Referendum – Conoscere per votare: l’autonomia finanziaria degli enti territoriali

 

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Il vigente articolo 119 della Costituzione dispone testualmente:

Art. 119 

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. 

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome.  

Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.  

Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. 

La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. 

Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. 

Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. 

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato.  

Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. E ` esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.

Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva una modifica dell’art. 119 contenute all’art. 27, che disponeva testualmente:

Art. 28.

(Modificazioni all’articolo 119 della Costituzione)

1. All’articolo 119 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «le Province,» sono soppresse;

b) il secondo comma è sostituto dal seguente: «I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, in armonia con la Costituzione e secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.»;

c) il quarto comma è sostituito dal seguente: «Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti assicurano il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite ai Comuni, alle Città metropolitane e alle Regioni.»;

d) al quinto comma, la parola: «Province,» è soppressa;

e) al sesto comma, le parole: «le Province,» sono soppresse.

Nella relazione al disegno di legge le modifiche sono state spiegate nel seguente modo: «L’articolo 28 novella l’articolo 119 della Costituzione, introducendo modifiche di coordinamento che tengono conto della soppressione delle province e, in particolare, della riconduzione alla competenza esclusiva dello Stato della materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», secondo le motivazioni sopra illustrate.

Inoltre, reca una modifica al quarto comma del medesimo articolo 119, intesa a rafforzare il principio della corrispondenza tra le risorse spettanti agli enti territoriali e le funzioni pubbliche loro attribuite.

In particolare, si prevede che l’insieme delle risorse derivanti dall’autonomia finanziaria regionale e locale – dunque tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e risorse derivanti dal fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale – deve «assicurare» il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite ai comuni, alle città metropolitane e alle regioni.

Come accennato, i disegni di legge che dispongono negli ambiti interessati dall’articolo 119 della Costituzione rientrano tra quelli per i quali il novellato articolo 70, comma quarto, della Costituzione, prevede il citato procedimento legislativo rafforzato.» 

Il disegno di legge si componeva di 35 articoli che modificavano 44 articoli della Costituzione.

Il testo finale approvato si compone invece di 41 articoli, che hanno modificato 47 articoli della Costituzione: quello dedicato all’art. 119 è diventato l’articolo 33 che ha il seguente testo:

Art. 33.

(Modifica dell’articolo 119 della Costituzione)

1. L’articolo 119 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 119. – I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, in armonia con la Costituzione e secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti assicurano il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni. Con legge dello Stato sono definiti indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell’esercizio delle medesime funzioni.

Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Città metropolitane e Regioni. I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato.  

Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti». 

Con riferimento all’articolo 119 le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) dedicano un apposito paragrafo all’argomento e riportano le seguenti precisazioni: «L’articolo 33 modifica l’articolo 119 della Costituzione, che disciplina l’autono­mia finanziaria degli enti territoriali.

In linea generale, il testo di legge di riforma costituzionale:

  1. – sopprime ogni riferimento alle Province;
  2. – adegua l’art. 119 alla nuova competenza legislativa statale sul coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  3. – introduce un riferimento ai costi e fabbisogni standard. Più in particolare, la riforma provvede, in primo luogo, ad eliminare il riferi­mento alle Province contenuto nei commi primo, secondo, quarto, quinto e sesto dell’articolo 119, in linea con l’espunzione del termine da tutto il testo costituzio­nale (si rinvia in proposito al commento all’art. 114 Cost.).

Con la riscrittura del secondo comma – dedicato alla finanza ordinaria degli enti territoriali – inoltre si prevede che l’autonomia finanziaria degli enti territoria­li vada esercitata, oltre che in armonia con la Costituzione, anche secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, anziché “secondo i principi” di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Tale previsione appare connessa con la modifica apportata all’articolo 117 Cost., laddove viene ricondotta alla competenza esclu­siva dello Stato la materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (attualmente materia di legislazione concorrente).

Si ricorda che il testo vigente dell’articolo 119 Cost. stabilisce che l’autonomia finanziaria degli enti territoriali è esercitata in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Tale disposizione, letta in combinato con l’articolo 117, terzo comma, che ricomprende tra le materie di legislazione concorrente il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, comporta an­zitutto la potestà per ogni regione di stabilire e applicare tributi – oltre che nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali (art. 117, primo comma) – secondo i principi fondamentali di coordinamen­to della finanza pubblica e del sistema tributario fissati dalla legislazione statale.

