Il Bike Sharing Free Floating non deve affiancare, né sostituire, il servizio di Bike Sharing previsto nella riforma dei cartelloni pubblicitari di Roma

Il Presidente della Commissione Mobilità Enrico Stefano ha rilasciato una intervista al quotidiano “la Repubblica” con cui annuncia che “entro Natale il Comune farà un avviso pubblico” per introdurre a Roma il modello di bike sharing a flusso libero attivato a Milano (vedi http://www.vasonlus.it/?p=52522&preview_id=52522&preview_nonce=8a8880c392&_thumbnail_id=-1&preview=true)

Non è dato al momento di sapere se si tratta di una iniziativa soltanto sua o concordata con l’Assessore alla Città in Movimento Linda Meleo, ma non con l’Assessore allo Sviluppo economico, Turismo e Lavoro Adriano Meloni, che entro la fine dell’anno vorrebbe far partire il bando di gara internazionale per l’assegnazione di circa 8.000 mq. di impianti pubblicitari come corrispettivo per assicurare ai cittadini di Roma un servizio di Bike Sharing di almeno 250 ciclostazioni.

In risposta a “diarioromano” che glielo ha chiesto via tweet il consigliere Enrico Stefano ha assicurato che il servizio di Bike Sharing a flusso libero si coniuga per certo come a Milano con il Bike Sharing che dovrebbe essere pagato dai cartelloni.

In un successivo messaggio ha dichiarato che il suo intento è proprio quello di evitare esperienze “eccesive” e per questo disastrose.

Prima di entrare nel merito di tale scoordinata quanto inopportuna iniziativa è utile dare il quadro generale entro cui va valutata la problematica che ne scaturisce, fornendo la dovuta informazione sul servizio di Bike Sharing in generale e su quello a flusso libero (free floating) in particolare.

Da dove arriva il Bike Sharing?

Dai Paesi Bassi dove nel 1966, il movimento “Provo”, composto da artisti, hippy e anarchici, lanciò l’iniziativa “Witte Fietsen” e mise a disposizione gratuitamente biciclette dipinte di bianco per la città di Amsterdam.

Come funzionava? 

Chiunque poteva prendere una bicicletta – raccontano gli esperti di Mobilità del Club Italia – pedalare ovunque volesse e lasciare la bicicletta a disposizione perché potesse essere utilizzata da un’altra persona. 

Le biciclette erano state trovate, regalate o cedute e non ce n’erano più di 10 in circolazione nello stesso momento.

Ma l’esperimento andò male.

Le biciclette furono distrutte, rubate, gettate nei canali o confiscate dalla polizia per il fatto che non erano sicure“.

La seconda generazione.

Le biciclette non venivano più lasciate in strada, dove chiunque poteva prenderle, ma erano bloccate e potevano essere utilizzate solo con un chip o con una carta. 

Per l’utilizzo era necessaria la registrazione. 

Le biciclette erano bloccate in determinate postazioni – le prime stazioni di noleggio. 

Questi sistemi non erano economici e la maggior parte di essi non sopravvisse a lungo. 

Anche in questo caso si sono riscontrate le stesse criticità dei sistemi di precedente generazione: furti, atti vandalici o forme di parziale appropriazione, la bicicletta noleggiata veniva bloccata con lucchetti personali e nessun altro utente aveva la possibilità di poterla utilizzare“. 

Terza generazione.

L’innovazione tecnica ha trasformato il noleggio di biciclette in un prodotto high-tech. 

Il sistema Call a Bike a Monaco è stato uno dei precursori nel 2000, con uno start-up di 1.000 biciclette.  

Le cabine telefoniche sono state utilizzate come punti di presa e rilascio. 

Gli utenti registrati chiamavano la centrale e ricevevano la combinazione della serratura della bicicletta. 

Le tariffe di noleggio venivano addebitate direttamente sulla carta di credito dell’utente. 

Purtroppo dopo un anno, Call a Bike è fallita ed è stata rilevata da Deutsche Bahn. 

Questo innovativo sistema di Bike Sharing ha comunque avuto buoni riscontri, contribuendo a diffondere l’idea della bicicletta pubblica condivisa“.

Esiste uno studio EuroTest2012 a cui ha partecipato anche la nazionale ACI che ha messo a confronto numerose esperienze.

Ciò che è più importante sono gli obiettivi che ci si propone di realizzare con un sistema di Bike Sharing. 

Le finalità svolgono un ruolo fondamentale nel modellare la tipologia del sistema ed il target di utenti.
Occorre soddisfare i pendolari che utilizzano il trasporto pubblico locale, come nel caso dei sistemi di OV-fiets nelle città olandesi di Amsterdam, L’Aia e Utrecht?
 

Oppure occorre rispondere alle esigenze dei turisti? 

Oppure soltanto quelle dei residenti, come nel caso di Bicing nella città spagnola di Barcellona?“.

Nel 2012 lo studio si concludeva con alcuni suggerimenti, tra questi “Garantire una facilità d’uso e permettere che le biciclette possano essere depositate in qualsiasi postazione, anche quelle dove i parcheggi non dovessero risultare liberi” ovvero il flusso libero.

Non è tutto. 

Gli esperti da tutta Europa consigliavano di “Creare connessioni con il trasporto pubblico locale attraverso misure adeguate, come postazioni situate vicino alle fermate, con tariffe e informazioni integrate o tessere in comune con i diversi mezzi di trasporto.  

Mettere a disposizione soltanto biciclette sicure, ben tenute e comode; limitando gli spazi pubblicitari ad una misura ragionevole”.

