Referendum – Conoscere per votare: tetto agli stipendi regionali e più severità contro la cattiva amministrazione

 

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Il vigente art. 121 della Costituzione dispone testualmente:

Art. 121 

Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente. 

Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi.  

Può fare proposte di legge alle Camere. 

La Giunta regionale è l’organo esecutivo delle Regioni. 

Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative

delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica. 

Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva una modifica dell’art. 121 al comma 12 delle Disposizioni consequenziali e di coordinamento  contenute all’art. 32, che disponeva testualmente:

Art. 32.

(Disposizioni consequenziali e di coordinamento)

12. All’articolo 121, secondo comma, della Costituzione, le parole: «alle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «alla Camera dei deputati».

Il disegno di legge si componeva di 35 articoli che modificavano 44 articoli della Costituzione.

Il testo finale approvato si compone invece di 41 articoli, che hanno modificato 47 articoli della Costituzione: quello dedicato all’art. 121 è diventato l’articolo 38 che ha il seguente testo:

Capo VI  

DISPOSIZIONI FINALI 

Art. 38. 

(Disposizioni consequenziali e di coordinamento) 

10. All’articolo 121, secondo comma, della Costituzione, le parole: «alle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «alla Camera dei deputati».

Con riferimento all’articolo 121 le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) dedicano un apposito paragrafo all’argomento e riportano le seguenti precisazioni: «L’articolo 38 reca una serie di disposizioni consequenziali e di coordinamento che novellano più articoli della Carta costituzionale e due leggi costituzionali.

…..

Il comma 10 modifica l’articolo 121, secondo comma, Cost., relativo alle pote­stà attribuite al Consiglio regionale. La modifica proposta incide sul secondo pe­riodo del comma, prevedendo che la potestà d’iniziativa legislativa del Consiglio si eserciti con la presentazione di proposte di legge alla Camera dei deputati, e non più – come nel testo vigente – “alle Camere”.»

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Il vigente articolo 122 della Costituzione dispone testualmente:

 Art. 122

Il sistema d’elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi. 

Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo. 

Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un Presidente e un ufficio di presidenza. 

I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. 

Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto.  

Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta. 

Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva una modifica dell’art. 122 contenuta all’art. 29, che disponeva testualmente:

 Art. 29

(Limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali)

1. All’articolo 122, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e i relativi emolumenti nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione». 

Nella relazione al disegno di legge le modifiche sono state spiegate nel seguente modo: «L’articolo 29 novella il primo comma dell’articolo 122 della Costituzione, stabilendo che la legge dello Stato ivi prevista stabilisca un limite agli emolumenti spettanti al Presidente della giunta regionale e agli al-tri membri degli organi regionali, il cui im-porto non potrà superare quello degli emolumenti spettanti ai sindaci dei comuni capoluogo di regione.»

Il disegno di legge si componeva di 35 articoli che modificavano 44 articoli della Costituzione.

Il testo finale approvato si compone invece di 41 articoli, che hanno modificato 47 articoli della Costituzione: quello dedicato all’art. 122 è diventato l’articolo 35 che ha il seguente testo:

Art. 35.

(Limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali ed equilibrio tra i sessi nella rappresentanza)

1. All’articolo 122, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e i relativi emolumenti nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione. La legge della Repubblica stabilisce altresì i princìpi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza».

Con riferimento all’articolo 122 le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) dedicano un apposito paragrafo all’argomento e riportano le seguenti precisazioni: «L’articolo 35 modifica l’articolo 122, primo comma, della Costituzione, al fine di porre un limite agli emolumenti dei componenti degli organi regionali e di promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza regionale.

Per effetto della modifica apportata, infatti, si prevede che con la legge sta­tale ivi prevista (la medesima fonte che disciplina i principi fondamentali del sistema di elezione e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presiden­te e degli altri componenti della Giunta regionale e dei consiglieri regionali, nonché la durata degli organi) siano stabiliti anche gli emolumenti spettanti al Presidente e agli altri membri degli organi elettivi regionali, sì che non possano comunque superare l’importo di quelli spettanti ai sindaci dei comuni capoluo­go di regione.

