Archivi Giornalieri: 24 Novembre 2017
Accademia Kronos, Aiig, Cts, Enpa, Fare Verde, Federazione Pro Natura, Fai – Fondo per l’ambiente italiano, Greenpeace Italia, Gruppo di intervento giuridico, Gruppi di ricerca ecologica, Italia Nostra, Lav, Legambiente, Lipu, Marevivo. Mountain Wilderness, Rangers d’Italia, Sigea, Tci, Vas, Wwf Italia, chiedono «il ritiro dell’emendamento 101.0.03 (seconda pagina dell’allegato) al disegno di legge di Bilancio 2018 presentato originariamente dai membri del gruppo PD nella Commissione ambiente del Senato». Le 21 associazioni ambientaliste, animaliste e protezioniste dicono che «dovrebbe essere dichiarato inammissibile, come ha avuto modo di ribadire in molte occasioni nel passato la Presidenza della Repubblica, perché riguarda materia ordinamentale estranea alla materia economico-finanziaria propria della Legge di Bilancio». La materia del contendere è il Parco del Delta del Po che, come ricordano le associazioni, è la più grande area umida d’Italia, dove sostano e vivono oltre 300 specie di uccelli, ma anche il black spot a livello nazionale per il bracconaggio ittico e venatorio, secondo Ispra, l’istituto di ricerca e protezione ambientale del ministero dell’ambiente. È sotto gli occhi di tutti il fallimento delle politiche di tutela dei due parchi regionali esistenti da decenni (da 20 anni quello Veneto, da 29 anni quello Emiliano Romagnolo), ma è proprio alle Regioni e agli enti locali che un emendamento tra quelli segnalati dal Gruppo PD del Senato alla Legge di Bilancio 2018 vuole affidare un parco fantasma, facendo tabula rasa della prevista istituzione di un unico parco interregionale o di un vero parco nazionale, nel caso di mancanza dell’intesa tra le Regioni interessate, previsti a suo tempo dall’articolo 35, comma 4 della Legge quadro nazionale sulle aree protette (legge n. 394/1991) e rimasti lettera morta. Secondo ambientalisti e animalisti «l’intento dell’emendamento appare quello di creare un parco fantasma, di cui non si capisce la natura, completamente al di fuori del “perimetro” e dello spirito della legge quadro nazionale sulle aree protette perché: 1. si vorrebbe istituire un “parco” […]
Rosidromet, il servizio meteorologico russo, ha ammesso di aver misurato negli Urali l’inquinamento da rutenio 106, un isotopo radioattivo, a quasi 1.000 volte sopra i livelli normali. Si tratta della prima conferma da parte del governo russo che ci potrebbe essere stato un qualche tipo di incidente in un dispositivo nucleare e di quanto rivelato 12 giorni fa dall’Institut de radioprotection et de sûreté nucléaire francese (Irsn) che aveva detto che la nuvola di inquinamento radioattivo rilevata in Europa – e denunciata precedentemente da associazioni come Greenpeace e Bellona – probabilmente era stata originata da un incidente verificatosi in Russia o Kazakistan nell’ultima settimana di settembre. La compagnia nucleare statale russa Rosatom aveva smentito tutto affermando che il picco di rutenio 106 riscontrato era solo una radiazione di fondo. Ma ieri un comunicato del Rosgidromet smantisce Rosatom (e quindi il governo russo) e afferma di aver trovato un «inquinamento estremamente alto» di rutenio 106 in due campioni prelevati dalle stazioni meteorologiche nei Monti Urali meridionali tra la fine di settembre e all’inizio di ottobre. In una di queste stazioni, nel villaggio di Agrayash, il livelli di rutenio 106 erano 986 volte quelli del mese precedente. Nell’altra, a Novogorny, sono stati trovati livelli 440 volte più alti del mese precedente. Secondo Rosgidromet è possibile che l’isotopo radioattivo potesse essere stato assorbito nell’atmosfera e che avesse raggiunto l’Europa occidentale, ma ha sottolineato che «il rilascio non ha rappresentato una minaccia per la salute umana». Inoltre è emerso che, durante il periodo in cui sono stati rilevati livelli superiori alla norma, i livelli di rutenio 106 sono stati più alti in Romania e Ucraina. L’isotopo impiega un anno per dimezzare la sua radioattività. Ma l’ONG ambientalista/scientifica norvegese/russa bellona fa notare che «Agrayash si trova a 30 chilometri dalla Mayak Chemical Combine, un sito […]