Secondo l’EuroTest Milano già nel 2012 era definita l’eccellenza rispetto a Torino e Parma che la seguivano in classifica, un successo dovuto alla facilità di noleggio, nonostante la presenza di stalli di noleggio – rilascio.

La tecnologia con l’uso delle App è notevolmente migliorata, resterebbe carente la qualità del mezzo privo spesso di sospensioni, necessarie in città dai manti stradali rovinati.

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Il bike sharing è uno degli argomenti più gettonati quando si parla di mobilità sostenibile, a cui peraltro dallo scorso 16 settembre è iniziata la settimana europea nata nel 2005.

Dopo i primi esperimenti fallimentari fatti negli anni’60 ad Amsterdam e i primi successi dalla fine degli anni ’90, le città di tutto il mondo hanno fatto a gara a chi riuscisse a implementare il servizio più grande e migliore degli altri e a oggi si contano quasi 1200 servizi di bike sharing implementati in altrettante città.

I diversi sistemi implementati si sono dimostrati dei veri game changer: partendo dal bike sharing città come Parigi, Barcellona, New York, Washington D.C., Londra ma anche la nostra Milano hanno iniziato a rimodellare il proprio schema di mobilità urbano e hanno inserito la bicicletta di diritto tra i mezzi di trasporto a disposizione della cittadinanza.

Ma purtroppo non tutte le ciambelle riescono col buco e ne sappiamo qualcosa noi Italiani che abbiamo iniziato a diffidare di questa economia della condivisione applicata al mondo della bici.

Il fallimento del servizio di bike sharing di Roma datato 2010 ha lasciato sul campo una serie di stalli vuoti e desolanti che ancora rendono difficile l’approccio alla materia.

Lo stesso è avvenuto poi, seppure su diversa scala, per i servizi implementati in altre città come Alessandria, Lecce, La Spezia, Mestre, Cagliari, Vicenza e tante altre.

Il motivo del fallimento è presto detto: biciclette facilmente vandalizzabili (in molti casi basta una brugola da 5 e una chiave inglese del 13 per smontarle integralmente), dimensioni troppo contenute dell’impianto, difficoltà di iscrizione al servizio, scarsa o nulla manutenzione.

Ed è così che, dopo i tagli di nastri finanziati lautamente con bandi del Ministero dell’Ambiente e delle Regioni, molte città italiane si trovano oggi con gli scheletri di un servizio mai partito e una cittadinanza quanto mai scettica nei confronti dei sistemi di condivisione bici.

Da qualunque parte lo si guardi, il problema sembra essere sempre lo stesso: la filiera del prodotto.

Per operare un sistema di bike sharing si necessita un investimento da parte della pubblica amministrazione (attraverso denaro contanti, sponsorizzazioni o concessioni pubblicitarie) di cui beneficiano aziende private chiamate a implementare il servizio e (solo in pochissimi casi) a gestirlo.

Che la cosa funzioni o non funzioni, non è un problema di chi vende il servizio.

LA RIVOLUZIONE COPERNICANA DEL BIKE SHARING 

Ma cosa succederebbe se a pagare l’implementazione non fosse la pubblica amministrazione, ma solo l’azienda che, forte della qualità del proprio prodotto, decidesse di investire per monetizzare attraverso i reali utilizzi del servizio?

Allora in questo caso potremmo essere sicuri di avere un servizio degno di questo nome perché nessuna azienda privata accetterebbe mai di investire denaro in un servizio che non porta profitti.

Se la cosa vi suona familiare è perché state probabilmente pensando a quanto accaduto con il car sharing: un tempo, quando i servizi di car sharing erano in gestione ai comuni, questi funzionavano poco e male perché le vetture a disposizione dovevano essere prelevate e riportate in uno dei punti di prelievo/consegna, col risultato che, le auto del car sharing venissero utilizzate soltanto qualora i punti di prelievo/consegna fossero vicini alla propria origine/destinazione.

Poi un giorno arrivò Car2Go (e poi Enjoy, DriveNow e compagnia guidante) che tolse i punti di prelievo/consegna e creò il car sharing a flusso libero (free floating).

E fu il boom.

La stessa cosa sta avvenendo nel mondo delle biciclette: semplicemente rimuovendo gli stalli, l’azienda cinese Bluegogo è riuscita a piazzare 70.000 biciclette tra le città di  Shenzhen, Guangzhou e Chengdu e promette di fare di meglio grazie a una capacità produttiva di circa 10.000 biciclette al giorno.

Il funzionamento è particolarmente semplice: l’azienda contrassegna con un QR code e lascia le proprie biciclette sparse per la città.

L’utilizzatore altro non deve fare che sbloccare il catenaccio con il proprio cellulare e pedalare finché ne avrà voglia e bisogno, per poi lasciare la bici dove meglio crede.

Il rischio che le biciclette vengano rubate o vandalizzate rimane interamente un problema dell’azienda che offre il servizio.

Ma Bluegogo non è sola: Mobike, altra startup chinese,  ha invaso Singapore con un esercito di 100 mila biciclette.

Si stima che gli operatori cinesi del bike sharing a flusso libero possano disporre di una disponibilità finanziaria complessivamente di 500 milioni di dollari provenienti da fondi di investimento.

Sono cifre che fanno rabbrividire, soprattutto se si pensa che i grandi sistemi di bike sharing europei possono contare su numeri di gran lunga inferiore: Milano dispone infatti di circa 5.000 biciclette in servizio, Barcellona ne ha 6.000, Londra, 13.600 e Parigi poco più di 18.000.