Alla legge statale è altresì attribuita la definizione dei principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.

I limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali

Riguardo alla previsione di limiti agli emolumenti dei componenti degli or­gani regionali, si ricorda che altra disposizione concernente i consigli regionali è contenuta all’articolo 40, comma 2, del testo di legge (alla cui scheda si rinvia), che vieta la corresponsione di rimborsi o analoghi trasferimenti monetari a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali.

Pertanto, con le modifiche introdotte:

  • la determinazione degli emolumenti dei consiglieri regionali viene sottratta all’autonomia regionale per essere assegnata alla legge statale. La legge rientra nel novero delle leggi bicamerali paritarie ai sensi del nuovo art. 70, primo comma. Il termine “emolumenti” sembrerebbe riferirsi a ciascuna componente del trattamento economico dei consiglieri.
  • è introdotto, a livello costituzionale, un limite massimo agli emolumenti dei del Presidente della giunta regionale e dei consiglieri regionali, individuato con l’importo spettante ai sindaci dei comuni capoluogo di regione. Il limite individuato fa peraltro riferimento ad un parametro (importo spettan­te ai sindaci dei comuni capoluogo di regione) che non è unitario, ma che varia da comune a comune in base ad una serie di fattori, innanzitutto, ma non solo, in base alla dimensione demografica dell’ente.

La disciplina delle indennità e degli altri emolumenti degli amministratori degli enti locali trova la sua base normativa nell’articolo 82 del TUEL – testo unico degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) successivamente modificato dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78.

L’articolo 82 del TUEL introduce alcuni parametri relativi al trattamento economico degli amministratori locali, demandando la determinazione della misura base delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza ad un regolamento ministeriale, adottato con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia.

Tra i criteri di determina­zione monetaria vige quello dell’articolazione delle indennità in rapporto con la dimensione demografica degli enti. La disposizione è stata attuata con il D.M. 4 aprile 2000, n. 119. Tale decreto prevede, oltre all’importo dell’indennità base e dei gettoni di presenza, alcune maggiorazioni in dipendenza di determinate condizioni demografiche e finanziarie.

Inoltre, l’articolo 82 TUEL prevede che le misure delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza possono essere incrementate (se l’ente non versa in stato di dissesto finanziario) o diminuite con delibera consiliare o della giunta, sulla base di valutazioni e scelte politiche e di gestione (co. 11).

Il D.L. n. 78/2010 [Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (conv. 26 febbraio 2011, n. 10), recante Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, conv. da L. 26 febbraio 2011, n. 10] (art. 5, co. 6-11) ha provveduto a ridisciplinare la materia rinviando anche in questo caso ad un nuovo decreto ministeriale ai fini sia della riduzione delle vi­genti indennità, secondo fasce parametrali rapportate inversamente al fattore demografico, sia della quantificazione del gettone di presenza. Tale decreto non risulta ancora approvato e “deve pertanto ritenersi ancora vigente il precedente meccanismo di determinazione dei compensi” (così la Corte dei conti, sezione unite, deliberazione 24 novembre 2012, n. 1).

Per gli importi dell’indennità è dunque necessario fare riferimento a quelli indicati dal D.M. del 2000, diminuiti del 10% ad opera della L. 23 dicembre 2005 n. 266 (art. 1, comma 54).

La determinazione degli emolumenti da corrispondere ai componenti di organi elettivi regionali rientra nella autonomia organizzativa e nella potestà legislativa riconosciuta alle regioni in materia di sistema elettorale, organizzazione e funzionamento degli organi re­gionali.

