La riforma della Legge sui Parchi spiegata da Rossella Muroni

 

Oggi la Riforma della legge quadro 394/91 sulle aree protette approda alla Camera dopo essere stata rivista in alcuni punti dalla Commissione ambiente della stessa Camera, presieduta da Ermete Realacci (PD), che viene accusata da diverse associazioni ambientaliste, Aidap, forze politiche di aver licenziato un testo che non viene incontro alle loro richieste di modifica della versione approvata dal Senato.  

Ne parliamo in questa intervista con la presidente nazionale di Legambiente, Rossella Muroni, che è stata una delle protagoniste del difficile confronto sulla riforma della legge sui Parchi.  

Cosa c’è che non va nella modifica della legge approvata in Commissione ambiente?

Alcune scelte di fondo sono rimaste immutate nonostante le proposte che abbiamo avanzato, insieme ad altre 15 associazioni ambientaliste, fossero frutto di buonsenso.

Pensiamo ad esempio che non inserire le aree umide riconosciute dalla Convenzione di Ramsar e quelle della Rete natura 2000 riconosciute dalle direttive habitat e uccelli tra la classificazione delle aree protette sia un errore.

Perché questa scelta non avrebbe comportato un aggravio di vincoli per il mondo agricolo e produttivo ma avrebbe fornito al nostro Paese uno strumento in più per migliorare la tutela della natura riconosciuta a livello internazionale.

Sulla governance dei parchi si può fare decisamente meglio a partire dal definire competenze maggiori per chi deve essere nominato alla presidenza di un parco, mentre per la nomina del direttore preferiremmo che il concorso pubblico sia gestito da una commissione nominata dal Ministero dell’Ambiente, e a fronte della terna che viene proposta nel testo noi chiediamo che si proclami un solo vincitore del concorso che sarà poi nominato direttore.

Insomma si faccia per i parchi quello che già si fa nelle altre amministrazioni pubbliche che devono scegliere i loro dirigenti!.

Invece, nella scia di migliorare la governance e la partecipazione alla vita dei parchi abbiamo proposto la nascita di una Consulta per ogni parco, per garantire la partecipazione e il contributo del partenariato economico e sociale, e un Comitato tecnico scientifico con funzioni consultive.

Proposte ragionevoli, moderne ed a costo zero per le finanze pubbliche che però non sono state prese in considerazione.

Diverse associazioni ambientaliste danno un giudizio pessimo della riforma della Legge 394/91

Per noi la proposta di Legge che modifica la legge quadro sulle aree protette 394/91, che inizia la sua discussione in Aula alla Camera il prossimo 27 marzo, contiene importanti novità rispetto al testo licenziato dal Senato.

Permangono ancora dei punti da chiarire e migliorare, insieme ad altri che devono essere assolutamente cambiati, ma possiamo dire senza nessun imbarazzo che il testo è stato migliorato in maniera significativa poiché sono state introdotte importanti scelte politiche.

Quali sarebbero queste importanti scelte politiche?

Crediamo sia stata una scelta politica importante aver introdotto il Piano nazionale triennale per le aree naturali protette, che ripristina un luogo di concertazione e programmazione condivisa tra le Regioni e il Governo.

Il Piano, che sarà finanziato per il triennio 2018/2020 con una dotazione annuale di 10 milioni di euro, permette di ristabilire una sede unitaria dove promuovere strategie coerenti di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico, primo fattore di perdita di biodiversità a livello globale, strategie affinché il nostro Paese raggiunga gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati in sede internazionale e attuare la strategia nazionale per le Green Communities.

Il Piano riserva almeno il 50% delle risorse disponibili alle aree protette regionali e alle aree marine protette e prevede che le Regioni devono cofinanziare il Piano con proprie risorse.

Una scelta che inverte una tendenza e dimostra una nuova attenzione da parte del Governo verso un rilancio delle politiche per le aree protette, e rappresenta una adeguata risposta alle scelte che stanno compiendo alcune Regioni come il Veneto che, con la scusa della mancanza di risorse finanziare, stanno demolendo i loro sistemi di aree protette regionali pregiudicando anche il raggiungimento dei target di tutela della biodiversità che il nostro Paese deve raggiungere entro il 2030.

Altra novità introdotta, è la norma che chiede attenzione alla parità di genere nelle nomine degli organi degli Enti parco, visto che nei 23 parchi nazionali solo tre sono le donne che svolgono funzioni da direttore e solo 14 su 230 (il 6%) dei componenti dei consigli direttivi sono donne.

Nel testo, sono stati rafforzati alcuni divieti come quello che nei parchi e nelle aree contigue vieta l’eliski,  e la possibilità di svolgere attività di prospezione, ricerca estrazione e sfruttamento di idrocarburi liquidi e gassosi.

Nel testo sono state introdotte indicazioni per il rispetto della normativa sull’uso dei prodotti fitosanitari nei parchi e nelle aree contigue, e sono state rafforzate le misure sanzionatorie per le violazioni di legge nelle aree protette.

Giudichiamo positiva la norma che prevede dal 2018 il passaggio della gestione delle riserve statali alle aree protette in cui queste sono presenti o limitrofe, e quella che prevede di svolgere ogni tre anni una Conferenza nazionale sui parchi, mentre viene opportunamente ribadito il divieto di introduzione dei cinghiali su tutto il territorio nazionale.

