Archivi Giornalieri: 16 Settembre 2017
Parti del rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) che ha valutato i rischi dell’uso del glifosato sono stati copiati dalla richiesta di rinnovo dell’autorizzazione di Monsanto. Monsanto è la società che ha inizialmente sviluppato il glifosato, il principio attivo usato per produrre erbicidi come il Roundup. Una sostanza che vende da decenni, gestendo un mercato mondiale da miliardi di euro. I governi dell’Ue, tra cui l’Italia, e la Commissione europea devono decidere nei prossimi mesi se rinnovare o meno l’autorizzazione per il commercio e l’uso di glifosato, che è in scadenza alla fine di quest’anno. Alla base della decisione ci sarà appunto il rapporto preparato dall’EFSA nell’ottobre 2015, che prende in considerazione criteri quali il possibile impatto sulla salute umana e i rischi ambientali. Durante l’intero processo di revisione dell’autorizzazione, gli enti responsabili della valutazione dell’EFSA, come l’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi (BfR), hanno affermato che la loro opinione è basata esclusivamente sulla propria valutazione obiettiva delle ricerche scientifiche sul glifosato, ma qualcosa non torna. Confrontando la richiesta di rinnovo dell’autorizzazione che Monsanto aveva presentato nel maggio 2012 per conto della Glyphosate Task Force, un consorzio di oltre 20 aziende che commercializzano prodotti a base di glifosato in Europa, e la relazione dell’EFSA si nota chiaramente che la realtà è ben diversa. Entrambi i documenti sono accessibili online, ma finora nessuno aveva pensato di esaminarli con più attenzione e confrontarli. Le sezioni del rapporto dell’EFSA che riesaminano gli studi pubblicati sul potenziale impatto del glifosato sulla salute umana sono stati copiati, quasi parola per parola, dal dossier presentato da Monsanto. Sono 100 pagine sulle circa 4.300 del rapporto finale, ma si tratta delle sezioni più controverse e al centro dell’aspro dibattito degli ultimi mesi, quelle sulla potenziale genotossicità, la cancerogenicità e la tossicità […]
Alla vigilia della nuova stagione di caccia, al via domenica 17 settembre, la Lipu espone un quadro assai critico dal punto di vista sostanziale e normativo, eppure largamente tollerato – anche a discapito dei molti cacciatori che esercitano la propria attività nel rispetto della legge – nel nostro Paese. «Undici regioni con piano faunistico venatorio assente o scaduto da tempo e cinque specie globalmente minacciate ancora cacciabili: sono l’emblema di una stagione di caccia che, oltre alle conseguenze di incendi e siccità, parte all’insegna di infrazioni, assenza dello Stato e gravi carenze regionali», sottolineano gli ambientalisti. Solo dieci regioni italiane dispongono infatti di piano faunistico venatorio valido, di cui appena quattro hanno un piano realizzato nell’arco degli ultimi cinque anni. Per le altre, la pianificazione è del tutto assente o scaduta da tempo, come nel caso della Regione Lazio «il cui piano, pur formalmente vigente, risale a circa 20 anni fa». Non si tratta di una carenza da poco. Come ricordano infatti dalla Lipu, il piano faunistico venatorio (previsto all’articolo 10 della legge 157/92) è strumento indispensabile per la sostenibilità, almeno in teoria, dell’attività venatoria. Tra le altre cose, il piano deve prevedere le zone di protezione, le aree in cui può svolgersi l’attività venatoria e le modalità con cui la caccia va svolta, in rapporto alle problematiche ambientali e alle esigenze prioritarie di conservazione della natura; il piano ha quindi i suoi effetti anche sui siti della rete Natura 2000, dove la caccia è consentita a patto che siano osservate le disposizioni sui criteri minimi uniformi ed effettuata la Valutazione d’incidenza ai sensi della direttiva Habitat. Eppure, in sole tre regioni (Campania, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia) la Valutazione d’incidenza è stata realizzata in tempi recenti mentre nelle restanti è obsoleta o addirittura mai realizzata. «Un elemento di chiara infrazione […]
“Chiunque crede che non esiste il riscaldamento globale deve essere cieco o non intelligente“. Lo ha detto il cantautore americano Stevie Wonder nel corso della raccolta fondi televisiva “Hand in Hand”, dedicata agli statunitensi colpiti dagli uragani Harvey e Irma. Wonder non è stata l’unica celebrità a parlare del cambiamento climatico tra quelle che hanno preso parte al programma, in cui sono state raccolte donazioni per 44 milioni di dollari. In un videomessaggio, la cantante Beyoncé ha affermato che “gli effetti del cambiamento climatico si manifestano nel mondo ogni giorno. Solo nell’ultima settimana abbiamo visto la devastazione causata da un monsone in India, un terremoto di magnitudo 8.1 in Messico e due uragani catastrofici. Dobbiamo essere preparati a ciò che verrà dopo“. Un’accusa politica è arrivata dal rapper 24enne Vic Mensa. “Il cambiamento del clima è una realtà al 100%“, ha dichiarato a Billboard dietro le quinte dell’evento. “Dobbiamo prendere misure preventive e dobbiamo rimuovere dal governo chiunque pensi che non vadano prese“. (ANSA del 13 settembre 2017, ore 17:40)