Ma se i Cinesi sono pronti a invadere il mercato mondiale, gli Europei non stanno certo a guardare: la tedesca Nextbike, una delle più longeve aziende di bike sharing al mondo, con oltre 35.000 biciclette dislocate in 23 paesi differenti, sta correndo ai ripari e da poco meno di due anni ha realizzato un sistema di bike sharing a Colonia e in altre città in Germania dotati di stalli tradizionali che si affiancano al concetto del free floating creando una soluzione ibrida.

Ralf Kalupner di Nextbike GmbH ha dichiarato a Bikeitalia.it: “L’arrivo di questi operatori dalla Cina che possono contare su finanziamenti senza fine e sulla capacità di inondare le città con biciclette di bassissimo prezzo, sono una minaccia per noi operatori del bike sharing tradizionale e per questo dobbiamo correre ai ripari sfidandoli sul loro campo (quello del free floating n.d.r.) aggiungendo, però, biciclette resistenti a tutto, la nostra esperienza maturata sul campo e una tecnologia evoluta”.

Non è dato sapere cosa succederà da questo momento in poi e tutta l’attenzione in Italia rimane concentrata sui comuni di Firenze e Milano che hanno già assegnato il servizio di bike sharing a flusso libero approfittando per primi di questo nuovo approccio.

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L’introduzione del servizio di Bike Sharing a flusso libero a Firenze 

Il 31 maggio 2017 il Comune di Firenze ha pubblicato un avviso per bike sharing a flusso libero, che ha portato ad aggiungere 8.000 biciclette dallo scorso 2 agosto, affiancandole al precedente progetto che in 65 stazioni poteva contenere 975 mezzi.

Una svolta che consentirà di mettere a disposizione dei cittadini fino a 8mila biciclette con un servizio di bike sharing innovativo a flusso libero – ha detto l’assessore alla Smart City Giovanni BettariniUn sistema che, grazie alla georeferenziazione, garantisce maggiore flessibilità, economicità ed efficienza comportando minori costi di gestione e manutenzione rispetto a quello tradizionale a stazioni fisse.  

Il tutto senza bisogno di pubblicità e con il vantaggio di portare l’utente nel posto esatto in cui deve andare.  

È il sistema più evoluto presente nelle grandi capitali del mondo, un esempio su tutti Shanghai, e va a completare il quadro della mobilità sostenibile di Firenze ”.

Da quanto comunicato a Firenze durante la presentazione, per il periodo di lancio sono previste tariffe promozionali sia per la quota di utilizzo sia per la quota di deposito: la tariffa base di utilizzo per un periodo di 30 minuti è di 30 centesimi (prossimo passo, 50); il deposito è di 1 euro (che diventerà 50 euro). Saranno disponibili modalità di abbonamento, formule mensili, trimestrali, semestrali e annuali. Previsto un sistema premiante per cui gli utilizzatori attenti riceveranno sconto sulle tariffe, mentre quelli “meno corretti” verranno penalizzati fino alla cancellazione dell’abbonamento.

I dettagli relativi ai prezzi e al deposito cauzionale sono sulle bici e indicati nella app. Il pagamento può essere effettuato tramite i maggiori circuiti di pagamento (Mastercard, Visa, American Express) oppure tramite un sistema di borsellino elettronico ricaricabile tramite via web con lo stesso metodo utilizzato per il deposito cauzionale.

Ma se da un lato il free flow garantisce finalmente la possibilità di utilizzare le biciclette pubbliche per recarsi fin sotto casa, dall’altro lato espone la città a una serie di problematiche che se non opportunamente ponderate rischiano di portare più danni che benefici.

1. la forza centrifuga 

Il bike sharing nasce come soluzione per risolvere il problema dell’ultimo miglio e le percorrenze a basso chilometraggio per evitare che i cittadini ricorrano all’auto o ad altri mezzi inquinanti.

Il problema è che il bike sharing è particolarmente gettonato tra i pendolari, ovvero tra tutti coloro che alla mattina si spostano dal centro verso la periferia e alla sera dalla periferia verso il centro.

Con il bike sharing tradizionale il sistema ha sempre funzionato grazie a furgoni che alla mattina prelevavano biciclette dalla periferia per portarle in centro e poi operare il processo inverso alla sera.

In un sistema libero diventa molto più complessa la gestione di questi flussi e il rischio è che ci sia qualche sfortunato utente che, arrivato alla stazione di Santa Maria Novella rimanga a piedi perché le biciclette hanno già tutte seguito la naturale forza centrifuga che le governa.

2. l’occupazione di suolo pubblico

Togliere gli stalli di mezzo significa sicuramente azzerare il rischio che l’utente possa trovare la rastrelliera piena e quindi possa non terminare il noleggio.

Allo stesso tempo questo significa anche che chi opera il noleggio possa lasciare la bicicletta dove meglio crede.

Bisogna quindi prepararsi a trovare biciclette abbandonate sui marciapiedi, direttamente al binario della stazione, davanti a Palazzo Vecchio, al Duomo (e la distanza tra la stazione e il Duomo è perfetta per essere fatta in bicicletta) o in tutti quei luoghi che dovrebbero essere, invece, sgombri (uscite di sicurezza o monumenti).

Il caso non è poi remoto: dalla Cina (dove il bike sharing a flusso libero è arrivato da tempo) arrivano i segnali di quello che potrebbe accadere anche nelle nostre città.

Qui sotto trovate un estratto di un articolo del New York Times del 26 marzo scorso e che potremmo riassumere così: “Biciclette parcheggiate ovunque”. 