Sono state infine introdotte importanti novità per la gestione delle aree marine protette, a partire dall’incremento di 3 milioni di euro a partire dal 2018 della spesa per la gestione e il funzionamento delle aree istituite, e aver previsto criteri per la partecipazione al bando a evidenza pubblica per selezionare la figura di direttore dell’area marina protette.

Insomma, non è vero che sarebbe una controriforma?

Non è la migliore riforma possibile, anzi a dire il vero non si capisce perché è stato necessario riaprire la 394/91 per introdurre queste modifiche.

La sensazione generale è che si sia persa un’occasione importante per aprire un confronto ampio e approfondito su come vada tutelata e gestita la biodiversità in Italia nel 2017.

È mancato totalmente una riflessione sull’equilibrio nella relazione tra gestione diretta dello Stato e protagonismo dei territori, un protagonismo che gran parte dell’ambientalismo italiano ha fortemente difeso in occasione del referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre ma che invece viene visto come un pericolo nel momento in cui si parla di Parchi.

Non sarà questa riforma a dirci ad esempio cosa potranno e dovranno essere in parchi tra 10 anni!

Certo il testo licenziato al Senato è stato migliorato nel passaggio in Commissione Ambiente della Camera ma non tutte le proposte delle associazioni ambientaliste hanno avuto una risposta convincente.

Confidiamo che nel passaggio in Aula i gruppi parlamentari e i singoli Deputati avanzino modifiche ulteriormente migliorative del testo e per questo stiamo inviando loro alcune nostre proposte di emendamenti.

Ci sono quindi altre cose da migliorare nel testo approdato alla Camera?

Si oltre alla governance si può migliorare ancora la parte relativa alle cosiddette royalties, il meccanismo che  prevede di “risarcire” le aree protette per i danni che provocano alla natura le attività impattanti.

Il modello di pagamento una tantum proposto dalla Commissione della Camera che cambia quanto definito al Senato ci pare peggiorativo, e si continua ad escludere l’imbottigliamento delle acque minerali, le funivie e le cabinovie da questo meccanismo di pagamento nonostante siano tra le attività più impattanti.

Nel testo è stata fatta in maniera opportuna la scelta di assegnare la gestione dei beni demaniali anche ai parchi, a questo si potrebbero aggiungere anche la gestione dei beni requisiti alla criminalità organizzata e che sono presenti nelle aree protette.

Nella proposta di riforma ci sono alcune cose che per Legambiente sono inaccettabili?

Ci sono alcune proposte peggiorative rispetto al testo licenziato al Senato che consideriamo sbagliate e da cancellare.

Ci lascia perplessi la norma che esclude l’incarico di presidente di parco dall’applicazione della legge 95/2012 (disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini) che impedisce a chi è in quiescenza, riceve cioè una pensione o un vitalizio, di assumere incarichi dirigenziali.

Escludere i presidenti di parco da questa norma generale, che nasce per dare la possibilità ai giovani di assumere incarichi di vertice nelle amministrazioni pubbliche, lo troviamo sbagliato.

Altra norma che consideriamo sbagliata è quella che permette ai parchi di superare quanto prevede la legge 122/2010 (misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) e altre norme del decreto legge 95/2012.

I parchi potranno cioè non rispettare limiti di spesa e altri vincoli imposti ai bilanci di tutte le altre amministrazioni pubbliche per contenere le cosiddette spese inutili.

Ci chiediamo quali siano le motivazioni che stanno alla base di questa richiesta di deroga o privilegio riconosciuto ai parchi, vista pure l’incapacità di molti parchi di spendere tutte le risorse a disposizione.

Ma se anche fosse necessario allentare i vincoli che hanno colpito in maniera draconiana tutte le amministrazioni pubbliche, almeno si preveda di utilizzare in maniera virtuosa questa deroga stabilendo, ad esempio, che le risorse saranno utilizzate esclusivamente per attività di conservazione della natura e non per le attività istituzionali.

Ribadiamo, infine, la nostra contrarietà all’articolo 27 che prevede la delega al Governo per il Parco del Delta del Po, poiché non si capisce che tipologia di Parco si vuole istituire (nazionale? Interregionale?…), chiediamo perciò che si cancelli tale previsione e in subordine venga istituito il Parco nazionale del delta del Po.

I parchi subiscono sempre più spesso atti illeciti e le associazioni ambientaliste denunciano spesso quanto accade all’interno delle aree protette. La modifica della legge non sembra tener conto del fatto che, dopo il passaggio del Corpo forestale ad altri corpi, la presenza delle forze che dovrebbero controllare le aree protette – già insufficiente –  si è ulteriormente ridotta. Eppure questo problema, essenziale per la tutela dell’ambiente da bracconieri ed abusivi, sembra non aver interessato la politica  e non molto nemmeno le associazioni ambientaliste. Come mai?

Questo è un punto delicato e non affrontato adeguatamente, poiché non c’è stata la capacità di tenere conto nelle modifiche alla legge del passaggio del Corpo Forestale nei Carabinieri, ma confidiamo che ci sarà il tempo per migliorare l’organizzazione della nuova forza di polizia ambientale nata alle esigenze che il sistema delle aree protette saprà manifestare.

Noi abbiamo già chiesto ai vertici dei Carabinieri di migliorare la loro organizzazione e presenza nelle aree protette, confidiamo che anche il Protocollo di collaborazione che Legambiente ha sottoscritto con il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri possa servire a perseguire di più i reati e migliorare la vigilanza nelle aree protette.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo oggi 27 marzo 2017 sul sito online “greenreport.it”)

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