L’agricoltura biologica italiana è la strada giusta per affrontare i cambiamenti climatici?

 

Secondo lo studio “The contribution to climate change of the organic versus conventional wheat farming: A case study on the carbon footprint of wholemeal bread production in Italy”, pubblicato da un team di ricercatori italiani sul Journal of Cleaner Production «l’agricoltura biologica potrebbe rivelarsi un valido alleato nella lotta ai cambiamenti climatici: rispetto a un’agricoltura di tipo tradizionale, consentirebbe infatti di abbattere le emissioni di gas serra fino al 60%».

Gli autori dello studio, Maria Vincenza Chiriacò, Giampiero Grossi, Simona Castaldi e Riccardo Valentini, della  Fondazione centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc),  evidenziano come «l’agricoltura biologica potrebbe essere la strada giusta per produrre cibo di qualità e allo stesso tempo promuovere azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici».

La Chiriacò, ricercatrice alla Division on Impacts on agriculture, forests and ecosystem services (Iafes) di Viterbo della Fondazione Cmcc, spiega che «l’agricoltura biologica in Italia è un’attività low-carbon, cioè a basso contenuto di emissioni di gas a effetto serra, e potrebbe aiutare nella lotta ai cambiamenti climatici, riducendo le emissioni di un settore, quello agricolo, responsabile da solo del 24% delle emissioni globali».

Per valutare il diverso contributo ai cambiamenti climatici dato dall’agricoltura convenzionale e da quella biologica in Italia, i ricercatori hanno preso in considerazione la produzione di grano nell’Italia centrale, esaminando l’intera filiera produttiva, dalla semina in campo alla produzione e distribuzione del pane.

La Chiriacò sottolinea che «è da tempo che si discute sul contributo delle diverse pratiche agricole ai cambiamenti climatici, ma finora mancavano dati certi e confrontabili.

Nel nostro studio abbiamo confrontato due terreni agricoli dell’Italia centrale che presentavano caratteristiche di suolo, climatiche e ambientali molto simili, e differivano solo per le pratiche agricole impiegate (agricoltura biologica o convenzionale) per la produzione del grano.

In questo modo è stato possibile fare una valutazione accurata del contributo ai cambiamenti climatici in termini di impronta di carbonio (carbon footprint), ovvero di emissioni di gas a effetto serra, della produzione di grano in Italia con agricoltura biologica e convenzionale, senza la presenza di fattori esterni a invalidare il confronto».

I ricercatori dicono che i risultati dello studio sono sorprendenti: «Se si considera infatti il contributo in termini di emissioni di gas serra per ettaro di superficie coltivata, il biologico consente di abbattere le emissioni del 60% rispetto all’agricoltura convenzionale, che invece ha un impatto più elevato per la maggiore densità dei seminativi e l’impiego massiccio di prodotti chimici, come fertilizzanti chimici e pesticidi.

L’agricoltura biologica sembra quindi avere tutte le potenzialità per ridurre le emissioni del settore agricolo e produrre cibo in maniera sostenibile, contribuendo alla mitigazione dei cambiamenti climatici».

La Chiriacò conclude: «Anche se le implicazioni legate alla minore produttività dell’agricoltura biologica e alla possibile conseguente necessità di maggiori estensioni di terra coltivata devono essere affrontate, tuttavia, l’agricoltura intensiva, caratterizzata da rese elevate, ma anche da maggiori impatti per il clima e l’ambiente, non è necessariamente la soluzione per eradicare la fame e risolvere il problema di come nutrire gli oltre 9 miliardi di persone attesi per il 2050.

Infatti, stime della Fao riportano che l’attuale produzione agricola fornisce già cibo a sufficienza per sfamare l’attuale e la futura popolazione globale, ma la sicurezza alimentare non è garantita per tutti per una serie di cause quali povertà, conflitti, spreco di cibo e lo stesso cambiamento climatico.

Certamente la ricerca scientifica dovrà concentrarsi per capire meglio le potenzialità dell’agricoltura biologica e proporre soluzioni per aumentarne la produttività.

Inoltre, il caso studio esaminato fornisce dati nuovi e specifici per una stima più precisa del contributo ai cambiamenti climatici, in termini di emissioni di gas serra, della produzione di grano in Italia.

Tali dati potranno essere utilizzati anche per migliorare le stime per il settore agricolo e LULUF (land use, land use change and forestry – uso del suolo, cambiamenti di uso del suolo e selvicoltura) dell’inventario nazionale delle emissioni di gas serra in Italia, realizzato annualmente dall’Ispra  per rispondere agli obblighi della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Unfccc) e del Protocollo di Kyoto».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 10 maggio 2017 sul sito online “greenreport.it”)

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