Anche a comuni, province e città metropolitane è riconosciuta autonomia di entrata e il potere di stabilire ed applicare tributi ed entrate propri.

Tuttavia, sebbene l’articolo 119 ponga for­malmente sullo stesso piano regioni ed enti locali, la riserva di legge di cui all’articolo 23 della Costituzione – che sancisce che nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge – preclude a questi enti l’esercizio di una potestà impositiva diretta analoga a quella delle regioni.

Il necessario presupposto per l’attuazione del disegno costituzionale è stato peraltro rin­tracciato dalla giurisprudenza costituzionale nell’intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, deve fissare i principi cui i legislatori regionali devono attenersi e determinare le grandi linee dell’intero sistema tributario, defi­nendo gli spazi e i limiti entro i quali può esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali.

La Corte ha quindi concluso che “non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale” (sentenza n. 37 del 2004).

Inoltre – con il nuovo testo e a differenza di quello vigente – anche la disponi­bilità per Regioni, comuni e città metropolitane di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio è sottoposta al duplice vincolo dell’armo­nia con la Costituzione e della legge statale ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

In base al riparto di competenza legislativa tra le due Camere, sancito dal nuo­vo articolo 70, la legge statale sarà adottata con procedimento monocamerale “par­tecipato” (art. 70, terzo comma).

Non risulta modificata nell’impianto, la disciplina dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa e dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie.

È peraltro da rilevare che tale disciplina potrà ovviamente risentire, come effetto del nuovo assetto delle competenze legislative stabilito dal novellato articolo 117 Cost., della maggiore incidenza che la competenza esclusiva statale sul coordinamento della finanza pubblica potrà produrre sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali, rispetto al diritto costituzionale che, anche a seguito dei numerosi interventi della Corte costituzionale, è attualmente vivente in materia.

Per quanto concerne invece la riscrittura del quarto comma – dedicato al c.d. principio del parallelismo tra le funzioni esercitate dall’ente territoriale e il complesso delle risorse necessarie per esercitare tali compiti – si stabilisce che le risorse di cui dispongono gli enti territoriali “assicurano” nel loro insieme il fi­nanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite, laddove il testo costituzionale vigente prevede che le risorse degli enti territoriali “consentono” di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

A seguito delle modifiche apportate nel corso dell’esame parlamentare, è stato altresì aggiunto un periodo in base al quale “con legge dello Stato sono definiti indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell’esercizio delle medesime funzioni”.

Anche in tal caso alla legge statale si applica il procedimento monocamerale “partecipato”.

Il richiamo agli “indicatori di riferimento” sembrerebbe correlato alla più re­cente evoluzione attuativa dell’art. 119 (cd. federalismo fiscale).

Il nuovo assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali è delineato dalla leg­ge delega sul federalismo fiscale (legge n. 42 del 2009) che – nel dare attuazione all’art. 119 Cost. – segna il superamento del sistema di finanza derivata attraverso l’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale.

A tal fine la legge n. 42 del 2009 stabilisce la struttura fondamentale delle en­trate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e deli­nea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.

Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, la legge delega distingue le spese che investono i livelli essenziali delle prestazioni (sanità, assistenza, istruzio­ne e in parte trasporto pubblico locale) e quelle inerenti alle funzioni fondamen­tali degli enti locali – per le quali si prevede l’integrale copertura dei fabbisogni finanziari – rispetto a quelle che, invece, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle fun­zioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori.

Per le suddette funzioni concernenti i diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i fabbisogni standard necessari ad assicurare tali prestazioni.

La determinazione dei fabbisogni standard costituisce quindi un fondamento della fiscalità delineata dalla legge n. 42 del 2009, in quanto è alla base (sia per il complesso delle autonomie territoriali che per ogni singolo ente) della sequenza: costi standard, differenza tra fabbisogno/costo standard e risorse fiscali dell’ente, perequazione integrale, con il concorso dello Stato, del fabbisogno standard per quanto concerne i livelli essenziali delle prestazioni e perequazione “parziale” (ri­ferita alla capacità fiscale) per le altre funzioni.

Premesso che è ancora mancante la definizione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni nei settori diversi dalla sanità, si segnala che la disciplina gene­rale sui criteri per la determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali è stata dettata, in attuazione della legge delega suddetta, dal decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e dai relativi decreti di attuazione di quest’ultimo.

Com’è noto, i fabbisogni standard costituiscono i nuovi parametri cui ancorare il finanzia­mento delle spese fondamentali di comuni, città metropolitane e province, al fine di assicu­rare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica.