Il Delta del Po è la più grande area umida d’Italia, dove sostano e vivono oltre 300 specie di uccelli, ma anche il black spot a livello nazionale per il bracconaggio ittico e venatorio, secondo ISPRA, l’istituto di ricerca e protezione ambientale del Ministero dell’Ambiente. È sotto gli occhi di tutti il fallimento delle politiche di tutela dei due pachi regionali esistenti da decenni (da 20 anni quello Veneto, da 29 anni quello Emiliano Romagnolo), ma è proprio alle Regioni e agli enti locali che un emendamento tra quelli segnalati dal Gruppo PD del Senato alla Legge di Bilancio 2018 vuole affidare un parco fantasma, facendo tabula rasa della prevista istituzione di un unico parco interregionale o di un parco nazionale, nel caso di mancanza dell’intesa tra le Regioni interessate, previsti dall’articolo 35, comma 4 della Legge quadro nazionale sulle aree protette (legge n. 394/1991). L’emendamento 101.0.03 (seconda pagina dell’allegato) al disegno di legge di Bilancio 2018, presentato in origine dai membri del PD nella Commissione Ambiente del Senato a cui si aggiunge l’adesione della senatrice Maria Teresa Bertuzzi della Commissione Agricoltura del Senato, di cui le Associazioni ambientaliste (Accademia Kronos, AIIG, CAI, ENPA, Federazione Pro Natura, Forum Ambientalista, Greenpeace Italia, Gruppo di Intervento Giuridico, Gruppi di Ricerca Ecologica, Italia Nostra, LAV, Legambiente, LIPU, Marevivo. Mountain Wilderness, Rangers d’Italia, SIGEA, TCI, VAS, WWF Italia) chiedono il ritiro, dovrebbe essere dichiarato inammissibile, come ha avuto modo di ribadire in molte occasioni nel passato la Presidenza della Repubblica, perché riguarda materia ordinamentale estranea alla materia economico-finanziaria propria della Legge di Bilancio. Con riguardo al merito, le Associazioni osservano che l’intento dell’emendamento appare quello di creare un parco fantasma, di cui non si capisce la natura, completamente al di fuori del “perimetro” e dello spirito della legge quadro nazionale sulle aree protette perché: […]
I ricercatori si sono a lungo interrogati su un’apparente contraddizione presente nei calcoli sui cambiamenti climatici che sembrava suggerire che tra il 1998 e il 2012 il riscaldamento globale potrebbe essersi fermato o aver rallentato anche se l’aumento delle emissioni di gas serra in quel periodo avrebbe dovuto far accelerare il fenomeno. Già a giugno lo studio “Possible artifacts of data biases in the recent global surface warming hiatus” aveva rivelato che probabilmente quello “iato” che era diventato il cavallo di battaglia dei negazionisti climatici era solo un’illusione causata da dati inesatti. Ora le prove che la pausa del riscaldamento globale non c’è mai stata arriva direttamente dal campo e dalla linea del fronte del global warming: l’Artico. Infatti, il nuovo studio “Recently amplified arctic warming has contributed to a continual global warming trend”, pubblicato su Nature Climate Change da un team di ricercatori cinesi e dell’università dell’Alaska- Fairbanks (Uaf), afferma di aver definitivamente risolto il “mistero” dimostrando che la percezione della cosiddetta “pausa di riscaldamento globale” era il risultato dell’esclusione dei dati dall’Artico nei calcoli dei trend riscaldamento globale. Le analisi della temperatura superficiale dall’Artico dimostrano che il rapido riscaldamento avvenuto nella regione nell’ultimo decennio ha contribuito significativamente ad incrementare il trend globale al riscaldamento globale, piuttosto che una pausa o un rallentamento. Xiangdong Zhang, uno scienziato dell’atmosfera che lavora per l’International Arctic research center dell’Uaf spiega: «Abbiamo ricalcolato le temperature globali medie dal 1998-2012 e abbiamo scoperto che il tasso di riscaldamento globale ha continuato a salire a 0,112° C per decennio invece di rallentare a 0,05° C per decennio, come si pensava in precedenza. Le nuove stime hanno anche dimostrato che l’Artico stesso si è riscaldato da 5 a 6 volte in più della media globale durante quel periodo di tempo, quasi tre volte più velocemente […]