A seguito della riforma operata dalle leggi costituzionali 1 del 1999 [Le modifiche apportate dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 agli articoli 121, 122 e 123 della Costituzione, hanno conferito alle regioni a statuto ordinario potestà legislativa in materia elettorale nei «limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica». Ciascuna regione, inoltre, adotta uno statuto che ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento.] e 2 del 2001 [La legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 modifica gli statuti speciali della regione Siciliana, della Valle d’Aosta, della Sardegna, del Friuli-Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige, al fine di conferire anche a tali regioni la competenza legislativa sulla forma di governo, sul sistema di elezione dei consiglieri, del Presi­dente e degli altri componenti della Giunta, nonché sulla disciplina dei casi di ineleggibilità e incompatibilità.] a tutte le regioni è stata attribuita potestà legislativa in merito alla forma di governo, al sistema di elezione e ai principi fondamentali di organizzazione e funzionamento.

Nell’ordinamento vigente ciascuna regione disciplina con legge, oltre che l’elezione del Consiglio regionale e del presidente della Regione, anche l’organizzazione e il funzionamento degli organi regio­nali, tra cui rientra la determinazione degli emolumenti e rimborsi spettanti ai consiglieri.

In tale ambito, gli statuti regionali riconoscono ai consiglieri la corresponsione di indennità di carica e di funzione (o indennità senza alcuna specificazione), il rimborso delle spese per l’espletamento del mandato, le indennità differite (al termine del mandato) e, in alcuni casi, l’assegno vitalizio.

Ciascuna regione disciplina questi oggetti con proprie leggi e, in taluni casi, con regola­menti interni del Consiglio regionale o deliberazioni di altra natura. In alcuni casi la legge regionale fissa il principio e demanda la puntuale determinazione di indennità e rimborsi a successive a deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale.

I limiti che incontra la disciplina regionale sono i principi posti dalla legislazione dello Stato, anche con riferimento ai “principi di coordinamento della finanza pubblica”. Negli ultimi anni, infatti, sono state emanate diverse norme al fine di determinare un risparmio per la spesa pubblica che hanno coinvolto anche le regioni.

Per quanto riguarda gli emolumenti sia per i consiglieri che per i gruppi è intervenuto, da ultimo, l’art. 2 del decreto legge 174/2012 [D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213 recante Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012] che con la finalità della riduzione dei costi della politica nelle regioni, ha stabilito una serie di misure che incidono principalmente sulle spese per gli organi regionali, tra cui:

  • la riduzione dell’indennità di consiglieri ed assessori;
  • la riduzione dell’assegno di fine mandato;
  • il divieto di cumulo di indennità e emolumenti;
  • l’introduzione dell’anagrafe patrimoniale degli amministratori regionali;
  • la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari.

Queste misure, tuttavia, non sono immediatamente applicabili, in quanto, proprio in virtù della competenza legislativa regionale, esse devono essere adottate dalle regioni; il citato art. 2, infatti, condiziona l’erogazione dell’80% dei trasferimenti alle regioni – peraltro ap­plicabile alle sole regioni a statuto ordinario – all’adozione, da parte regionale delle misure di risparmio.

La nuova previsione dell’art. 122 Cost., primo comma, ha rilievo anche ai fini delle previsioni dell’articolo 9 del testo di legge, che, come si è detto (v. supra), interviene sull’articolo 69 della Costituzione prevedendo che i soli membri della Camera dei deputati ricevano una indennità stabilita dalla legge.

Il trattamento economico dei senatori sindaci e dei senatori consiglieri regionali eletti in secondo grado sarà infatti quello spettante per la carica di rappresentanza territoriale che rivestono.

Si rammenta infine che le disposizioni del capo IV, che includono quella di cui all’art. 122 Cost., non si applicano alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano fino all’adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime (art. 39, comma 13, del testo di legge).

Il limite massimo agli emolumenti dei consiglieri regionali non troverà dunque applicazione nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome.

La promozione dell’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza

Il nuovo art. 122 Cost prevede, all’ultimo periodo – con una modifica appro­vata nel corso dell’esame in seconda lettura alla Camera – che la legge della Re­pubblica stabilisce i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.

Tale modifica è volta ad allineare la legislazione regionale a quanto previsto dal nuovo secondo comma dell’art. 55 Cost., (introdotto dal Senato in prima lettura), a mente del quale le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.