3. il carro davanti ai buoi

Il tema si pone tanto più in occasione di eventi che possono attrarre numerose persone (e biciclette) nello stesso luogo, come a un concerto, festival o altro.

In questo caso si rischierebbe di avere migliaia di biciclette raggruppate nello stesso luogo che lascerebbero scoperto il resto della città e che potrebbero creare problemi di ordine pubblico impedendo il regolare flusso di mezzi di emergenza in caso di reale necessità.

Prima di inserire un grande numero di biciclette in una città, occorrerebbe in via prioritaria fare in modo che la città sia predisposta al loro inserimento attraverso la creazione una rete di percorsi ciclabili per pedalare in sicurezza e luoghi per poterle parcheggiare senza intralciare gli altri utenti della strada.

Parigi con Velib ha scelto la strada contraria: prima il bike sharing e poi la rete ciclabile, ma le due operazioni sono state realizzate in rapida successione utilizzando il pretesto politico del bike sharing per creare una rete ciclabile propriamente detta.

4. le bici-carcassa

Non esiste bike sharing senza vandalismo e furti e chi opera nel mercato deve fare i conti con questo fattore.

Una gomma bucata, un pezzo rubato o un atto vandalico possono impedire il regolare utilizzo di una o più biciclette.

Nel sistema a flusso libero, l’intero sistema di bike sharing viene gestito dalle aziende stesse che, se da un lato sono interessate a mantenere in funzione tutte le biciclette disponibili, dall’altro cercheranno di gestire le attività di manutenzione sfruttando le economie di scala.

Questo significa che non andranno a raccattare le biciclette rotte ogni volta che queste saranno segnalate, ma solo una volta che queste raggiungono un numero sostanzioso per riuscire a fare una “presa” consistente.

In ogni caso subentra sempre la valutazione del costo-beneficio dell’intervento: chi lavora nel mondo del ciclo, sa che le biciclette che arrivano dall’oriente spesso possono avere un costo di poche decine di dollari e in alcuni casi può essere più conveniente sostituire le biciclette non più operative con delle biciclette nuove, piuttosto che recuperare le biciclette rotte e ripararle (la manodopera italiana costa, si sa).

Insomma, il rischio è che ci si possa ritrovare davanti casa uno spettacolo come questo:

 

5. il medio periodo

Se nel lungo periodo saremo tutti morti, vale la pena però pensare a ciò che avverrà nel breve e nel medio periodo.

La prima ondata di bike sharing in Italia portò una serie di postazioni con cadaveri di biciclette in bella mostra abbandonate in ogni angolo della penisola a causa di una cattiva gestione del sistema.

La prima ondata di bikesharing free flow in Cina ha portato a vere e proprie montagne di biciclette ammassate le une sulle altre nelle periferie delle città (tanto che le autorità cinesi hanno dovuto imporre regolamentazioni più restrittive).

È ragionevole aspettarsi la stessa cosa nelle nostre città laddove non si monitori attentamente.

A questo va aggiunta un’ulteriore perplessità: le aziende cinesi che offrono i sistemi di bike sharing a flusso libero sono delle start up gigantesche che hanno saputo raccogliere finanziamenti colossali (OFO ha raggranellato 450 milioni di dollari, Mobike 300 milioni negli ultimi mesi), ma il modello di business si basa su transazioni da 15 centesimi di euro per ogni viaggio.  

Per rientrare dall’investimento, Mobike dovrà convincere la popolazione mondiale a effettuare 2 miliardi di viaggi in bicicletta, OFO addirittura 3 miliardi di viaggi.

L’impresa sembra piuttosto ardua per chiunque e quindi la domanda da porsi è: cosa succederebbe se l’azienda che fornisce il sistema dovesse avere difficoltà economiche?  

Sicuramente taglierebbe dapprima l’operatività dei luoghi meno profittabili e conoscendo il tasso di penetrazione del digital nella nostra società potremmo essere sicuri che partirebbero a tagliare proprio dal nostro paese lasciando sul territorio migliaia di biciclette inutilizzabili e da smaltire.

Concludendo 

Secondo Bikeitalia.it bisogna procedere con attenzione e oculatezza per evitare di danneggiare le nostre bellissime città.

8.000 biciclette riversate su una città come Firenze sono secondo lei una vera mostruosità, basti considerare che il miglior sistema di bike sharing al mondo, quello di Barcellona, dispone di 6.000 biciclette per una popolazione di 1,6 milioni di abitanti (4 volte quella di Firenze).

Per esserne certi, basta seguire la battaglia che una città aperta e progressista come San Francisco sta portando avanti da mesi per contenere l’invasione delle aziende cinesi di bike sharing che sembrano avere a cuore più i profitti che non la reale fruizione della mobilità cittadina.

I Social hanno accolto centinaia di immagini, postate dai fiorentini, per quanto riguarda le due ruote abbandonate sui marciapiedi, al centro delle carreggiate, accanto a cassonetti, lungo l’argine d’Arno e persino dentro l’Arno: al fenomeno è stato dedicato un articolo che è stato commentato sui Social sottolineando l’inciviltà evidentemente presente nel capoluogo toscano. 

Il servizio Mobike ha un costo di 30 centesimi ogni 30 minuti e riconosce dei bonus a chi riconsegna la bicicletta all’interno degli spazi delimitati, presenti e ben segnalati sulla mappa fornita dalla Applicazione che è necessario scaricare per procedere con il noleggio.

