Gli incendi boschivi cambiano, ma non cambiano le strategie per governarli

 

Un team di ricercatori italiani ha pubblicato su Forest@, la rivista della Società Italiana di selvicoltura ed ecologia forestale (Sisef) l’editoriale “Gli incendi boschivi stanno cambiando: cambiamo le strategie per governarli” che è uno dei risultati del workshop “Incendi boschivi: innovazioni e sfide future per la ricerca scientifica” organizzato il 23-24 maggio scorsi dall’Università di Sassari con il contributo della Sisef. Vista la drammatica attualità, e la qualità dello studio, ve ne proponiamo ampi stralici:

Dobbiamo necessariamente confrontarci con il fuoco nei sistemi forestali e imparare a governare questo fenomeno partendo dalle sue radici, ovvero dalla conoscenza e dalla gestione dei boschi, delle foreste e delle altre terre boscate in dinamica evoluzione ed interazione con gli spazi rurali.

Solo in questo modo potremo mitigare gli effetti di una nuova generazione di incendi.

Rispetto al passato, il fenomeno incendi sta infatti cambiando perché l’ambiente forestale e le sue interazioni con il clima e la società hanno nuove connotazioni.

La stagione incendi è sempre più lunga, ed eventi meteorologici estremi come ondate di calore e siccità sono più frequenti e aumentano lo stress idrico della vegetazione rendendola altamente infiammabile.

Inoltre, un tempo il territorio veniva coltivato e capillarmente gestito (si pensi al pascolo e sfalcio di vaste porzioni del territorio).

Oggi la foresta cambia, dentro e fuori.

Diminuisce nel mondo e ritorna ad occupare spazi abbandonati nel nostro paese.

Aumentano velocemente gli alberi e crescono i boschi, nelle contrade rurali e montane, intorno alle città, negli spazi interstiziali, fuori foresta.

A seguito dell’abbandono delle aree agricole e pastorali, i boschi italiani si stanno espandendo spontaneamente di circa 30.000 ettari all’anno, originando formazioni pre-forestali e boschi di neoformazione particolarmente predisposti ad essere percorsi dagli incendi.

Anche le aree urbanizzate sono in espansione e sono sempre più diffuse le zone di interfaccia urbano-foresta dove il rischio incendi è alto e il pericolo evidente.

Di conseguenza, se gli incendi stanno cambiando, dobbiamo cambiare le strategie per governare e regimare questo fenomeno.

(…) La causa prevalente di innesco degli incendi non è il dolo ma la noncuranza, negligenza, imprudenza o imperizia dei cittadini che devono essere informati e responsabilizzati.

Anche gli effetti del fuoco sull’ambiente vengono drammatizzati.

Dopo il passaggio di un incendio, si fa ancora riferimento a superfici “perse” anziché “superfici percorse” ipotizzando erroneamente un danno irreversibile ovunque e comunque!

Gli incendi alcune volte sono molto dannosi, altre no.

Si passa dalla trasformazione di vaste aree forestali con restituzione repentina in atmosfera di grandi masse di gas-serra a effetti limitati e locali che non hanno conseguenze negative sui servizi forniti dal bosco.

Infatti, gli ecosistemi forestali per milioni di anni sono stati percorsi da incendi naturali ed hanno sviluppato molte strategie per ricostituirsi spontaneamente.

Questi esempi indicano che il problema non è inteso nella sua complessità e questo induce a tipi di gestione non adeguati.

Oggi la strategia praticamente unica, almeno in Italia, si basa prevalentemente sulla estinzione del fuoco.

Questa strategia prevede una struttura antincendio capace di intervenire tempestivamente con mezzi numerosi su un territorio vasto.

Tuttavia, gli incendi presentano un’elevata variabilità da un anno all’altro che dipende da diverse condizioni predisponenti e determinanti, e in primo luogo dalla variabilità meteorologica.