Lungo la medesima direzione del nuovo testo costituzionale si è mossa la legge 20/2016 che introduce, tra i principi fondamentali in base ai quali le Regioni a sta­tuto ordinario sono tenute a disciplinare con legge il sistema elettorale regionale, l’adozione di specifiche misure per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive.

Tale legge introduce, tra i principi fondamentali in base ai quali le Regioni a statuto ordinario sono tenute a disciplinare con legge il sistema elettorale regio­nale, l’adozione di specifiche misure per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive.

A tal fine, la legge n. 165/2004, che – in attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione – reca i principi fondamentali cui le regioni devono attenersi nella disciplina del proprio sistema elettorale.

Con le modifiche introdotte, dunque, la legge nazionale non si limita, come attualmente, a prevedere tra i principi la “promozione della parità tra uomini e donne nell’accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l’accesso del genere sottorappresentato alle cariche elet­tive”, ma indica altresì le specifiche misure adottabili ai fini della “promozione del­le pari opportunità” tra donne e uomini, declinandole sulla base dei diversi sistemi elettorali per la scelta della rappresentanza nei consigli regionali.

Il testo prevede tre ipotesi:

1) Liste con preferenze. Qualora la legge elettorale regionale preveda l’espressione di preferenze, sono previsti due meccanismi per promuovere la rappresentanza di genere: a) quota di lista del 40 per cento (in ciascuna lista i candidati di uno stesso sesso non devono eccedere il 60 per cento del totale); b) preferenza di genere (deve essere assicu­rata l’espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso. In caso contrario, le preferenze successive alla prima sono annullate).

2) Liste “bloccate”. Nel caso in cui la legge elettorale regionale preveda le liste senza espressione di preferenze, deve essere prevista l’alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale.

3) Collegi uninominali. Nel caso in cui il sistema elettorale regionale preveda collegi uninominali, nell’ambito delle candidature presentate con il medesimo simbolo i candi­dati di un sesso non devono eccedere il 60 per cento del totale.

Si ricorda infine che la norma che modifica l’art. 122 Cost., introducendo un limite massimo per gli emolumenti del consiglieri regionali, da prevedere con leg­ge della Repubblica (da approvare con procedimento bicamerale paritario ex art. 70, primo comma) e affidando alla medesima legge l’individuazione dei principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza è di immediata applicazione, ai sensi dell’articolo 41 dedicato all’entrata in vigore del provvedimento.»

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Il vigente articolo 126 della Costituzione dispone testualmente:

 Art. 126 

Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio

regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge.  

Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale.

Il decreto è adottato sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica. 

Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti.  

La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione. 

L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. 

In ogni caso i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio.

 

Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva una modifica dell’art. 126 contenuta all’art. 30, che disponeva testualmente:

Art. 30

(Soppressione della Commissione parlamentare per le questioni regionali)

1. All’articolo 126, primo comma, della Costituzione, l’ultimo periodo è sostituito dal seguente: «Il decreto è adottato acquisito il parere del Senato delle Autonomie». 

Nella relazione al disegno di legge le modifiche sono state spiegate nel seguente modo: «L’articolo 30 modifica l’articolo 126 della Costituzione, prevedendo la soppressione della Commissione parlamentare per le que-stioni regionali e la conseguente attribuzione al Senato delle Autonomie della competenza ad esprimere il parere per l’adozione del de-creto di scioglimento del consiglio regionale e di rimozione del Presidente della giunta.» 

Il disegno di legge si componeva di 35 articoli che modificavano 44 articoli della Costituzione.

Il testo finale approvato si compone invece di 41 articoli, che hanno modificato 47 articoli della Costituzione: quello dedicato all’art. 126 è diventato l’articolo 36 che ha il seguente testo:

Art. 36. 

(Soppressione della Commissione parlamentare per le questioni regionali) 

1. All’articolo 126, primo comma, della Costituzione, l’ultimo periodo è sostituito dal seguente: «Il decreto è adottato previo parere del Senato della Repubblica».