Problemi sarebbero stati riscontrati nella registrazione al servizio che dopo la verifica del numero di cellulare chiede l’inserimento di una Carta di Credito dalla quale prelevare il deposito, 1 Euro nella fase di sperimentazione che poi passeranno a 50 Euro.

Segnalazioni sono presenti sui Social anche in merito alla rintracciabilità dei mezzi che risulterebbero segnalati sulla mappa cittadina ma che si dimostrerebbero introvabili in strada.

Problemi ci sarebbero anche con la restituzione del mezzo, quando la bicicletta attiva l’autobloccaggio al termine del noleggio.

Insomma, Firenze sta correndo un grosso rischio in questo momento, soprattutto da un punto di vista politico.  

Sicuramente il sindaco Nardella, al taglio del nastro, potrà vantarsi di essere stato il primo sindaco italiano a introdurre un sistema di bike sharing a flusso libero, ma ora della tornata elettorale potrebbe aver già riscontrato le controindicazioni di un sistema che in tutto il mondo genera ancora molti dubbi e perplessità.

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L’introduzione del servizio di Bike Sharing a flusso libero a Milano

Nel 2008 il Comune di Milano ha lanciato il BikeMi con un accordo quindicennale con ClearChannel prevedendo la gestione del bike sharing in cambio della concessione della pubblicità distribuita sul territorio comunale.

Con un comunicato del 30 agosto 2017 il Comune ha annunciato la contestuale partenza anche a Milano del servizio di bike sharing a flusso libero, con 12mila bici a disposizione dei cittadini entro la fine dell’anno.

Due gli operatori a gestire il servizio che il Comune, con il bando del giugno scorso, ha diviso in 3 lotti da 4mila bici ciascuno: Mobike che avrà una flotta di 8mila mezzi (due i lotti aggiudicati) e Ofo con una flotta di 4mila (1 lotto).

Secondo il comunicato “le biciclette potranno essere parcheggiate lungo i bordi delle strade laddove non ci sia sosta riservata o divieto e in tutte le aree di sosta per velocipedi presenti in città: oltre 670 postazioni per un totale di 8.300 posti (in stalli o rastrelliere) diffusi sul territorio.

Circa mille posti in più sono già stati programmati dall’Amministrazione e saranno realizzati entro la fine di quest’anno.

Oltre 400 posti saranno poi dedicati esclusivamente alle bici in condivisione a flusso libero e saranno localizzati in tutta la città: da Corvetto a Certosa, da Garibaldi a Bisceglie, da Loreto a Crescenzago, da Cinque giornate a Maciachini.

Ricordiamo che in ogni caso le biciclette vanno sempre parcheggiate in modo da non costituire un intralcio alla circolazione veicolare e pedonale.

Non toccheremo l’attuale servizio BikeMi, che ha 60mila abbonati l’anno e in aprile ha toccato il record di prelievi giornalieri,  più di 23milaha detto il sindaco Beppe SalaOggi abbiamo 4.600 bici, più mille a pedalata assistita.

Nulla cambia ma riteniamo ci sia spazio per un servizio a flusso libero.”

È di tutta evidenza la sproporzione tra il numero delle bici del servizio BikeMi gestito dalla Clear Channel (5.600 in tutto) ed il numero doppio delle bici del servizio di bike sharing free floating (12.000 in tutto, di cui 8.000 gestite da Mobike e 4.000 gestite dalla Ofo) 

Le bici Mobike sono di design, equipaggiate di gps, tessera sim e un lucchetto intelligente brevettato che viene sbloccato/bloccato tramite l’app.

Sono realizzate in alluminio e dotate di cestino e sellino in pelle regolabile.

Per quanto riguarda la manutenzione, Mobike fa sapere di aver lavorato in questi anni per rendere il servizio più affidabile e sicuro. Il comportamento dei fruitori viene monitorato e la tariffa viene modificata per premiare l’utilizzo corretto e responsabile.

Per quanto riguarda invece i possibili furti e danni, c’è da sapere che il 100% dei componenti di Mobike non possono essere utilizzati su altre biciclette.

Inoltre, le biciclette sono tracciabili con il gps, sono dotate di antifurto e alcuni componenti come i freni non si azionano se Mobike non viene attivata attraverso la app.

Le biciclette sono omologate e assicurate.

Le prime sono state posizionate davanti al Castello Sforzesco e alla stazione di Cadorna.

Una volta terminato l’utilizzo, l’utente potrà lasciare la bicicletta nelle rastrelliere cittadine o in qualsiasi postazione pubblica che non sia d’ostacolo al traffico pedonale e dei veicoli. Tutto, pagamento compreso, attraverso lo smartphone.

La bici si fa pedalare con grande scioltezza grazie al rapporto fisso molto leggero. Qui i ciclisti veri potranno lamentare l’assenza di un cambio con rapporto più lungo per spingere un poco di più. Da utente medio sinceramente apprezzo la semplicità e non voglio correre in bici nel traffico di Milano (che è pericoloso!!!).

La semplicità anche del rilascio è imbarazzante: per chiudere il noleggio basta trovare uno spazio che non intralci ovviamente i pedoni (a Milano ce ne sono tanti, anche a voler essere -come d’obbligo- più che scrupolosi), abbassare il cavalletto e chiudere il lucchetto posteriore.

In 5 secondi la bici ha “bippato” l’utente facendogli intendere che tutto è filato liscio nella chiusura del mio noleggio.

La bici è più piccola rispetto a quella del Bikemi, ma basta regolare la sella per stare più che comodo.