La metodologia per la determinazione dei fabbisogni costituisce una operazione tecnica­mente complessa, per la cui effettuazione il decreto legislativo definisce una serie di ele­menti da utilizzare.

Risultano al momento pubblicati nella Gazzetta Ufficiale tre provvedimenti:

– il D.P.C.M. 21 dicembre 2012 (G.U. del 5 aprile 2013), recante l’adozione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard relativi alle funzioni di polizia locale per i Co­muni e dei servizi del mercato del lavoro per le Province;

– il D.P.C.M. 23 luglio 2014 (G.U. 15 ottobre 2014, n. 240), recante l’adozione delle note metodologiche e del fabbisogno standard per ciascun comune e provincia relativi alle funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo.

– il D.P.C.M. 27 marzo 2015 (G.U. 10 giugno 2015, n.130), recante l’adozione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a Statuto ordinario, relativi alle funzioni di istruzione pubblica, nel campo della viabilità e dei trasporti, di gestione del territorio e dell’ ambiente e nel settore sociale.

Può pertanto ritenersi sostanzialmente concluso il procedimento di determinazione dei fabbisogni standard dei comuni, mentre, per quanto concerne le province esso è rimasto parzialmente inattuato, poiché non ha poi avuto seguito, non risultando ancora stato pub­blicato nella Gazzetta Ufficiale, lo schema di DPCM sull’ adozione delle note metodologi­che e dei fabbisogni standard per ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario relativi alle funzioni di istruzione pubblica e alle funzioni riguardanti la gestione del territorio (atto n. 121) sul quale era a suo tempo intervenuto il parere della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale (seduta del 18 dicembre 2014).

Tale circostanza appare con tutta evidenza da mettere in relazione con il riordino delle province in corso ai sensi della legge n.56 del 2014, adottata in attesa della riforma costituzionale del Titolo V e delle relative norme di attuazione (art. 1, co. 51, L. n. 56/2014).

La materia dei fabbisogni standard è stata inoltre al centro di un consistente intervento normativo operato dalla legge di stabilità 2016, che nel modificare la procedura di approvazione degli stessi ha contestualmente modificato il disegno organizzativo delineato dalla legge delega, sopprimendo la commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff).

Tale intervento è stato operato dall’articolo 1, commi da 29 a 34 della legge 28 dicembre 2015, n.208 (legge di stabilità 2016) che:

– semplificano la procedura per l’approvazione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard previsti dal D.Lgs. n. 216 del 2010;

– modificando gli organi che intervengono nella procedura medesima, con la soppres­sione della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e l’istituzione, in sua vece, della Commissione tecnica per i fabbisogni standard.

Si ricorda, infine, che l’articolo 119 della Costituzione è già stato oggetto di recente modifi­ca con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (“Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”).

Con riguardo al pareggio di bilancio, si tratta, com’è noto, del principio introdotto dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che, riformulando l’articolo 81 della Costituzione (nonché modificandone gli articoli 97, 117 e 119), introduce il principio dell’equilibrio tra entrate e spese del bilancio dello Stato, al netto degli effetti del ciclo economico e salvo eventi eccezionali, correlandolo a un vincolo di sostenibilità del debito di tutte le pubbli­che amministrazioni, nel rispetto delle regole in materia economico-finanziaria derivanti dall’ordinamento europeo.

Alla nuova disciplina è stato dato seguito mediante la legge “rin­forzata” (in quanto modificabile solo con maggioranza assoluta) 24 dicembre 2013, n. 243 la quale ha disciplinato l’applicazione del principio dell’equilibrio tra entrate e spese nei confronti delle regioni e degli enti locali (articoli da 9 a 12).   

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RAGIONI DEL SÌ

Dal sito Basta un Sì

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Giampaolo Galli, deputato PD e già direttore generale di Confindustria, si è espresso al riguardo nel seguente modo.

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Giampaolo Galli 

Riforma: strumento per eliminare gli sprechi

Per alcuni oppositori, la riforma comprimerebbe eccessivamente l’autonomia finanziaria degli enti territoriali e riporterebbe indietro il sistema a prima della riforma del Titolo V approvata nel 2001.

Questa preoccupazione non è fondata per vari motivi.

Il primo è che nulla impedisce allo Stato di definire, con legge ordinaria, ulteriori spazi di autonomia finanziaria a favore degli enti territoriali.