Con riferimento all’articolo 126 le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) dedicano un apposito paragrafo all’argomento e riportano le seguenti precisazioni: «L’articolo 36 modifica l’art. 126 della Costituzione, che disciplina il procedi­mento di scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta.

Viene previsto che il relativo decreto motivato del Presidente della Repub­blica debba essere adottato previo parere del Senato della Repubblica (art. 126, primo comma)[Con il quale sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale].

Tale parere sostituisce la previsione, recata dal testo in vigore, secondo la quale il decreto è adottato “sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica”.

Come nel testo vigente, il parere risulta obbligatorio e non vincolante.

Si ricorda in proposito che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 219 del 2013, ha di­chiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 126 Cost., di una disposizione che prevedeva la rimozione del Presidente della Giunta regionale in caso di grave dissesto finanziario riferito al disavanzo sanitario (art. 2, commi 2, 3 e 5, DL n. 148/2011, cd. de­creto “premi e sanzioni”). Tra le motivazioni dell’incostituzionalità, come già ricordato (cfr. art. 120), è richiamata la previsione del carattere vincolante del parere del Commissione parlamentare per le questioni regionali (espresso a maggioranza dei due terzi), previsione che determina “l’alterazione dell’asse della decisione rispetto alla previsione costituzionale, poiché il Presidente della Repubblica è tenuto ad esercitare il potere, uniformandosi al parere che proviene dalle Camere”.

La modifica costituzionale sopprime quindi il riferimento nel testo costitu­zionale alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, che è stata istituita dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62 (art. 52, successivamente modificato dall’articolo 32 della legge 28 ottobre 1970, n. 775).

La Commissione è composta da venti deputati e venti senatori nominati d’intesa dai Presi­denti delle rispettive Camere, su designazione dei gruppi, secondo criteri di rappresentanza proporzionale.

Un nuovo ruolo della Commissione era stato prefigurato dall’articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (c.d. riforma del Titolo V), disposizione che peraltro non ha trovato attuazione.

Tale disposizione prevede infatti che sino alla revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione, i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Re­pubblica possano prevedere l’integrazione della Commissione mediante la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commis­sione parlamentare per le questioni regionali.

Quando un progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 (competenza concorrente) e all’articolo 119 (autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali) della Costituzione, contenga disposizioni sulle quali la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata nei termini di cui sopra, abbia espresso parere contrario o parere favorevole condizionato all’introduzione di modificazioni specificamente formulate, e la Commissione che ha svol­to l’esame in sede referente non vi si sia adeguata, sulle corrispondenti parti del progetto di legge l’Assemblea delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti. I regolamenti parlamentari non hanno mai attivato tale previsione.

I regolamenti parlamentari e leggi ordinarie hanno affidato alla Commissione parlamentare per le questioni regionali anche altri compiti e funzioni, oltre a quel­lo cui fa riferimento l’articolo 126 della Costituzione.

I regolamenti parlamentari attribuiscono alla Commissione diverse competenze:

– – l’articolo 40, comma 9, del Regolamento del Senato, prevede che i progetti di legge contenenti disposizioni sulle materie indicate dall’articolo 117 della Costituzione, o di competenza delle regioni a statuto speciale, o che riguardino l’attività legislativa ed amministrativa delle regioni, siano trasmessi, oltre che a quelle di merito, anche a questa Commissione; analoga previsione è contenuta nell’articolo 102, comma 3 del Regolamento della Camera;

– l’articolo 118-bis, comma 1, del Regolamento della Camera, e l’articolo 125-bis di quello del Senato, ne prevedono il parere, o le osservazioni, sul documento di pro­grammazione economico-finanziaria.

Altre competenze sono state attribuite – nel tempo – alla Commissione dalla legislazione ordinaria.

Si rileva peraltro che il riferimento a livello di legge costituzionale al parere delle Commissione per le questioni regionali permane negli statuti delle regioni a statuto speciale (ad eccezione della Sicilia), che tutti disciplinano la procedura per lo scioglimento del consiglio regionale.

