Come i cambiamenti climatici stanno già cambiando la vita agli italiani

 

Osservando gli effetti dell’uragano Harvey che ha devastato il Texas dei petrolieri o le disgrazie che stanno flagellando i poveri del mondo – con 45 milioni di persone in India, Bangladesh e Nepal attualmente strette nell’opprimente morsa di alluvioni e frane –, abbiamo la certezza che la pur eccezionale siccità che ha funestato l’estate italiana non sia la peggiore delle condanne nell’era dei cambiamenti climatici.

Sottovalutare il problema, al contrario, sarebbe un errore fatale.

I cambiamenti climatici, la cronaca lo evidenzia (e i dati pure) ormai con crescente chiarezza, sono già arrivati in Italia.

E saranno una sgradita compagnia per molto, molto tempo.

«Ci dobbiamo abituare ad estati con ondate di calore  intense e prolungate di origine subtropicale continentali, e quadri termometrici  che oggi appaiono come eccezionali tra circa 20 anni rappresenteranno la normalità, con un cambiamento radicale del nostro stile di vita – spiega Massimiliano Fazzini, docente dell’Università di Camerino e Ferrara, nonché esponente dell’Associazione nazionale dei geomorfologi italiani – Cambieranno ad esempio le stagioni turistiche ed agricole.  

Durante le future estati, con ogni probabilità avremo sempre meno acqua a disposizione e di questo dovremo essere consapevoli perché dal momento in cui l’acqua da fusione delle nevi sarà meno abbondante e si infiltrerà meno nelle falde acquifere più superficiali e le precipitazioni piovose saranno sempre più intense e meno persistenti, la risorsa idrica sarà evidentemente meno abbondante e di qualità organolettiche peggiori».

Stiamo iniziando ad uscire da quella che per il nostro Paese è la seconda estate più calda dal secondo dopoguerra (dopo quella del 2003), ma i suoi strascichi ce li ricorderemo a lungo.

«Con tutta l’energia a disposizione del sistema terra-mare-atmosfera – avvisa Fazzini – le prime avvezioni di aria fredda di origine atlantica o polare causeranno una forte destabilizzazione dell’atmosfera con precipitazioni molto intense e prolungate nel tempo, eventi anche estesi temporalmente 3-4 giorni in caso di “blocking” sinottico».

Già oggi sappiamo che i cambiamenti climatici stanno aumenta il rischio idrogeologico in Italia e diminuendo la disponibilità della risorsa acqua fossile. 

La sequenza dei giorni continui senza precipitazioni  in Italia, varia dai 25 giorni della Pianura Padana ai 40 della Capitanata Foggiana ma negli ultimi 25 anni essa è mediamente  aumentata del 15% (del 15-20% sull’Appennino), mentre sulle Alpi le precipitazioni sono sì aumentate mediamente del 10% ma il dato è «mal distribuito dal punto di vista spaziale.  

Lo scioglimento rapido primaverile del manto nevoso ed il ruscellamento diffuso delle abbondanti e persistenti  precipitazioni  autunnali potranno determinare un’ amplificazione dei fenomeni di  dissesto idrogeologico – importanti eventi alluvionali e franosi – già in questo autunno, in un Paese già estremamente suscettibile e vulnerabile, con aumento esponenziale del rischio associato».

Il momento per ridurre in modo drastico le emissioni climalteranti (che in Italia, purtroppo, sono invece tornate a salire) e investire quelle risorse indispensabili per accrescere la resilienza dei territori è più che mai adesso, perché gli indizi disponibili lasciano intuire che i cambiamenti climatici non stiano rallentando in Italia. Semmai il contrario.

«Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito, in Italia, ad un aumento della temperatura media di circa 1.1°C ma nell’ultima estate abbiamo registrato un’ulteriore “impennata” di oltre 2 gradi rispetto alla media climatica del periodo di riferimento 1971 – 2000.  

Se questo segnale non dovesse essere un’eccezionalità ma confermarsi tale – conclude Fazzini – significherebbe che potremmo essere dinanzi ad un’ ulteriore accelerazione del riscaldamento globale del pianeta.  

Sempre durante l’ultima stagione estiva, la temperatura del mare, in Italia, ha raggiunto valori di oltre tre gradi rispetto alle medie dell’ultimo ventennio».

 

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 5 settembre 2017 sul sito online “greenreport.it”)

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