Risposta a Donini… ovvero di belle intenzioni è lastricato il pavimento dell’inferno

 

Occorre dare atto all’Assessore alle infrastrutture della Regione Emilia-Romagna di essere un interlocutore affabile e dialogico, infatti il più delle volte (non proprio sempre) non si sottrae al confronto.

Egli è anche intervenuto al primo convegno “Fino alla fine del suolo” – promosso in Regione dall’Altra Emilia Romagna, insieme al M5S, nello scorso mese di marzo –, dopo aver ascoltato gli interventi degli eminenti urbanisti e studiosi che hanno mosso argomentate critiche alla proposta di legge della Giunta “disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio” numero 218 del 27 febbraio 2017.

Anche in quell’occasione, come nella recente risposta all’articolo di Tomaso Montanari (la Repubblica, 8 agosto scorso) che riprende la sua prefazione al libro promosso da AER “Consumo di luogo” (ed. Pendragon, curato da Ilaria Agostini, ricercatrice di urbanista presso l’Università di Bologna), egli evita accuratamente di entrare nel merito degli argomenti che evidenziano le vistose incoerenze e contraddizioni che pongono radicalmente in discussione gli enunciati obiettivi della proposta di limitazione nel consumo di suolo, di semplificazione delle procedure, di difesa della legalità e di sviluppo economico attraverso la riqualificazione urbana.

Una legge che mette in allarme non folle di esagitati contestatori, ma il meglio della cultura urbanistica di una Regione che fu all’avanguardia in Italia per la capacità di preservare il territorio dalle offese inflitte in tante altre parti del Paese.

Donini fa soprattutto professione di fede.

Dimentica di dire che la legge impone una svolta decisa verso la contrattazione pubblico-privato, esautora i comuni dai poteri di pianificazione urbanistica e li obbliga a raggiungere accordi con i privati entro scadenze brevi e perentorie.

Che oblitera l’istituto degli standard urbanistici, garanzia di democratico accesso ai servizi.

Che punta su una rassicurante “rigenerazione urbana” fondata su operazioni di “addensamento” e di demolizione e ricostruzione di edifici o di interi isolati, esenti da qualsiasi condizionamento e disciplina urbanistica cogenti.

Una “rigenerazione” che si preannuncia foriera di diseguaglianze, espulsioni e marginalizzazioni.

Ma non dimentica di proclamare ore rotundo lo slogan del contenimento di uso del suolo.

L’articolo 6 del disegno di legge pone effettivamente un limite al nuovo suolo consumabile.

Ma Donini non dice che alla soglia del 3% – quota peraltro in sé troppo elevata – si sommeranno quantità provenienti dalle vigenti previsioni comunali e le volumetrie derivate dagli accordi operativi in deroga.

Sui centri storici, Donini garantisce continuità.

Non è vero: l’art. 33 introduce pericolose deroghe in merito alla conservazione dei caratteri tipologici e formali delle città storiche, al mantenimento delle destinazioni d’uso in atto, al divieto di edificazione di aree e spazi rimasti liberi ad usi urbani collettivi.

Il PUG (Piano Urbanistico Generale che assorbe ogni altro strumento di pianificazione comunale) può peraltro prevedere in ambiti determinati del centro storico l’attuazione di tali modifiche mediante «accordi operativi» (ovvero contratti pubblico-privato congegnati dal DdL ad esclusivo vantaggio della parte privata) e può individuare parti del centro storico, «prive dei caratteri storico architettonici» (sic), nelle quali sono ammesse interventi di riuso e rigenerazione anche con aumento delle volumetrie.

È del tutto evidente quali spazi si aprano all’intervento arbitrario in luoghi ove finora non è stato permesso modificare le architetture, e che sono il patrimonio residuo del nostro Paese.

Come ebbe a dire Pierluigi Cervellati, «da questa disposizione può discendere che si può pensare nel centro di Bologna, in uno spazio cui sia riconosciuta la possibilità di derogare dai divieti, di costruire un edificio a forma di tortellino per magnificare la cultura gastronomica petroniana….».