I lettori noteranno che in alcuni anni gli incendi sono uno degli argomenti caldi trattati dai giornali nel periodo estivo (e sono le uniche occasioni per parlare indirettamente dei boschi…), poi per lungo tempo non se ne parla e ci si dimentica del problema.

Negli anni in cui gli incendi sono sporadici gran parte della struttura antincendi rimane ferma, inutilizzata e in “attesa” del prossimo periodo di difficoltà, con costi molto elevati per mantenerla efficiente ed operativa.

Inoltre, tecnicamente, la strategia di attacco al fuoco si basa soprattutto sulla lotta utilizzando l’acqua.

Per trasportare e utilizzare l’acqua si adottano mezzi terrestri che lavorano al margine del bosco mentre per penetrare al suo interno si ricorre in larga misura alla via aerea.

Questi mezzi hanno costi molto alti e anche con l’uso di tecnologie sofisticate non sono in grado di contrastare focolai multipli in condizioni meteorologiche avverse, sempre più aggravate dagli estremi climatici.

Basti pensare all’estate del 2007 quando il sistema di lotta nazionale è andato in crisi a causa degli incendi simultanei nel Sud Italia con condizioni di vento che non permettevano l’impiego dei mezzi aerei.

Basta guardare cosa sta accadendo in questo luglio 2017.

Avere una sola strategia non è saggio.

La strategia basata solo sull’estinzione trascura un aspetto fondamentale, ovvero le caratteristiche della vegetazione che predispongono ai grandi incendi.

Diversamente, una strategia che integra l’estinzione con azioni preventive di gestione del bosco che lo rendano meno suscettibile ai grandi incendi è più efficace nel mitigare il rischio.

L’impostazione di attesa dell’estinzione si illude di difendere il bosco standone al di fuori.

L’impostazione preventiva invece entra nel bosco e mette in atto in modo mirato azioni di “selvicoltura preventiva” per ridurre la continuità e l’infiammabilità della vegetazione in punti critici, consentendo ai mezzi di estinzione di operare in modo più sicuro ed efficace.

(…) Talvolta si preferiscono interventi tradizionali, come favorire la crescita di specie meno infiammabili e quella di alberi più resistenti, di maggiori dimensioni e con chiome più distanziate.

Tuttavia questi interventi vanno incontro a fattori limitanti come la difficile accessibilità che si riflette sulla realizzazione e i costi dei cantieri forestali.

Questi limiti sono evidentissimi nei boschi di neoformazione, spesso in aree marginali non servite da strade.

Pertanto, devono essere previste nuove tecniche di prevenzione.

Fra queste ritroviamo il “fuoco prescritto”, tecnica selvicolturale di prevenzione che applica in modo esperto ed autorizzato il fuoco alla vegetazione su superfici pianificate, in determinate condizioni meteorologiche e ambientali adottando precise procedure da parte di tecnici e professionisti: consente di condurre il fuoco in sicurezza, con una intensità molto inferiore a quella dell’incendio, adeguata a ridurre la frazione più infiammabile della vegetazione senza alterare il funzionamento né i processi ecologici dell’ecosistema bosco.

L’incendio estivo che attraversa un’area trattata con il fuoco prescritto troverà meno combustibile e avrà una minore velocità, intensità e lunghezza delle fiamme e avrà minore probabilità di originare un incendio di chioma, che ha gli effetti più severi sul bosco.

Il fuoco prescritto viene utilizzato con successo e a costi contenuti in diversi paesi europei e mediterranei in situazioni simili alle nostre.

In Italia, il fuoco prescritto è stato studiato, sperimentato e applicato, anche in aree protette, soprattutto per gestire i viali tagliafuoco e le pinete litorali, per regolamentare l’uso del fuoco da parte dei pastori e per conservare habitat in cui il fuoco svolge un ruolo ecologico.

I risultati sono incoraggianti.