Al  nuovo bike sharing senza stazioni i ciclisti hanno dato la seguente pagella, sintetizzabile così: mezzi facili da sbloccare, meno da guidare (Corriere della Sera del 31 agosto 2017)

I freni a disco, meccanici, non funzionano molto. La pedalata è dura, il tubo piantone è inclinato in avanti e il cestino è pesante. Occhio poi a fermarsi in un negozio: dieci minuti dentro e il mezzo era già sparito. 

Andamento «rigido», sbilanciato.

E senza tante possibilità di frenata.

Un po’ un’impresa le prime pedalate con la bicicletta free floating (a flusso libero, alia «prendile e lasciale dove vuoi»).

Le ruote hanno «gomma piena»: tradotto, gli pneumatici sono senza aria.

Non esiste dunque il rischio di forare, ma neanche quel rassicurante «cuscinetto» cui siamo abituati per ammortizzare scossoni tra rotaie, marciapiedi e pavé.

Non c’è la catena poi (il sistema di trasmissione è avanzato): comodo così non cade.

In compenso, rischi di cadere tu.

Perché quei freni a disco, meccanici, non funzionano molto (migliorano con l’utilizzo, assicurano i ciclisti esperti: ma adesso?).

La pedalata è dura.

E non per essere pignoli, ma è difficile anche rimanere in equilibrio: il tubo piantone, quello su cui poggia il sellino, pare inclinato in modo un po’ «strano», sbilanciato in avanti.

Le gambe della pedalante, ancorché non molto lunghe, non riescono a estendersi.

Ci si sente instabili.

E la sensazione è accentuata dal manubrio (il ferro orizzontale è lungo, ma la presa per le mani stretta) e dal grosso cestino davanti.

Cinque chili di portata: utile per appoggiare pesi e borse (a rischio furto, però).

Il processo per prenderle, queste bici, è in compenso veloce: promosso (con riserva).

Partiamo da Cairoli.

I mezzi, grigi e arancioni, stanno in due punti: una decina all’inizio di via Dante, altrettanti al Castello, davanti a Decathlon.

A metà mattina alcuni turisti li guardavano curiosi. Cercavano di capire come funzionano.

Come poterli conquistare.

Non ci sono cartelli, infatti.

Vietato scoraggiarsi: con la folgorazione di scaricare l’app, tutto viene di conseguenza, in modo automatico.

Mobike, il nome.

Sotto due scritte: Smart Bike Sharing e qualcosa in caratteri cinesi del tutto indecifrabili.

Per registrarsi bisogna inserire gli estremi della carta di credito (non precisato quali circuiti sono accettati) e numero di cellulare.

Non siamo abituati.

Quali dati il gestore cinese estrarrà dal nostro telefono?

Il dubbio sulla privacy passa subito.

Si continua.

«Sbloccare», appare sul monitor del telefono.

Si clicca, si avvicina lo smartphone al codice a barre (Qr) vicino al manubrio.

Poi bisogna digitare i numeri scritti sul «tubo» della bici.

Ancora, sul cellulare arriva l’sms con una serie, ulteriore verifica.

Il dado è tratto.

«Clack»: il blocco elettronico subito si apre.

E si pedala (più o meno felicemente).

Occhio a fermarsi in un negozio, però: abbiamo provato.

Dieci minuti dentro, il mezzo era già sparito.

Possibile?

Il servizio — così pare — piace.

Ne cerchiamo un altro.

Sulla mappa della app, ieri mattina, non comparivano bici.

Alle 13 se ne contavano una trentina, tutte vicine a Cairoli e Cadorna.

A fine giornata, una si era spinta a Porta Nuova, alcune ai giardini Montanelli.

Gli altri «pedalanti» avevano osato soltanto brevissimi tragitti.

Una cosa è certa: qualunque cosa succeda, i nostri amministratori dovranno prestare molta attenzione affinché le nostre città non si trasformino in discariche di biciclette di infima qualità che conviene sostituirle piuttosto che ripararle.

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YouBike F2: bike sharing free floating tutto italiano

La TMR, azienda italiana, opera nel settore del bike sharing come produttore da oltre 6 anni, vanta oltre 30 impianti su tutto il territorio italiano puntando alla diffusione in italia del sistema di bike sharing free floating.

Di seguito l’elenco di alcune piattaforme attive:

  • Palermo – youBike® nella 5° città d’Italia per numero di abitanti
  • Villafranca Tirrena (ME) – Primo sistema youBike®
  • Castel di Tusa (ME) – youBike® a Castel di Tusa, località con due Bandiere Blu
  • Tricase e Castrignano del Capo (LE) – youBike® in Puglia
  • Senorbì (CA) – youBike® in Sardegna
  • Campolattaro (BN) – youBike® in Campania
  • Castrovillari (CS) – youBike® in Calabria
  • Gagliano Castelferrato (EN) youBike® con Mountain Bike a motore centrale Bosch, cambio Shimano e freni a disco
  • S. Marina Salina (ME) – youBike® alle Isole Eolie

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 Amsterdam ha messo al bando le bici del bike sharing a flusso libero

Nella famosa città olandese queste bici si sono inserite in un contesto in cui i parcheggi per biciclette sono già pressoché saturi.

Le bici del bike sharing a flusso libero vengono quindi lasciate in modo caotico sui marciapiedi, sui ponti, dovunque ci sia posto, intralciando la circolazione.

Molti cittadini si sono lamentati, e questo ha spinto gli amministratori di Amsterdam alla decisione di mettere al bando questi servizi in città con la seguente motivazione: “Nell’ultimo anno abbiamo investito molto per creare parcheggi per bici, e non vogliamo che vengano occupati da operatori commerciali di sistemi di bike sharing”.

