Trivelle offshore entro le 12 miglia, le smentite del governo non convincono

 

Il 7 aprile,  dopo la pubblicazione sulla stampa della notizia che il governo aveva dato, con un decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, un sostanziale  via libera a nuove trivellazioni di gas e petrolio offshore entro le 12 miglia, il ministero dello sviluppo economico aveva detto che in realtà quel decreto «aggiorna le modalità operative per la ricerca e la produzione di idrocarburi,  non modifica in alcun modo le limitazioni per le attività consentite dal Codice Ambiente nelle  aree marine comprese nelle 12 miglia dalla costa e dalle aree protette».

Anche se le associazioni ambientaliste e alcuni esponenti della stessa maggioranza lo interpretano diversamente, il ministero sottolineava che «nel decreto, infatti, si regolamentano solamente le attività già consentite dalla legge all’interno di queste aree, e cioè le attività  funzionali a garantire l’esercizio e il recupero delle riserve di idrocarburi accertate per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e salvaguardia ambientale.   

Sono quindi escluse altre attività, quali in particolare quelle di sviluppo e coltivazione di eventuali nuovi giacimenti».

Smentite che non convincono praticamente nessuno, a cominciare dalla vicepresidente della Commissione ambiente della Camera dei deputati, Serena Pellegrino ( SI – Possibile), che sulla questione ha rivolto un’interrogazione al ministro dello sviluppo economico.

Secondo la Pellegrino, «il Governo italiano non può continuare a ossequiare i petrolieri e prendere in giro i 12 milioni di cittadini e le 9 Regioni che si sono espresse contro le trivelle in occasione del relativo referendum.  

Il recente decreto del Mise  consente agli impianti di estrazione di idrocarburi che stanno dentro il limite delle 12 miglia dalla costa e dalle aree protette di realizzare nuovi pozzi e nuove piattaforme con la scusa di dover realizzare attività funzionali alla coltivazione di giacimenti di idrocarburi già autorizzate, fino all’esaurimento degli stessi».

La deputata di sinistra spiega che «il Governo consente di modificare il programma originario delle concessioni di sfruttamento non certo pensando alle attività di decommissioning, già previste dalle leggi vigenti e soggette alla Valutazione di impatto ambientale e all’autorizzazione da parte del Mise, visto che queste attività, insieme al ripristino ambientale,  appartengono a fasi successive a quelle della coltivazione.  

L’obiettivo reale è  consentire alle compagnie petrolifere di modificare in corsa il programma di sviluppo previsto al momento del rilascio della concessione.  

Sarebbe questa la messa in pratica delle roboanti dichiarazioni dell’ex capo del Governo sull’inutilità del referendum perché di trivellazioni entro le 12 miglia non si sarebbe mai più dovuto discutere?»

Per quanto riguarda la previsione di possibili modifiche dei programmi di lavoro, il ministero precisava che «è finalizzata unicamente a consentire sia interventi di manutenzione e aggiornamento delle infrastrutture, sia – al termine della coltivazione – la chiusura mineraria dei pozzi e la rimozione delle piattaforme.  

Queste attività, anche se non previste nel programma originario (caso ad esempio che si verifica per i piani di chiusura e ripristino), dovranno comunque essere sottoposte a iter approvativo e autorizzativo e conseguentemente a  VIA.  

Non si tratta quindi di alcuna deregolamentazione, ma al contrario della fissazione di precise procedure di approvazione e autorizzazione dei programmi  a garanzia della sicurezza e dell’ambiente, proprio nel rispetto del Codice Ambiente».

Ma la Pellegrino fa notare che «il meccanismo normativo congegnato, evitando accuratamente il Parlamento, sembra scritto sotto dettatura dai petrolieri e consente la costruzione di nuove infrastrutture per portare ad esaurimento le riserve ancora presenti nei giacimenti sottomarini.  

L’evidenza di quanto sosteniamo, ossia che viene eluso il divieto di legge, sta nel testo del decreto: alla lettera a)  comma 3 dell’articolo 15 è specificato che sono autorizzate le attività funzionali alla coltivazione “fino ad esaurimento del giacimento e all’esecuzione dei programmi di lavoro approvati in sede di conferimento o di proroga del titolo minerario, compresa la costruzione di infrastrutture e di opere di sviluppo e coltivazione necessarie all’esercizio”».

La deputata di SI – Possibile, conclude: «Il risultato del referendum costituzionale, però, ha evitato che le Regioni perdessero completamente la potestà legislativa concorrente allo Stato ed il loro ruolo riequilibratore della tendenza governativa accentratrice delle politiche energetiche.  

Veneto, Puglia e Basilicata si sono già mosse per far valere il diritto a dire la loro su nuove iniziative di trivellazione.  

L’attenzione del Parlamento su quanto accadrà in forza del decreto del Mise, dopo questo ennesimo affronto al proprio ruolo, è altissima».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 13 aprile 2017 sul sito online “greenreport.it”)

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