Riceviamo e pubblichiamo un contributo provocatorio e stimolante riguardo ai problemi di conservazione della natura scritto da Franco Perco, uno dei maggiori esperti italiani di ungulati, in anni recenti direttore del Parco nazionale dei Monti Sibillini e soprattutto autore di “Andare in natura. Fruire meglio, fruire per sempre e crescere”, pubblicato in seconda edizione a Trento dalla Editrice Temi nel 2014. Che il cammino della conservazione in Italia sia irto di ostacoli e, oggi soprattutto, segni il passo con alcune sconfitte preoccupanti dovrebbe essere abbastanza pacifico. Tuttavia, forse, questa preoccupazione non è del tutto condivisa: in fin dei conti, dicono alcuni, abbiamo una rete di aree protette mediamente efficienti se non altro perché esistono, alcune specie una volta in pericolo sono in buona salute (Lupo) o sono in aumento (Orso alpino, Camoscio appenninico, Grifone). Altre hanno consistenze a dir poco ragguardevoli, se si pensa all’inizio del ‘900, come per esempio gli Ungulati. Questo per le specie di maggiori dimensioni. Ma non altrettanto possiamo dire di specie di dimensioni piccole e minime, dall’Erpetofauna agli Insetti, per tacere dell’Avifauna. Inoltre, il consumo di ambiente prosegue a ritmi tangibili e la sua banalizzazione altrettanto. Ma se questi motivi di preoccupazione non bastano, molto di più lo dovrebbero un’insieme di modi di pensare i quali sono accettati, portati ad esempio e condivisi, pur essendo oggettivamente contro la conservazione. Ora, è facile condannare come nemici da battere la speculazione, l’inquinamento, il bracconaggio, l’incuria e persino i cambiamenti climatici. Molto difficile è invece assumere atteggiamenti critici nei confronti di azioni ritenute altamente positive o innocue. Ed è allora alquanto impopolare criticare ciò che appare “buono” e, viceversa, apprezzare ciò che secondo la maggior parte è “cattivo”. Conscio di questo rischio, provo a suggerire che la conservazione nazionale è in condizioni ancora peggiori proprio per l’accettazione […]
Per Franco Iezzi venerdì sarà l’ultimo giorno da presidente al Parco nazionale della Majella. Se un sostituto ufficiale non è finora stato nominato, complice probabilmente il movimento politico che si sta preparando in vista delle elezioni, è sicuro che Iezzi non andrà oltre, il suo viaggio finisce qui. Gli subentrerà l’attuale vice in carica, Claudio D’Emilio, sindaco di Palena. Questa mattina, durante la conferenza stampa per divulgare il suo operato, racchiuso nella pubblicazione “Racconto per immagini”, il presidente uscente ha raccontato il suo mandato, cinque anni, nell’ente tra sfide e soddisfazioni in un territorio dove il Parco, è inutile negarlo, ancora non viene percepito nella sua reale potenzialità. Si ritiene soddisfatto Iezzi che ha puntato tanto sulla promozione turistica, ma “si poteva fare ancora meglio” ha precisato senza nascondere quel po’ di delusione nel non sentirsi sponsorizzato, in una possibile proroga, né dal sindaco di Sulmona, Annamaria Casini, né dall’assessore alle Aree Interne, Andrea Gerosolimo. Proroga che, probabilmente, sarebbe stata utile visti i cambiamenti politici ai quali si va incontro con il prossimo scioglimento delle Camere e nuove elezioni, che sicuramente non permetteranno di sostituirlo così facilmente anche se i nomi si rincorrono e quello dell’imprenditore sulmonese Fabio Spinosa Pingue è tra questi. Chissà. Iezzi è stato duro con il presidente della Regione, Luciano D’Alfonso, accusato di averlo ostacolato e denigrato durante il suo mandato a causa di uno dei progetti del Masterplan Abruzzo, quello che riguarda la Majelletta dove gli interventi ipotizzati erano troppo impattanti per non chiedere una valutazione ambientale. Una riflessione che sembra non essere piaciuta a D’Alfonso il quale, successivamente, si sarebbe spesso speso nel mettere in cattiva luce Iezzi. Lo ha raccontato il presidente uscente ricordando diversi episodi, le minacce di un fine mandato ormai vicino e leggendo la lettera scritta a D’Alfonso nella […]