esigenze meramente tecniche o formali.

Ciò che esorbita invece dalla sequenza tipica profilata dall’art. 77, secondo comma, Cost., è l’alterazione dell’omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica.

L’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame es­senziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione; in tal caso, la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgen­za per le norme eterogenee aggiunte, ma per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge.

Tale orientamento è stato successivamente confermato con l’ordinanza n. 34 del 2013 (DL n. 203/2005 – Ammortamento beni strumentali) e la sentenza n. 32 del 2014 (DL n. 272/2005 – Reati in materia di stupefacenti), nella quale sono svolte ulteriori argomenta­zioni a sostegno della coerenza tra decreto legge e legge di conversione.

Quest’ultima segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato dal rispetto di tempi particolarmente rapidi, che si giustificano alla luce della sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizza­zione di un provvedimento avente forza di legge.

Dalla sua connotazione di legge a com­petenza tipica derivano i limiti alla emendabilità del decreto-legge.

La legge di conversione non può, quindi, aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, come del resto prescrivono anche i regolamenti parlamentari.

Diversamente, l’iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare.

Pertanto, la Corte ribadisce che “l’inclusione di emendamenti e articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del decreto-legge, o alle finalità di quest’ultimo, deter­mina un vizio della legge di conversione in parte qua”.

Ciò vale anche nel caso di provvedi­menti governativi ab origine a contenuto plurimo, come nel caso di specie della sentenza n. 32, per cui “ogni ulteriore disposizione introdotta in sede di conversione deve essere stret­tamente collegata ad uno dei contenuti già disciplinati dal decreto-legge ovvero alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso”.

La Corte prosegue, precisando che l’eterogeneità delle disposizioni aggiunte in sede di conversione determina un vizio procedurale delle stesse, che spetta solo alla stessa Corte accertare.

Si tratta di un vizio procedurale peculiare, che per sua stessa natura può essere evi­denziato solamente attraverso un esame del contenuto sostanziale delle singole disposizioni aggiunte in sede parlamentare, posto a raffronto con l’originario decreto-legge.

All’esito di tale esame, le eventuali disposizioni intruse risulteranno affette da vizio di formazione, per violazione dell’art. 77 Cost., mentre saranno fatte salve tutte le componenti dell’atto che si pongano in linea di continuità sostanziale, per materia o per finalità, con l’originario decreto-legge.

Un ulteriore profilo affrontato dalla Corte Costituzionale, su cui non interviene espressa­mente il testo di legge costituzionale, è quello relativo alla previsione di deleghe nell’ambito dei provvedimenti di urgenza, questione che si pone esclusivamente con riferimento alla possibilità di inserire nel corso dell’esame parlamentare norme di delega nell’ambito del disegno di legge di conversione, essendo pacifico che nel testo del decreto-legge non pos­sono essere inserite norme di questo tipo, riservando gli articolo 76 e 77 Cost. il potere di conferire deleghe esclusivamente alle Camere.

Sul punto ha avuto occasione di pronunciarsi recentemente la Corte costituzionale con la sentenza n. 237 del 2013 (Legge di conversione n. 148 del 2011 – Delega sulla “geografia giudiziaria”), che contiene affermazioni parzialmente difformi da quelle delle sentenze n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014, le quali riconoscono l’esistenza di un nesso funzionale tra decreto-legge e legge di conversione, escludendo che quest’ultima possa aprirsi a contenuti ulteriori rispetto a quelli ammessi per il decreto-legge.

Nella sentenza n. 237 del 2013, invece, la Corte, riprendendo la precedente sentenza n. 63 del 1998, rileva la completa autonomia delle disposizioni di delega inserite nella legge di conversione rispetto al decreto-legge e alla sua conversione.

La Corte riconosce dunque alla legge di conversione un duplice contenuto con diversa na­tura ed autonomia: l’uno di conversione del decreto-legge, con le modificazioni introdotte, adottato in base alla previsione dell’art. 77, terzo comma, della Costituzione; l’altro, di legge di delega ai sensi dell’art. 76 della Costituzione.

La sentenza conclude dunque nel senso che “il Parlamento, nell’approvare la legge di conversione di un decreto-legge, possa esercitare la propria potestà legislativa anche introducendo, con disposizioni aggiuntive, contenuti nor­mativi ulteriori, peraltro con il limite […] dell’omogeneità complessiva dell’atto normativo rispetto all’oggetto o allo scopo (sentenza n. 22 del 2012)”.»

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LE RAGIONI DEL SÌ

 

Dal sito Basta un Sì

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 Articolo 77: come la riforma mette fine all’abuso dei decreti legge

L’articolo 77 contiene la disciplina di uno degli strumenti attraverso cui il Governo assume la responsabilità di esercitare, in casi particolari, la potestà legislativa: il decreto legge.

Tale strumento viene considerato “atto avente forza di legge”, nel senso che gli effetti prodotti equivalgono, temporaneamente, agli effetti che si produrrebbero se fosse il Parlamento ad emanare un provvedimento normativo.

La particolarità del decreto legge sta nel fatto che questo debba essere, secondo l’attuale previsione dell’articolo 77, convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni.

Se la disciplina in questione appare abbastanza chiara, soprattutto per quanto riguarda i presupposti per l’adozione di un decreto legge – situazioni di necessità ed urgenza -, numerosi sono stati i casi in cui l’Esecutivo ha abusato della decretazione d’urgenza, contribuendo a rendere il nostro ordinamento pletorico e disordinato.