Negli ultimi mesi alcuni operatori come OBike, Flickbike e Donkey Republic avevano lasciato centinaia di bici lungo le strade, bici destinate prevalentemente ai turisti.

La città ha dovuto rimuovere molte bici non più funzionanti e quindi inutilizzate.

Il bike sharing a flusso libero non richiede le normali stazioni di noleggio e riconsegna necessarie con il bike sharing tradizionale.

Si tratta di una modalità di uso della bicicletta che ha un ottimo potenziale, dati i bassi costi di avvio del servizio.

Pur essendo presente in Europa da decenni, si sta diffondendo recentemente in seguito agli enormi investimenti realizzati da alcune aziende asiatiche.

Il bike sharing a flusso libero deve essere ben pianificato e gestito, in collaborazione con le amministrazioni locali. 

Per questo è importante che le città che vogliono introdurre questo servizio lo facciano affidandosi a operatori esperti e rispettosi della realtà locale – in particolare nelle nostre città d’arte.

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Il Bike Sharing Free Floating non deve affiancare, né sostituire, il servizio di Bike Sharing  previsto nella riforma dei cartelloni pubblicitari di Roma 

Secondo il consigliere Enrico Stefano i due servizi sono cose diverse, indipendenti.

Come fa ad affermare una cosa del genere quando si tratta in modo identico (per il cittadino) dello stesso servizio di bike sharing, con la differenza che quello a flusso libero è senza ciclostazioni e senza stalli (cioè privo di qualunque pianificazione)?

La differenza sta nel fatto che il servizio di Bike Sharing previsto nella riforma dei cartelloni prevede un corrispettivo di ca. 8.000 mq. di superficie espositiva per finanziare con il suo ricavo la realizzazione di almeno 250 ciclostazioni e la gestione decennale di un congruo numero di biciclette, mentre il servizio di bike sharing a flusso libero non prevede nessuna ciclostazione da realizzare e consente di lasciare la bicicletta noleggiata dove uno vuole (creando sicuramente la sosta selvaggia ed il caos già registrato sia nelle città della Cina che in quelle europee).

L’estemporanea iniziativa del consigliere Enrico Stefano merita le seguenti considerazioni.

1 – Se il Piano Generale del Traffico Urbano (PGTU) prevede che a regime Roma abbia 350 ciclostazioni, ritenute più che sufficienti per dotare la città di un numero di biciclette quasi eccessivo, non è chiaro per quali non dichiarate ragioni il Comune dovrebbe ora aggiungervi un numero di biciclette forse uguale se non maggiore di quelle programmate, per giunta senza nessuna “disciplina”.

2 – A fronte della ingenua convinzione del consigliere Stefano che il doppio servizio non affosserebbe la riforma dei cartelloni, come si fa a non capire che l’inevitabile confronto fra i due tipi di servizio di Bike Sharing porterà i cittadini romani (specie quelli che odiano ogni regola e vogliono fare come meglio gli pare) a preferire le biciclette cinesi e questa considerazione verrà sfruttata dalle ditte pubblicitarie per chiedere di togliere il servizio di Bike Sharing dalla riforma dei cartelloni, di fatto affossandola.

In una comunicazione dell’I.R.P.A. agli associati dello scorso 31 luglio l’Avv. Giuseppe Scavuzzo ha già anticipato che fornirà a breve delle interessanti novità sul servizio “realizzato in tutto il mondo a costo zero“: nell’ultima comunicazione dello scorso 13 settembre l’avv. Giuseppe Scavuzzo annuncia l’intenzione di impugnare al TAR la deliberazione n. 38 dell’11 luglio 2017 con cui l’Assemblea Capitolina impegna la Giunta ad approvare i Piani di Localizzazione entro il prossimo 15 novembre “anche alla luce dei recenti sviluppi sul nuovo ‘Bike Sharing’ prodotto dal colosso cinese Mobike” .

Questo inevitabile confronto salterà immediatamente all’occhio se entro la fine dell’anno si farà il bando di gara per assegnare i circa 8.000 mq. di impianti speciali destinati a garantire il servizio di Bike Sharing e contemporaneamente si farà l’avviso di gara che ha annunciato il consigliere Stefano nell’intervista rilasciata a Laura Mari di Repubblica: il Comune dovrà fra l’altro far conoscere la pletora di biciclette che vuole complessivamente avere a Roma.

3 – Se per il servizio di Bike Sharing garantito nella riforma dei cartelloni il Comune, oltre a dare ai cittadini romani un servizio di pubblica utilità, introita anche il Canone Iniziative Pubblicitarie (C.I.P.) su ognuno degli impianti speciali che mette a disposizione di chi vincerà il bando di gara, il consigliere Stefano dovrebbe spiegare che cosa gliene viene al Comune dal concedere un servizio di Bike Sharing a flusso libero, senza nessun introito e per giunta senza nessuna pianificazione a monte e quindi con sosta selvaggia.

4 – A fronte degli apparenti vantaggi che avrebbe il Comune nel consentire un servizio di Bike Sharing a flusso libero, il consigliere Stefano non sembra aver preso in considerazione che il Comune avrà la sicura opposizione delle Soprintendenze  interessate per quanto riguarda almeno il centro storico e la città storica di Roma, di cui non si potrà di certo tutelare il decoro permettendo una sosta selvaggia in particolare a ridosso dei più importanti monumenti (Colosseo, Castel S. Angelo, Pantheon, Piazza Venezia ecc. ecc.): l’immagine del degrado di Roma, finora emblematizzata sull’ammasso dei rifiuti lasciati al di fuori dei cassonetti, verrà aggravata dalle foto più eclatanti delle biciclette a flusso libero ammassate anche davanti a chiese, portoni ed uffici pubblici (se non addirittura dentro).

