Archivi Giornalieri: 30 Agosto 2017
In base alle modifiche che con la legge regionale n. 12 del 10 agosto 2016 sono state apportate alla legge regionale n. 29/1997 la nomina e l’insediamento dei nuovi Consigli Direttivi sarebbe dovuta avvenire entro il 5 febbraio 2017. La legge regionale n. 12/2016 prevede dei Consigli Direttivi composti dal Presidente e da 4 membri, di cui due designati dalla Comunità del Parco (da Roma Capitale nel caso dell’Ente “Roma Natura”) e gli altri due dal Consiglio Regionale «sentite le organizzazioni agricole ed ambientaliste». Per consentire ad ogni Comunità del Parco di designare i due membri in seno al rispettivo Consiglio Direttivo, era necessario provvedere prima al loro insediamento, considerato che dopo le ultime elezioni comunali erano cambiati molti Sindaci e/o non erano stati rieletti i rispettivi Presidenti (come ad esempio nel caso dell’Ente Parco di Veio), per cui l’insediamento era anche e soprattutto propedeutico a convocare ogni Comunità per eleggere sia il Presidente che il Vice Presidente per consentire subito dopo di designare i due membri in propria rappresentanza all’interno del rispettivo Consiglio Direttivo. Un motivo in più per provvedere comunque ad un nuovo insediamento di ogni Comunità del Parco veniva dal pieno rispetto dalla stessa legge regionale n. 12/2016 che ha obbligato ad aumentare ogni Comunità del Parco di 4 membri, di cui due in rappresentanza delle associazioni agricole e due in rappresentanza delle associazioni ambientaliste. A tal ultimo riguardo risulta al momento che con propria nota dello scorso 29 settembre l’Assessore all’Ambiente Mauro Buschini ha trasmesso un Invito alle designazioni «a far pervenire, entro 30 giorni, i nominativi dei propri rappresentati in ciascuna delle Comunità» del Parco di 12 Enti di gestione delle aree naturali protette regionali, con esclusione dell’Ente Roma Natura in quanto privo di Comunità del Parco. L’associazione VAS ha designato per la Comunità del […]
Dopo il parere dell’Ispra sul rinvio e sospensione dell’apertura della caccia inviato alle regioni e per conoscenza al ministero dell’Ambiente e al ministero delle Politiche agricole, intervengono Enpa, Lac, lav e Lipu chiedendo «un provvedimento urgente che blocchi la stagione venatoria 2017/2018 e permetta alla fauna e al territorio di ristorarsi, dopo l’interminabile fase di siccità e incendi che ha colpito, e ancora colpisce, l’intero territorio italiano». Di fronte ai rischi per la conservazione della fauna, con conseguenze, nel breve e nel medio periodo, sulla dinamica di popolazione di molte specie, sul successo riproduttivo e sull’aumento della mortalità, di impoverimento della disponibilità alimentare che del rischio di fenomeni di anossia per gli ecosistemi acquatici sollevati dall’Ispra le quattro associazioni animaliste e conservazionistiche sottolineano: «Se tuttavia a queste preoccupazioni, espresse da un istituto solitamente molto prudente come Ispra, aggiungiamo la condizione generale della fauna nel nostro Paese, sofferente per ragioni ambientali e costellata di specie minacciate anche globalmente, non può che concludersi ciò che le nostre associazioni chiedono da tempo: la necessità di un’ordinanza urgente del Consiglio dei Ministri che cancelli la stagione venatoria 2017/2018 e permetta agli animali selvatici italiani e al territorio di riprendersi. Ci rivolgiamo dunque ancora una volta al Presidente Gentiloni, ai ministri Galletti e Martina e all’intero Governo non attendete più, la situazione è grave e richiede azioni responsabili e immediate». Anche secondo il Wwf, di fronte al parere dell’Ispra le Regioni devono comportarsi di conseguenza: «prevedendo il divieto o la forte limitazione dell’attività venatoria». Il Wwf, che agli inizi di agosto aveva scritto a tutte le regioni per chiedere risposte serie e adeguate alla drammatica situazione della fauna e degli ecosistemi naturali, «ritiene che quanto prescrive l’autorevole parere dell’Ispra sia davvero il minimo che le regioni debbano fare per garantire quel “nucleo di […]
Una serie di incendi sta devastando dal 19 agosto il Monte Morrone, nel Parco nazionale della Majella, e Legambiente dice che «Governo e Protezione Civile devono garantire urgentemente l’invio di altri canadair, magari chiedendo la collaborazione di altri paesi europei, per salvare la Majella in fiamme da dieci giorni». La presidente di Legambiente, Rossella Muroni, aggiunge: «Verrà il tempo per chiarire se i Carabinieri Forestali debbano svolgere attività di spegnimento boschivo sotto il coordinamento dei Vigili del Fuoco, come noi pensiamo, o se debbano solo svolgere le indagini per perseguire i criminali che appiccano i roghi, nell’immediato, però, per salvare la Majella serve uno sforzo in tutte le direzioni, a cominciare dall’invio di altri mezzi aerei. Solo i canadair, infatti, sono in grado di supportare le azioni di spegnimento che si svolgono a terra, in aree impervie, dove le alte