Spesso e volentieri il Governo ha utilizzato impropriamente la decretazione d’urgenza per supplire alla lentezza ed inefficienza del Parlamento, e questo utilizzo frequente, oltre ad esautorare il Parlamento delle proprie prerogative, risulta non essere in linea con quanto previsto in Assemblea Costituente.

Per queste ragioni la riforma interviene per fare chiarezza rispetto ai presupposti per l’adozione di un decreto legge nonché sul contenuto del provvedimento.

Il primo comma rimane sostanzialmente invariato, e stabilisce che “il Governo” non possa “senza delegazione disposta con legge, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.”

Il secondo comma stabilisce che, in casi di necessità ed urgenza, il Governo possa adottare “provvedimenti provvisori con forza di legge” e che debba “il giorno stesso presentarli per la conversione alla Camera dei deputati, anche quando la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”.

Quest’ultima previsione si giustifica sulla base del fatto che sia la sola Camera dei deputati a mantenere il rapporto fiduciario con l’Esecutivo.

L’ultima parte del secondo comma prevede che “la Camera dei deputati, anche se sciolta, è appositamente convocata e si riunisce entro cinque giorni”.

Il terzo comma prevede il termine entro cui il decreto debba essere convertito in legge – 60 giorni – superato il quale “i decreti perdono efficacia sin dall’inizio”.

La riforma stabilisce un differimento del termine di trenta giorni “nei casi in cui il Presidente della Repubblica abbia chiesto, a norma dell’articolo 74, una nuova deliberazione”, ribadendo quanto previsto dal nuovo secondo comma dello stesso articolo 74.

Ma l’innovazione più significativa della riforma è introdotta con quattro nuovi commi.

Andiamo con ordine.

Il quarto comma introduce delle limitazioni particolarmente significative all’uso del decreto legge, recependo una risalente giurisprudenza costituzionale, perché questo non diventi abuso.

Nello specifico “il Governo, non può, mediante provvedimenti provvisori con forza di legge:

disciplinare le materie indicate nell’articolo 72, quinto comma – ossia le materie che richiedono il procedimento normale di approvazione delle leggi in Parlamento -;

reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi – ossia riproporre decreti non accettati in precedenza -;

ripristinare l’efficacia di norme di legge o atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento”.

Il Governo, quindi, non potrà porsi in contrasto con le decisioni della Consulta.

Se il quarto comma mette dei paletti stringenti all’uso della decretazione d’urgenza, il quinto introduce una limitazione ulteriore, afferente al contenuto del decreto.

“I decreti” stabilisce l’articolo 77, quinto comma, “recano misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”.

I decreti legge dovranno, dunque, presentare una coerenza sistematica tra titolo e contenuto.

Il sesto comma contiene la disciplina dell’esame dei decreti da parte del Senato della Repubblica, che può essere disposto “entro trenta giorni dalla loro presentazione alla Camera dei deputati”.

Le proposte di modificazione del decreto, avanzate dal Senato, “possono essere deliberate entro dieci giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge di conversione, che deve avvenire non oltre quaranta giorni dalla presentazione”.

L’ultimo comma dell’articolo 77 sancisce un’ulteriore regola di coerenza, prevedendo che “nel corso dell’esame di disegni di legge di conversione dei decreti non possono – per questioni di coerenza e correttezza – essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto”.

La riforma, attraverso il nuovo disposto dell’articolo 77, in definitiva, consegue due obiettivi importanti: contemperare due esigenze, apparentemente antitetiche, quali efficienza e ponderazione legislativa, ed arginare il fenomeno, deprecabile, dell’abuso della decretazione d’urgenza.

 

LE RAGIONI DEL NO

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Alessandro Pace, Professore emerito di diritto costituzionale – Università La Sapienza di Roma, Presidente del Comitato per il No nel referendum sulla legge Renzi-Boschi si è espresso al riguardo nel modo seguente.

 Alessandro Pace

Alessandro Pace 

«In secondo luogo, l’art. 77 comma 2 Cost. che consente alle Camere ancorché sciolte di essere appositamente convocate per la conversione in legge di decreti legge.

Ipotesi, in entrambe le quali, il principio della continuità degli organi dello Stato incontra limiti di tempo alquanto brevi [Corte cost., sent. n. 1 del 2014, cons. dir. n. 7: «Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti « finché non siano riunite le nuove Camere » (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, « anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni » per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.) ».].

Questo passaggio è stato però in genere ignorato, come lo è stato anche da parte del Presidente della Repubblica e del neo Presidente del Consiglio Renzi.

….

7.3.2. I procedimenti legislativi disciplinati dalla riforma Boschi dai tre attuali (il procedimento normale, quello di conversione dei decreti legge e quello costituzionale) sono diventati otto, secondo una classificazione (G. Azzariti, 2016) che considera l’iter di volta in volta seguito:

…..

6) procedimento di conversione dei decreti legge con eventuale partecipazione del Senato (art. 77 commi 2 e 3);

…………………….

La riforma Boschi, che si era proposta « l’obiettivo di semplificare il procedimento di formazione delle leggi ritenuto, non a torto, troppo farraginoso nel sistema attuale di bicameralismo perfetto », è invece riuscita nel capolavoro di passare da uno a otto distinti iter (G. Azzariti, 2016).

Col rischio, secondo la maggioranza degli studiosi, di non infrequenti conflitti procedurali, che potrebbero addirittura configurare — data l’inadeguatezza dell’« intesa non procedimentalizzata tra i presidenti delle due Camere » (“nuovo” art. 70 comma 6) — vizi di costituzionalità, di natura procedimentale, di competenza della Corte costituzionale (G. Brunelli, P. Caretti, 2016, E. Cheli, 2016; G. Piccirilli; contra però M. Manetti, 2015). »

 

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

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