Qui si alterano rendendoli legali principi di salvaguardia di un patrimonio che non può che essere unitario e intangibile.

Si può continuare nelle citazioni illustri: Giovanni Losavio già magistrato in Cassazione e presidente di Italia nostra sezione di Modena denuncia che «sono travolti i principi fondamentali di governo del territorio, offesa l’autonomia comunale».

Egli pone in discussione che siano lesi con questa legge, che svuota di fatto le funzioni di pianificazione, due principi fondamentali della legislazione nazionale: «il principio della potestà urbanistica alle istituzioni pubbliche rappresentative della Comunità, e quello dipendente dal primo, secondo cui i modi dell’edificare debbono corrispondere a regole normativamente predeterminate e fissarne i limiti che non possono essere affidati al libero accordo tra amministrazione comunale e privato imprenditore», esattamente l’architrave invece di questa proposta di legge che tutto affida agli accordi e alla negoziazione tra privati e pubblico.

A questa proposta di legge – non fondata su una lucida ricognizione dello stato del territorio regionale, afflitto da un’ipertrofia edilizia che innalza pericolosamente il rischio idrogeologico – manca il respiro culturale, e fa suo l’affanno del turbocapitalismo: per risolvere le patologie territoriali manifestatesi quale risultato dell’applicazione dei principi neoliberisti, esso dispone un’accelerazione proprio di quei processi che sono stati la causa del male.

Eppure non mancherebbero esempi di buona legislazione regionale da cui attingere: la Toscana, come ricorda l’ex assessore Anna Marson in “Consumo di luogo”, con la legge 65/2014 affronta il contrasto al consumo di suolo, attraverso punti qualificanti: «il divieto esplicito di nuove costruzioni residenziali al di fuori del territorio già urbanizzato, attraverso anche disincentivi procedurali e finanziari; l’obbligo di dimostrare l’assenza di alternative praticabili, per richiedere nuove edificazioni in area agricola per le altre destinazioni d’uso ammesse; il combinato disposto tra criteri dettati dalla legge e piano paesaggistico, per individuare i confini del territorio urbanizzato ecc.».

Dell’esempio virtuoso è stata tratta unicamente la definizione di suolo urbanizzato, ma è stato trascurato il messaggio di fondo: lo spreco di suolo si contiene opponendogli agricoltura “multifunzionale” di qualità, che offre servizi ecosistemici, posti di lavoro e nuove qualità paesaggistiche, come scrive Piero Bevilacqua.

Donini afferma che c’è disponibilità a modificare il testo nella prossima discussione degli emendamenti; pur convinti della pressoché totale inemendabilità della legge per le innumerevoli e stridenti incoerenze, abbiamo lavorato con il prezioso contributo della pattuglia di architetti di massima competenza regionale Ezio Righi, Pero Cavalcoli e Maurizio Sani, per formulare un insieme di proposte di emendamento che consentano almeno in parte evitare le brutture del testo proposto.

Nelle nostre critiche non siamo soli, le hanno espresse in vario modo diverse a autorevoli associazioni: Italia Nostra, attiva nell’opposizione sin dal primo momento, l’Istituto Nazionale di Urbanistica e Legambiente, solo per citare le più note, mentre il confronto con le realtà locali non è stato ampio ed esauriente come Donini afferma, tutt’altro: il dissenso a questa proposta è molto esteso e forte.

Le proposte di emendamenti sono state depositate e firmate congiuntamente oltre che dall’Altra Emilia Romagna, anche dai rappresentanti di Sinistra italiana e di Articolo 1 MDP, a riprova di un’ampia convergenza unitaria, ulteriori proposte di modifica verranno avanzate.

Vedremo se dal confronto si determineranno condizioni più favorevoli.

Se son rose fioriranno.

 

(Articolo di Piergiovanni Alleva, consigliere regionale dell’Altra Emilia Romagna (AER), pubblicato con questo titolo il 14 agosto 2017 su “Eddyburg”)

 

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