temperature di questi mesi non agevolano gli sforzi dei vigili del fuoco, dell’esercito, dei volontari e del personale del Parco nazionale. Le aree protette sono estremamente fragili e non sono adeguatamente attrezzate per contrastare e prevenire efficacemente gli incendi, alla luce dei tanti incendi che hanno colpito quest’estate tante altre aree protette. Purtroppo, però, dobbiamo anche prendere atto che il sistema antincendio boschivo nel nostro Paese non funziona come dovrebbe: alla prova pratica la riforma che ha interessato il Corpo Forestale dello Stato su questo punto non sta dando esiti positivi. L’impianto teorico, condivisibile, che assegna tutte le competenze sugli incendi al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco si è infranto sulla complessità della nostra macchina burocratica, sui ritardi nei passaggi legislativi tra i diversi ministeri che hanno ridotto la capacità di intervento di uomini e mezzi, e sulle inefficienze delle Regioni». Intanto, ieri il Parco nazionale della Majella ha convocato a Sulmona, l’incontro pubblico […]
L’ufficio municipale dei parchi e delle foreste di Pechino ha annunciato oggi che, entro quest’anno, la capitale cinese creerà 15 nuovi parchi e che «una volta che saranno terminati, il 77% degli abitanti avranno un parco o uno spazio verde a meno di 500 metri da casa loro». Secondo il progetto della municipalità di Pechino, «l’85% dei suoi abitanti avranno questa possibilità entro il 2020». A Pechino sono stati censiti 403 parchi, che comprendono anche il Palazzo d’Estate e il parco Tiantan (Tempio del Cielo). Liu Lili, responsabile dell’ufficio municipale dei parchi e delle foreste, spiega su Xinhua che «363 di questi parchi sono in area urbana e si estendono su 13.800 ettari. I parchi di Pechino ricevono circa 300 milioni di visite ogni anno e più dell’88% dei parchi urbani è gratuito». Intanto, la provincia centrale cinese dell’Hubei ha vietato la pesca in 79 riserve naturali per ripristinare l’ecosistema dello Yangtze, il fiume più lungo della Cina. Un divieto che, in quello che gli occidentali chiamano Fiume Azzurro e i cinesi Chang Jiang, entrerà in vigore entro l’agosto 2018. Negli ultimi anni la fauna dello Yangtze ha subito un forte declino e numerose specie sono minacciate di estinzione. L’agenzia ufficiale cinese Xinhua spiega che «il volume annuale della pesca nello Yangtze è inferiore a 100.000 tonnellate di pesci. A causa di alcuni fattori, la pesca non era stata completamente vietata nelle riserve naturali lungo il fiume. Il governo provinciale ha chiesto alle autorità locali della pesca di smetterla di dare dei permessi di pesca e delle sovvenzioni per il carburante. Ha anche sbloccato dei fondi per indennizzare i pescatori per le loro perdite in seguito a questo divieto». Inoltre, la Commissione delle risorse idriche dello Yangtze ha ordinato l’ispezione delle costruzioni sulle sponde del […]
Mentre scriviamo due campagne in corso del progetto Fastmit (Faglie sismogeniche e tsunamigeniche nei mari italiani) stanno immagazzinando dati, sul campo, per la definizione della pericolosità da terremoto e tsunami che caratterizzano le aree costiere italiane. A bordo della nave da ricerca Ogs Explora dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste (Ogs), i ricercatori dell’Istituto condividono gli spazi con altri professionisti – provenienti da Ingv, Esfm, Università del Sannio, Università di Malta, Università del Mississippi – nel Canale di Sicilia e nel Golfo di Taranto, dove rimarranno fino al 10 settembre. «Con la nostra attività – spiega la coordinatrice di Fastmit, la geofisica dell’Ogs Giuliana Rossi – vogliamo approfondire la conoscenza e raccogliere informazioni sulle strutture tettoniche nei mari che bagnano l’Italia, in particolare in alcune aree campione (Nord Adriatico, Golfo di Taranto, Canale di Sicilia e Mar Tirreno meridionale)». I risultati, illustrano dall’Istituto, saranno preziosi soprattutto per quelle aree costiere particolarmente critiche a causa dell’alta densità abitativa e la concentrazione di infrastrutture classificate come Rir (Rischio di incidente rilevante) nelle recenti mappe dell’Ispra, per fini normativi (relativi all’edilizia e in generale alla pianificazione territoriale) e – non da ultimo – per le stime locali di pericolosità e rischio associate all’estrazione di idrocarburi, in corso o pianificata, in acque nazionali (Adriatico, Ionio, Stretto di Sicilia) e dei paesi del Mediterraneo centrale (Croazia, Grecia, Nord Africa). Il prodotto finale del progetto sarà la mappa delle faglie a mare nelle aree studiate, e della loro classificazione in termini di potenzialità sismogenica e tsunamigenici, che andranno ad aggiornare e arricchire le banche dati esistenti. «L’Italia e i mari che la circondano – precisa precisa Silvia Ceramicola, dell’Ogs – rappresentano l’evoluzione del margine tra le placche europea e africana, e in quanto tali sono sede di intensa attività geodinamica. […]