In particolare il parere della Commissione parlamentare delle questioni regionali per lo scioglimento del consiglio regionale è previsto:

– dall’art. 50, comma terzo, dello Statuto per la Regione Sardegna (L.Cost. n. 3/48), che prevede il parere della “Commissione parlamentare per le questioni regionali”;

– dall’articolo 48, comma terzo dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta (L.Cost. n. 4/48), che prevede il parere della “Commissione parlamentare per le questioni regio­nali”;

– dall’art. 49-bis, comma terzo, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (DPR n. 670/72), che prevede il parere di “una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica”;

– dall’art. 22, comma terzo, dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giu­lia, che prevede il parere della “Commissione parlamentare per le questioni regionali” (L.Cost. n. 1/63).

L’art. 8 dello Statuto della Regione siciliana (R.D.Lgs. n. 455/1946) disciplina invece la procedura per lo scioglimento dell’Assemblea regionale e per la rimozione del Presidente della Regione, prevedendo, nell’ambito di tale procedura, la deliberazione delle Assemblee legislative dello Stato.

Del resto la modifica dell’articolo 126 Cost. disposta dal testo di legge costi­tuzionale non trova applicazione, sino alla revisione degli statuti, nei confronti delle regioni ad autonomia speciale, in forza della “clausola di non applicazione” contenuta nella disposizione transitoria di cui all’articolo 39, comma 13.

Nonostante la rubrica dell’articolo 36 del testo di legge costituzionale reciti “Soppressione della Commissione parlamentare per le questioni regionali”, fino alla revisione degli statuti speciali, restano vigenti le funzioni ad essa attribuite dagli statuti medesimi.

Resta comunque ferma la possibilità di disciplinare diversamente composizio­ne e funzioni della Commissione bicamerale, anche al fine di adeguarla al nuovo assetto costituzionale delle Camere.»

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LE RAGIONI DEL SÌ

 

Dal sito Basta un Sì

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Articoli 121, 122 e 126: tetto agli stipendi regionali e più severità contro la cattiva amministrazione

Gli articoli 121, 122 e 126 subiscono delle modifiche che tendono ad adattarli al nuovo sistema istituzionale disegnato dalla riforma costituzionale negli articoli precedenti.

L’articolo 121 contiene l’indicazione di quali siano gli organi della Regione, individuati nel Consiglio regionale, nella Giunta e nel Presidente della Regione.

La modifica insiste sul secondo comma del disposto dell’articolo 121, il quale attribuisce il potere di iniziativa legislativa alle Regioni, che possono fare proposte di legge alla Camera dei deputati – precedentemente, invece, l’iniziativa legislativa poteva essere esercitata nei confronti di entrambe le camere.

L’ultimo comma dell’articolo 121 rimane invariato, e continua a stabilire che il Presidente della Regione rappresenta l’organo di direzione politica della stessa Regione, ed impone a questo di conformarsi ai principi stabiliti nella Costituzione e nelle leggi dello Stato.

Contrariamente all’articolo che lo precede, il disposto dell’articolo 122 rappresenta un punto fondamentale della riforma costituzionale, che si inserisce nel filone dei risparmi che questa produce.

Dopo aver stabilito, infatti, che “il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica” prevede una limitazione agli emolumenti economici corrisposti ai consiglieri regionali – in breve, gli stipendi – che non possono essere superiori all’importo “di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione”.

Un Consigliere regionale, dunque, non potrà percepire più di quanto percepisca il Sindaco della Città capoluogo della Regione di riferimento.

La riforma introduce, inoltre, un ulteriore periodo al presente comma dell’articolo 122, declinando, a livello regionale, quanto stabilito a livello nazionale dal nuovo disposto dell’articolo 55, e prevedendo che “la legge della Repubblica stabilisce altresì i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”.

Eguaglianza ed equità, dunque, entrano anche nelle istituzioni territoriali.

Il disposto dell’articolo 126 prevede un meccanismo in virtù del quale è disposta la rimozione degli organi politici regionali in casi di particolare gravità.

