Le associazioni pacifiste, la Sinistra e il M5S criticano da sempre la decisione dei governi italiani di acquistare i cacciabombardieri di fabbricazioni americana Joint Strike Fighter F-35 prodotti da Lockheed Martin e sponsorizzati dalle amministrazioni Usa, inizialmente 131 aerei (al costo preventivato di 16 miliardi di euro) che in seguito alle proteste, nel 2012 — per decisione interna dello Stato Maggiore — sono diventati 90 velivoli per un costo ipotizzato di 13 miliardi. Ora le loro denunce sono corroborate da una nuova inchiesta, “The F-35 Is a $1.4 Trillion Dollar National Disaster”, pubblicata su The National Interest, che rivela altre lacune degli F-35, che sono già costati ai contribuenti americani 1,4 trilioni (1.400 miliardi), parte dei quali si vorrebbero recuperare sbolognando questo disastro con le ali a Paesi “amici” come l’Italia. Su National Interest, Dan Grazier scrive che l’F-35 porrà molti problemi all’aviazione militare Usa: mentre l’Italia “compra sulla fiducia” l’ottimizzazione e i test di volo sono lontani dall’essere terminati e emergono continui problemi ed inefficienze che limitano considerevolmente l’utilizzo di questi aerei che venivano presentati come un miracolo bellico. L’articolo cita quanto scritto da Michael Gilmore, l’ex direttore Operational Test and Evaluation del segretariato della difesa Usa, secondo il quale ci sono «centinaia di problemi tecnici» che non permettono di definire l’F-35 un vero aereo da combattimento: «Il nuovo aereo non ha la facilità di manovra dei suoi predecessori. La sua capacità di volo a velocità subsoniche è inaccettabile perché subisce l’influenza di forche cambiano improvvisamente il so vettore». Inoltre, quel che veniva presentato come un’invincibile macchina da guerra, in realtà sarebbe impotente in un combattimento aereo con gli aerei russi e cinesi di ultima generazione, visto che il suo sistema operativo sarebbe in grado di gestire solo due missili aria-aria. Il caccia acquistato dall’Italia dovrebbe assistere le truppe […]
Archivi Giornalieri: 6 Aprile 2017
Intervenendo ieri alla Bit di Milano, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha annunciato di aver chiamato il presidente della Fondazione Notte della Taranta per chiedergli di «organizzare per il prossimo 25 aprile, giornata della Liberazione, un grande concerto che la Regione Puglia farà a San Foca, a Melendugno per difendere il nostro mare, la nostra bellezza. Lo faremo con la musica: la musica sarà il modo attraverso il quale riusciremo a convincere gli altri del fatto che questa volta abbiamo ragione noi». Ma mentre Emiliano lanciava il 25 aprile anti-Tap e a San Foca si inasprisce la battaglia degli ulivi, a Tel Aviv il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda firmava, insieme ai suoi colleghi di Israele, Grecia e Cipro, la Dichiarazione congiunta per il lancio del progetto Eastmed, il più grande gasdotto sottomarino del mondo che dovrebbe portare in Italia il gas dei giacimenti al largo di Israele e Cipro, rilanciando l’ipotesi di utilizzo del gasdotto Poseidon di Edison a Otranto. A Legambiente Puglia spiegano che «il progetto Eastmed prevede una porzione di 1.300 chilometri offshore e altri 600 onshore, che porterà, secondo le previsioni, la commercializzazione delle riserve energetiche scoperte da Israele nell’Est del Mediterraneo, attraverso Cipro e Grecia fino all’Italia. Il progetto sarà presentato ai ministri del G7, poiché ritenuto fondamentale asse di sviluppo della strategia energetica complessiva del Mediterraneo». Il troncone Italia-Grecia di Eastmed ha ottenuto l’esenzione Third Party Access per 25 anni. Secondo Francesco Tarantini, presidente del Cigno Verde pugliese, «con la firma dell’accordo per il lancio del progetto Eastmed si concretizza sempre più il rischio di avere ben due gasdotti in Puglia, uno a Melendugno e l’altro a Otranto. Infatti, proprio nel 2011 la società IGI Poseidon ottenne il decreto di autorizzazione unica del Ministero dello sviluppo economico che approvava il […]