Lettera aperta di Granosalus al Presidente Mattarella su incontro con Barilla

 

Riceviamo e pubblichiamo:

Gentile Presidente Mattarella, 

abbiamo letto che nei giorni scorsi ha incontrato Guido Barilla, in qualità di presidente della Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN), che Le ha presentato il 7° Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione dal titolo “Mangiare Meglio, Mangiare Meno, Mangiare Tutti” che si è tenuto il 1° dicembre 2016, all’Università Bocconi di Milano. 

Abbiamo letto che Le ha parlato degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite, costruire un modello di alimentazione rispettoso della salute delle persone e del Pianeta e riscoprire il valore del cibo oltre il gusto.

E ancora, di temi quali fame e obesità, corretto utilizzo delle risorse naturali, spreco alimentare, diete sostenibili, impatto ambientale della produzione agricola, cambiamenti climatici.

Certamente condividiamo l’importanza di questi temi così come dello slogan: Mangiare Meglio. Mangiare Meno. Mangiare Tutti. 

Ci chiediamo però se siano questi i reali obiettivi dell’industria alimentare visto quel che sta succedendo nel settore dell’industria molitoria e pastaia per quanto riguarda l’approvvigionamento della materia prima: il grano duro.

Leggiamo nei comunicati che la Fondazione BCFN ha presentato, durante il convegno milanese, il Food Sustainability Media Award, un premio per chi meglio saprà rappresentare – tramite parole, foto e video – i paradossi del cibo.

Ecco secondo noi dell’Associazione GranoSalus che unisce produttori di grano duro, soprattutto del Sud Italia, e consumatori, il paradosso è un altro. 

Se ci permette Le spieghiamo perché.

Il Sud Italia, con Puglia, Sicilia e Basilicata in testa, è uno dei luoghi più vocati al mondo, grazie alle nostre condizioni climatiche, per la coltivazione del grano duro.

Nel Sud Italia è nata la Dieta Mediterranea, ormai universalmente riconosciuta come dieta anti cancro e in grado di contrastare obesità, malattie cardiache e altre problematiche.

Nel Sud Italia il sole rende il grano al momento del raccolto perfettamente maturo, asciutto, quindi non in condizioni di sviluppare micotossine nocive per l’alimentazione umana.

Invece, in altri paesi il grano viene raccolto umido, per cui sviluppa alti livelli di micotossine e inoltre molto spesso per accelerare la maturazione viene trattato con il glifosate, un erbicida recentemente messo al bando in Italia e nell’UE senza che finora l’Italia abbia invocato il principio di precauzione nei confronti del prodotto importato dal Canada che ne contiene quantità considerevoli.

La principale di queste micotossine è il DON (deossinivalenolo o vomitossina).

Per la maggior parte dei Paesi del mondo i valori massimi del DON nei cereali sono compresi fra 750 e 1000 ng/g, mentre in Italia il limite è fissato a 1750 dal Regolamento CEE n. 1881/2006, che l’Italia ha contribuito ad approvare.

Essendo consentito tale limite molto alto, è permessa la commercializzazione del grano prodotto in Canada dove lo stesso grano non viene utilizzato neanche per uso zootecnico!

Infatti superati i 1000 ng/g quel grano non può essere commestibile nemmeno per i suini e deve essere smaltito come rifiuto tossico!

Sempre con riguardo a tale limite si consideri che rientrare nella fascia massima consentita è particolarmente dannoso per i bambini per i quali la dose giornaliera tollerabile è ovviamente in proporzione ancora più alta, mentre il limite previsto dall’UE è pari a 200 ng/g.

Non facciamoci ingannare dalle pubblicità di paste realizzate da noti pastifici pubblicizzate come ideali per bambini/e, le micotossine contenute sono le stesse, ovvero entro il massimo consentito, che per la pasta consumata dagli adulti è pari a 750 ng/g.

Ecco questo sì è secondo noi un vero paradosso!

I grandi pastifici replicano che utilizzano in parte grano importato perché le quantità italiane sono insufficienti e perché contengono meno proteine ovvero meno glutine.

Ma è davvero positivo l’uso di grani iperproteici o non è la causa della crescita sempre maggiore di gluten sensitivity e altre intolleranze alimentari?

Il livello proteico alto serve solo ad accelerare i processi produttivi e la resistenza allo stress termico durante l’essiccazione ad alte temperature.

Proviamo ad assaggiare la pasta realizzata dai pochi marchi che usano solo grano italiano, spesso con procedimenti di produzione ed essiccazione accurati e di tradizione!

La differenza il palato la riconosce immediatamente e la digestione ne giova. 

L’Italia dispone di superfici che possono soddisfare non solo il nostro fabbisogno, infatti si potrebbero recuperare circa 600 mila ettari da coltivare a grano, in grado di aumentare notevolmente il nostro grado di auto-approvvigionamento.

Invece gli agricoltori italiani sono sovvenzionati dall’UE per non coltivare i terreni: con la nuova Pac non si può seminare a grano più del 75% della superficie aziendale e si parla di reintrodurre il set aside ovvero premiare l’abbandono dei terreni.

Ecco, questo è un altro vero paradosso!

I paradossi sono ancora tanti.

Il prezzo attuale del grano duro italiano è ben al di sotto di quello necessario a coprire i costi di produzione mentre quello di semola e pasta resta invariato.

