In Italia l’inquinamento uccide più che negli Usa. 9 i milioni di morti nel mondo all’anno

Quindici volte più di guerre e conflitti, oltre il triplo rispetto a Aids, tubercolosi e malaria messe insieme: è l’inquinamento il grande killer che l’umanità si auto-inflitta, in grado di provocare (nel solo 2015) 9 milioni di morti premature a livello globale, il 16% di tutti i decessi nel mondo.

In altre parole, un sesto di tutte le morti al mondo, quota che sale ancora (dati Oms) a 12,6 milioni allargando il quadro a tutte le morti legate a cause ambientali evitabili.

Una tragedia che dunque ci riguarda tutti, ma è tutt’altro che cieca.

Il 92% delle morti legate all’inquinamento è circoscritto ai Paesi a reddito medio-basso, e ovunque l’aria, l’acqua e il suolo inquinati opprimono in particolar modo le minoranze e gli emarginati. L’apoteosi dell’ingiustizia che travalica la morte.

È un mondo sporco e cattivo quello descritto dalla prestigiosa rivista medico-scientifica The Lancet, la cui Commissione sull’inquinamento e la salute ha appena pubblicato il suo ultimo rapporto.

Una pubblicazione che giunge in un’Italia già asserragliata dallo smog ben prima della consueta emergenza invernale, anticipata quest’anno da caldo e assenza di piogge – anch’essi fenomeni legati all’impatto dell’uomo sull’ambiente, attraverso il cambiamento climatico.

Un’emergenza che, in ogni caso, parte da lontano.

Gli stessi dati elaborati da Lancet ci descrivono come un Paese dove il numero di morti attribuibili all’inquinamento ogni 100mila abitanti (si veda l’immagine a lato, ndr) è superiore a quello registrato in buona parte d’Europa – Francia, Spagna, Portogallo o l’intera Scandinavia, ad esempio – ma anche a quello che affligge l’intero continente americano, Stati Uniti compresi.

«Anche in Italia – commenta al proposito il leader dei Verdi, Angelo Bonelli – un decesso ogni sei è attribuibile all’inquinamento.  

Infatti secondo l’Istat, la mortalità nel 2014 nel nostro paese è pari a 598.670 morti, e se confrontiamo questo dato con le vittime per inquinamento (secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente) si registra nel 2014 il più alto numero di decessi di sempre pari a 95.930 a causa delle Pm 2,5, NO2 e O3».

Si tratta di una realtà molto costosa, oltre che dolorosa, da accettare.

A livello globale le perdite di benessere economico legate all’inquinamento sono stimate in 4,6 trilioni di dollari, ovvero il 6,2% della produzione economica mondiale.

Mentre l’inquinamento domestico dell’aria e dell’acqua o le forme di inquinamento associate a profonda povertà e stili di vita tradizionale stanno lentamente diminuendo, l’inquinamento atmosferico, l’inquinamento chimico e l’inquinamento del suolo sono tutti in aumento.

Il più grande problema è ancora rappresentato dall’inquinamento atmosferico, individuato come causa di 6,5 milioni di morti all’anno nel mondo, seguito dall’inquinamento idrico e del suolo (1,8 milioni di decessi) e da quello legato al posto di lavoro (0,8).

Anche l’inquinamento chimico rappresenta un dramma in crescendo: come ricorda Lancet, «oltre 140mila nuovi prodotti chimici e pesticidi sono stati sintetizzati dall’uomo a partire dal 1950, e di questi 5mila che sono stati prodotti in gran volume sono anche stati ampiamente dispersi nell’ambiente rendendosi responsabili di un’esposizione umana «quasi universale».

Non sappiamo neanche bene quali siano i loro effetti: meno della metà di questi prodotti chimici sono stati sottoposti a test rigorosi in merito a sicurezza e a-tossicità, divenuti obbligatori sono negli ultimi 10 e anni e solo in pochi paesi ad alto reddito al mondo.

Per quanto drammatica, quella che stiamo vivendo non è una storia dal destino segnato.

«La buona notizia – osservano da Lancet – è che un sacco di inquinamento può essere eliminato, e che la prevenzione dell’inquinamento può essere molto conveniente».

È la storia a dimostrarlo.

Negli Stati Uniti, ad esempio, le concentrazioni di sei comuni inquinanti atmosferici sono diminuite di circa il 70% dall’approvazione del Clean air act nel 1970 e, da allora il Pil Usa è aumentato di quasi il 250%: ogni dollaro investito nella lotta contro l’inquinamento dell’aria negli Stati Uniti migliora non solo la salute, ma porta anche benefici economici pari 30 dollari.

Si tratta di continuare a credere, investendo in ciò che già abbiamo dimostrato essere possibile, anche in Italia.

Se nel mondo ben l’85% del particolato atmosferico insieme all’inquinamento da ossidi di azoto e zolfo arriva dai combustibili fossili e (nei paesi poveri) da biomasse, come ricordato da ultimo in seno al ministero della Salute in Italia i principali interventi per migliorare la qualità dell’aria devono concentrarsi sul traffico veicolare e sul riscaldamento residenziale: è una partita che possiamo vincere, ma dove occorre investire capitale economico e politico.

E oggi il secondo sembra scarseggiare ancor più del primo.

 

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 20 ottobre 2017 sul sito online “greenreport.it”)

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