Nello specifico, il primo comma della presente disposizione stabilisce che “con decreto motivato del Presidente della Repubblica – per garantire la neutralità e la insindacabilità dell’atto, ndr – sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge.”

Per gravi motivi, quindi, è disposto l’intervento dell’organo che garantisce stabilità ed unità alla Nazione, ossia il Capo dello Stato.

Inoltre l’articolo 126 prevede anche che lo scioglimento possa essere disposto per ragioni di “sicurezza Nazionale”, e naturalmente questa previsione si giustifica sulla base del rilievo che si sia inteso coprire, con questa previsione, ogni possibile eventualità.

La riforma interviene modificando l’ultima parte del primo comma, stabilendo che l’atto di scioglimento – adottato, è bene ricordarlo sempre, dal Presidente della Repubblica – debba essere adottato “previo parere del Senato della Repubblica”.

È evidente la motivazione di questo inciso: se il Senato ha il compito di rappresentare le istanze territoriali a livello nazionale, e dunque tutelarle, è naturale e logico che possa dire la sua su di una situazione particolarmente grave, quale lo scioglimento di un Consiglio regionale e la conseguente rimozione del Presidente della Giunta.

In quest’ultima previsione si esplica palesemente il nuovo ruolo che la riforma assegna al Senato della Repubblica, ossia quello di salvaguardare gli interessi delle Regioni – ed in generale degli enti locali – inserendosi nelle decisioni dirimenti per la vita delle stesse.

 

LE RAGIONI DEL NO

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Quando entrerà in vigore la norma sul taglio degli stipendi?

Difficile dirlo, perché certamente ci sarà bisogno di decreti attuativi che ne spieghino bene l’applicazione.

Per esempio, bisognerà calare la busta paga del sindaco sul totale della busta paga del consigliere o considerare solo l’indennità di base?

E l’indennità di funzione sarà toccata?

Domande difficili sulle quali dovremo aspettarci un «ampio e articolato» dibattito.

Già qualcuno ipotizza che si potrebbe prendere al volo l’occasione della nuova Costituzione per rivedere tutto il meccanismo dei compensi della politica, studiando un’indennità unica.

Dunque un’altra riforma.

Allora i tempi si allungherebbero a dismisura.

E considerando che ci sono ancora parti inattuate della vecchia Costituzione ….

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Il presidente del Consiglio punta molto sugli umori anti-politici che un pezzo di elettorato italiano nutre.

Enfatizza per esempio la riduzione del numero dei politici e degli «stipendi».

Ma anche i risparmi da lui tanto decantati sembrano un miraggio, illusione o peggio illusionismo dopo un’analisi concreta del testo che gli italiani sono chiamati a giudicare nel referendum convocato per il 4 dicembre.

È il caso, per esempio, delle indennità dei consiglieri regionali.

Il testo del nuovo articolo 122 stabilisce che gli emolumenti degli amministratori regionali trovino un tetto «nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione».

Sembrerebbe una norma ispirata dal buon senso e improntata alla sobrietà istituzionale.

Ma in realtà i dubbi e i «buchi» si moltiplicano.

Intanto, lo stesso servizio studi della Camera dei deputati chiarisce che la previsione non si applica alle Regioni a statuto speciale, spesso storicamente molto «generose», e alle due Province autonome.

Altro problema: non si introduce alcun automatismo e un altro passaggio della riforma richiama una legge «bicamerale paritaria».

Che significa?

Che dovranno essere la Camera e il Senato (composto anche da consiglieri regionali) ad approvare le nuove norme di riferimento.

Bel paradosso fra l’altro, se si pensa che uno dei vanti che Renzi rivendica è la fine del bicameralismo perfetto (l’equiparazione fra Camera e Senato).

Poi c’ un dubbio, grande quanto Palazzo Madama: cosa si intende con «emolumenti»?

Sono compresi anche i rimborsi?

E gli eventuali contributi?

La questione non è di poco conto. 

 

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

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