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Alla seduta della Commissione Commercio del I Municipio, che si è tenuta lo scorso venerdì 15 settembre sul rispettivo Piano di Localizzazione degli impianti pubblicitari, ha partecipato l’Avv. Giuseppe Scavuzzo della associazione di categoria I.R.P.A. per perorare la bontà del servizio di Bike Sharing a flusso libero inaugurato a Milano e chiedere conseguentemente di escludere il servizio di Bike Sharing finanziato dalla pubblicità, così come previsto nella riforma dei cartelloni pubblicitari: sulla stessa posizione si è dichiarato il consigliere Matteo Costantini. 

Ne è scaturito un vivace dibattito a conclusione del quale mi è stato permesso di fare a tutti i presenti la seguente considerazione: se si pretende ora di tornare indietro come i gamberi, rimettendo in discussione tanto il “Piano Regolatore degli Impianti Pubblicitari” (P.R.I.P.)  quanto il nuovo Regolamento di Pubblicità che prevedono entrambi un servizio di Bike Sharing tradizionale garantito da impianti speciali per una superficie complessiva di circa 8.000 mq. Impianti, non si fa di certo l’interesse della città e dei suoi cittadini, perché si rimanda di fatto alle calende greche l’entrata in vigore della intera riforma lasciando che in tutto il territorio del Comune di Roma rimanga la “cartellopoli”  che ancora ne infanga l’immagine con la sua giungla di cartelloni in violazione delle prescrizioni del Codice della Strada e dei vincoli a tutela del paesaggio e dei monumenti storici. 

Quel giorno ho spiegato in estrema sintesi la possibile “soluzione” che è opportuno dare e che illustro meglio di seguito, partendo dalle seguenti considerazioni e dalle risposte che si possono dare esse. 

1 –  Il servizio di Bike Sharing free floating non prevede la bicicletta a pedalata assistita (elettrica) che a Roma va comunque fornita per superare i dislivelli dei suoi colli e consentirne l’utilizzo specialmente da chi si avvale di questo mezzo per recarsi al lavoro. 

Si tratta di un più che valido motivo per mantenere il sistema di Bike Sharing finanziato dalla pubblicità. 

2 – Il servizio di Bike Sharing free floating introdotto a Milano costituisce a tutti gli effetti un servizio a flusso libero “regolato”, dal momento che prevede “oltre 670 postazioni per un totale di 8.300 posti (in stalli o rastrelliere) diffusi sul territorio”, con la differenza che non si ha nessuna garanzia che venga rispettata la generica avvertenza del Comune che le bici “vanno sempre parcheggiate in modo da non costituire un intralcio alla circolazione veicolare e pedonale”.  

La soluzione migliore sta allora nell’inglobare dentro il sistema tradizionale di Bike Sharing gli aspetti positivi del sistema free floating. 

Il modello di bike sharing free floating è sostanzialmente lo stesso, solo che “costa meno”, nel senso che la bici è più economica e non ci sono le stazioni fisse con totem per lo sgancio dei veicoli. 

Ma allora si può adottare un sistema ibrido, eliminando le ciclostazioni per lo sgancio dei veicoli, sostituendole con delle “stazioni virtuali” allo stesso modo seguito a Milano, vale a dire con stalli o rastrelliere o appositi parcheggi per bici, dove si unisce la bicicletta ibrida connessa e geolocalizzata alla assistenza elettrica su richiesta.

Si vengono così a sostituire alle ciclostazioni  le stazioni virtuali (tipo Milano), consentendo di diminuire i costi necessari ad assicurare un servizio del genere per 10 anni: l’abbattimento è dell’ordine di oltre 1/5 dei costi di installazione del bike sharing rispetto ai sistemi tradizionali con colonnine. 

In tal modo, le ubicazioni destinate agli impianti speciali nei Piani di Localizzazione degli impianti pubblicitari di Roma – anche nel caso che rimanessero le stesse – possono compensare il minor introito dalla pubblicità dei ca. 8.000 mq. di superficie messa a disposizione e rendere ugualmente appetibile un bando di gara per un servizio di Bike Sharing però a flusso libero regolato, senza obbligo di realizzare almeno 250 ciclostazioni. 

Questo sistema dovrebbe consentire di liberare in cambio più biciclette ibride rispetto alla soluzione con stalli (grazie ai minori investimenti) pur con una soluzione smart, molto qualitativa e soprattutto regolata, anche se non totalmente. 

Le biciclette ibride possono essere prelevate per lo più presso le “stazioni virtuali” e lasciate anche dove è possibile, ma pur sempre nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada e del decoro della città di Roma: in caso di rilascio illecito di una bicicletta, chi si è aggiudicato il bando internazionale di gara è obbligato a comunicare al Comune il nome e cognome di chi l’ha utilizzata, per consentire alla Amministrazione Capitolina di multarlo allo stesso modo di come avviene con il Car to Go. 

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Il consigliere Enrico Stefano e l’Assessore alla Città in Movimento Linda Meleo sono invitati a coordinarsi con l’Assessore Adriano Meloni per valutare la validità di questo sistema ibrido ed incaricare l’Agenzia per la Mobilità a pianificare  le “stazioni virtuali” in luogo delle ciclostazioni.

 

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

 

 

 

 

 

 

 

 

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

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