Inoltre la progettazione e la realizzazione del fuoco prescritto sono utili per formare gli addetti ai servizi antincendi, contribuendo alla organizzazione di un sistema di lotta più efficace ed efficiente che lavora per il territorio anche quando gli incendi sono silenti.

Per questi motivi auspichiamo la rapida diffusione di questa tecnica di prevenzione.

(…) Per ricostituire una foresta percorsa dal fuoco è invece necessario comprendere le dinamiche ecologiche del bosco e accompagnarle con le opportune misure selvicolturali.

Gli interventi post-incendio devono mirare ad un bosco con una maggiore resistenza (capacità di opporsi al trauma termico degli incendi) e resilienza (capacità di tornare alla condizione precedente al trauma) e a garantire che non si verifichino altri eventi negli anni immediatamente successivi.

Quindi, previsione, prevenzione, estinzione e ricostituzione devono essere integrate e basate sulla conoscenza dell’ecologia forestale e della selvicoltura realizzando condizioni affinché il bosco e lo spazio rurale in genere siano meno percorribili e danneggiabili dagli incendi.

Per integrare tutte queste attività di gestione degli incendi, è necessario un coordinamento garantito dai piani, di competenza regionale, previsti dalla legge n. 353/2000.

La loro impostazione deve tenere conto delle caratteristiche ambientali considerando che numerosi piccoli incendi con fiamme di bassa intensità non comportano un danno significativo.

Per contro, pochi incendi intensi, severi e di grandi dimensioni hanno conseguenze gravi.

Quindi una corretta pianificazione dovrà essere in grado di individuare le aree dove si potrebbero verificare i grandi incendi e definire le misure più adeguate per prevederli, prevenirli, controllarli e mitigarne gli effetti negativi.

Tutto sta cambiando nel settore forestale.

Allo spopolamento delle aree interne e montane corrisponde in alcuni casi anche un vero e proprio smantellamento di alcuni servizi tecnici e, a livello centrale, la transizione istituzionale sta durando a lungo, aumentando i rischi di perdere preziose opportunità.

Una Direzione Generale delle Foreste, come previsto dai recenti provvedimenti legislativi, è il primo soggetto di cui abbiamo bisogno per avviare, con una visione chiara del futuro, il coordinamento delle politiche e l’affermarsi di linee guida comuni, non solo in ambito nazionale ma più in generale a livello europeo, visto che gli incendi non rispettano i limiti amministrativi, per far si che questa stagione – che potremo con speranza definire delle strategie della sostenibilità – non passi invano.

La gestione degli incendi in Italia deve cambiare e non essere più solo basata sull’estinzione.

Questa innovazione è resa necessaria dai nuovi scenari ambientali (cambiamenti climatici, espansione di nuovi boschi, aumento della popolazione urbana e delle aree di interfaccia).

Saranno da evitare le scelte emotive e gli allarmismi nei periodi in cui si verificano i grandi incendi.
Serve invece integrare l’estinzione con la pianificazione forestale e quella territoriale, l’educazione ambientale rivolta innanzitutto alle scuole, e la prevenzione attraverso la cura del bosco, bene insostituibile per migliorare il benessere e la qualità della vita.

Giorgio Giovanni Bovio, Giorgio Vacchiano, già Dipartimento Disafa, Università di Torino
Marco Marchetti, Dipartimento di Bioscienze e Territorio, Università del Molise
Luca Tonarelli, D.R.E.Am Italia
Michele Salis, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Biometeorologia (CNR-IBIME), Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC)
Raffaella Lovreglio, Dipartimento di Agricoltura, Università di Sassari
Mario Elia, Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali, Università degli Studi di Bari
Paolo Fiorucci, Fondazione CIMA Centro Internazionale di Monitoraggio Ambientale
Davide Ascoli, Dipartimento Agraria, Università di Napoli

(Pubblicato con questo titolo il 24 luglio 2017 sul sito online “greenreport.it”)

 

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