Sa che 40 anni fa bastava un chilo di grano per acquistare un caffè al bar?

Adesso ne occorrono 5 chili. Non e’ possibile che il grano che importiamo dall’ estero e quello che esportiamo valga molto di più di quello che produciamo nel mezzogiorno. 

A titolo di esempio nel 2015 ai produttori del Sud Italia il grano duro è stato pagato 31,2 Euro al quintale (rispetto all’annata il prezzo avrebbe potuto essere più alto).

Mentre il grano duro estero è stato pagato 35,6 Euro al quintale.

Che nel 2015 sia stata messa in piedi una grande truffa ai danni dei produttori di grano duro del Sud Italia lo dimostra il prezzo al quale è stato rivenduto, sul mercato internazionale, il grano duro pugliese, siciliano, lucano e via continuando: a quasi 44 Euro al quintale! 

È palese che i prezzi del grano duro italiano siano manipolati e truccati, come lo stesso Ministro Martina ha avuto modo di evidenziare in una riunione del Mipaaf tenuta il 20 luglio a Roma.

La cerealicoltura al Sud Italia, in tal modo, rischia di morire e con essa l’economia di città intere, le giovani generazioni non sono interessate a subentrare in un’attività, che, seppure definita primaria, è in difficoltà enormi.

Dovremmo riflettere sul danno che riceverà il nostro Paese dal punto di vista anche della tutela del territorio se l’agricoltura morirà.

Perché morirà se non siamo in grado di darle il giusto valore, di non comprendere che ci sono delle specificità geografiche, stagionali, culturali che devono essere rispettate.

Il libero commercio può essere una cosa utile ma la globalizzazione dei sapori, dei gusti e dei contaminanti, no. 

Se l’agricoltura muore (perché noi parliamo del grano duro ma il problema riguarda tutto il mondo agricolo) che ne sarà del nostro territorio?

Cosa diventeranno le nostre terre, abbandonate a se stesse?

Il dissesto idrogeologico non deriva in gran parte dal fatto che un po’ alla volta l’agricoltura è sempre meno praticata? (pensiamo ai terrazzamenti degli agricoltori che per centenni hanno salvato da frane.)

Non si tratta di volersi difendere dalla concorrenza estera.

La concorrenza ci sta anche bene, purché sia basata sulla qualità.

È proprio quello che vogliamo, un mercato concorrenziale basato sulla vera qualità e sull’assenza di contaminanti.

Un mercato che permetta al settore primario di sopravvivere.

E in un modo perfetto tutta la filiera della pasta, dagli agricoltori ai pastificatori dovrebbe condividere un progetto che sia veramente sostenibile per tutti, ovviamente consumatori compresi.

Perché anche l’incidenza delle patologie e intolleranze non è un aspetto secondario ai fini del bilancio sanitario del Paese: mangiare cibo non contaminato significa ridurre l’incidenza dei farmaci e della sanità pubblica.

In queste settimane il Governo ha preso molte decisioni riguardo all’agricoltura.

Qualcuna, come la richiesta all’UE della tracciabilità della materia prima nella produzione di derivati del grano, va nella direzione giusta.

Altre, come il sostegno ai contratti di filiera, vanno decisamente contro gli interessi degli agricoltori e sono solo a favore di grandi mulini e pastifici.

Si tratta di contratti capestro, assolutamente non concorrenziali, che vengono spinti attraverso mini incentivi che sono in realtà specchietti per le allodole. 

Invece non è ancora stato approvato il decreto attuativo della legge sulle Commissioni Uniche Nazionali per la previsione dei prezzi, che, secondo la legge, doveva essere emanato già da ottobre 2015.

Alle CUN deve essere affidato il compito di formulare indicazioni di prezzi sulla base di indici sintetici oggettivi sui fondamentali di mercato (import, export, produzione, andamento dei consumi, livelli delle scorte, prezzi internazionali) al fine di rendere più chiaro il meccanismo di definizione dei prezzi alla produzione, introducendo un maggiore grado di concorrenzialità nelle contrattazioni e un ancoraggio ad indicatori di mercato oggettivi e, soprattutto, tempestivi (vista l’esperienza delle CUN maiali e conigli dove la mancanza di dati aggiornati in tempo reale penalizza gli agricoltori e avvantaggia gli industriali).

L’obiettivo è di eliminare la divaricazione tra prezzo all’origine, prezzi all’ingrosso e prezzi al consumo, dando vita ad una contrattazione reale sulla previsione del valore economico dei prodotti.

Le CUN dunque sarebbero l’unico strumento affinché i prezzi siano stabiliti senza speculazioni ed in modo concorrenziale tenendo conto anche della griglia di qualità tossicologica su cui il Governo ha preso impegni nei confronti del Parlamento attraverso una risoluzione approvata il 28 settembre in Commissione Agricoltura (risoluzione L’Abbate C7-01045).

Auspichiamo che nel futuro questi temi possano entrare nell’Agenda del nuovo Governo, affinché si possa realmente parlare di corretto utilizzo delle risorse naturali, diete sostenibili, impatto ambientale della produzione agricola, nel rispetto della salute dei consumatori e della tutela del settore primario.

Nel salutarLa le auguriamo buon lavoro per svolgere l’importante incarico che l’attende.

 

Saverio De Bonis, Presidente GranoSalus

 

(Articolo pubblicato con questo titolo oggi 9 dicembre 2016 sul sito “Agricolae.eu”)

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