Il secondo è che comunque rimane la possibilità di attuare forme di federalismo differenziato a favore delle regioni con i conti in ordine, a riprova che l’obiettivo non è quello di frustrare un federalismo sano ed efficiente, ma di evitare sprechi e duplicazioni.

Il terzo e fondamentale motivo è che la riforma del 2001 non ha aumentato nei fatti il grado di autonomia finanziaria degli enti territoriali.

Lo testimoniano i dati della Corte dei Conti: considerando la spesa pubblica al netto di quella per prestazioni previdenziali e assistenziali, dal 2001 a oggi la componente a livello locale (Regioni, Province e Comuni) è una quota pressoché costante, attorno al 55%, del totale delle pubbliche amministrazioni.

Né dopo il 2001 né dopo l’approvazione della legge Calderoli del 2009 – che aveva l’ambizione di attuare compiutamente il federalismo fiscale – si riscontra alcun trend crescente.  

Lo stesso vale per le entrate, la cui componente locale è rimasta pressoché invariata al 20 per cento del totale.

Il punto è che, al di là dei proclami e data la situazione del nostro debito pubblico, i governi sono stati costretti a tenere sotto stretto controllo la finanza degli enti territoriali e sono riusciti a farlo, sia pure al costo di formidabili tensioni che ne hanno spesso messo a rischio la stabilità, ponendo limiti, consentiti da specifiche sentenze della Corte Costituzionale, alle più svariate tipologie di spesa: consulenze, turn-over, stipendi pubblici e persino numero e retribuzioni dei consiglieri regionali ecc.

L’unica voce che sembra essere in parte sfuggita al controllo, e nella quale si annidano sprechi e sperequazioni, è quella degli acquisti di beni e servizi, passati dal 23,6 per cento del totale della spesa locale nel 2001 al 29,5 nel 2014.

Anche sulle entrate locali i governi hanno sempre esercitato uno stretto controllo, come dimostrano le alterne vicende dell’Irap, delle addizionali Irpef o dell’ICI-IMU-TASI. E anche qui le decisioni dello Stato hanno avuto il conforto di molte sentenze della Corte, la quale ha più volte affermato che nel quadro normativo attuale non esistono tributi che possano essere definiti “propri” delle regioni.

La riforma non mortifica dunque il federalismo fiscale, ma dà stabilità all’assetto attuale. La riforma mette inoltre le basi per superare gli sprechi, che si annidano soprattutto negli acquisti, in quanto eleva a precetto costituzionale (art. 119 c. 4) il principio dei costi e fabbisogni standard, che, come noto, è stato il principale – e condivisibile – cavallo di battaglia dei fautori del federalismo. Va osservato infine che la clausola di supremazia, in base alla quale la legge dello Stato può intervenire anche su materie di competenza regionale quando lo richieda la tutela dell’unità della Repubblica o la tutela dell’interesse nazionale, è una norma di buon senso che esiste in quasi tutti gli ordinamenti federali e che sin qui è stata di fatto attuata, sia pure in modo contorto, attraverso le sentenze della Corte.

In sintesi, con la riforma si fa chiarezza su chi fa che cosa; si mettono le basi di eliminare sprechi e duplicazioni; si riduce l’incertezza per cittadini e imprese circa i tempi e le modalità di attuazione delle norme; si favoriscono gli investimenti che sono oggi scoraggiati dall’esistenza di norme che si sovrappongono fra livelli di governo e sono ingiustificatamente diverse fra territori; non si mortifica l’incentivo, che rimane un pilastro fondamentale del sistema, a concorrere per attrarre investimenti, sviluppo e posti di lavoro.

Articolo uscito sul Sole 24 Ore il 7 agosto 2016. Per leggere la versione estesa Qui

 

LE RAGIONI DEL NO

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L’introduzione in Costituzione del riferimento a costi e fabbisogni standard, di per sé accettabile, appare pleonastico, dal momento che ad esempio sono le stesse schede di lettura del testo di legge costituzionale ad affermare che «è ancora mancante la definizione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni nei settori diversi dalla sanità » ed a segnalare che «la disciplina gene­rale sui criteri per la determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali è stata dettata, in attuazione della legge delega suddetta, dal decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e dai relativi decreti di attuazione di quest’ultimo

Ne deriva che i costi ed i  fabbisogni standard possono essere imposti in qualunque momento con provvedimenti legislativi normali che dipendono dalla volontà politica del Governo di turno, senza quindi bisogno di introdurre in Costituzione un tale riferimento.

 

 

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

 

 

 

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