Archivi Giornalieri: 28 Novembre 2017
I paesi Ue riuniti in Comitato d’appello hanno votato lunedì a favore del rinnovo dell’autorizzazione dell’erbicida glifosato per cinque anni. A quanto apprende l’ANSA, gli equilibri sono stati spostati dal voto positivo della Germania. A favore si sono espressi 18 paesi, 9 contrari, 1 astenuto. “Il voto di oggi dimostra che quando tutti vogliamo, siamo in grado di condividere e accettare la responsabilità collettiva nel processo decisionale“, ha detto il commissario Ue alla salute Vytenis Andriukaitis. L’Italia è tra i nove Paesi che hanno votato contro la proposta di rinnovo dell’autorizzazione dell’erbicida glifosato per 5 anni. Sulla stessa linea Francia, Belgio, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Lettonia, Cipro e Malta. Astenuto il Portogallo. A cambiare gli equilibri rispetto alla riunione del 9 novembre scorso, che non aveva espresso una maggioranza qualificata a sostegno o contro la proposta, è stato il voto favorevole di Romania, Bulgaria, Polonia e Germania, che in precedenza si erano astenute. Romania, Bulgaria e Polonia perché ritenevano che un’autorizzazione per cinque anni fosse troppo poco, la Germania perché chiedeva un prolungamento dell’attuale autorizzazione per tre anni. Coldiretti, in Italia resta divieto. In Italia resta il divieto di uso del glifosato nelle aree frequentate dalla popolazione o da “gruppi vulnerabili” quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie, ma anche in campagna in pre-raccolta “al solo scopo di ottimizzare il raccolto o la trebbiatura“. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare gli effetti del decreto del Ministero della Salute in vigore dal 22 agosto del 2016 che non vengono modificati dalla decisione dell’Unione Europea di rinnovare per 5 anni la licenza di utilizzo. “L’Italia – secondo l’organizzazione agricola – deve porsi all’avanguardia nelle politiche di sicurezza alimentare nell’Unione Europea e fare in modo che […]
Le notti del pianeta stanno diventando sempre meno buie e questa non è una buona notizia, né per piante e animali, né per il benessere dell’uomo. A scattare la cartolina by night della Terra è uno studio di un team internazionale pubblicato sulla rivista Science Advances che avanza dubbi sulla diffusione delle luci al Led a risparmio energetico. Dai risultati della ricerca emerge che tra il 2012 e il 2016 la superficie terrestre illuminata artificialmente di notte è cresciuta di oltre il 2% annuo, sia in termini di luminosità sia per estensione. Si è registrata una diminuzione in pochissimi Paesi, come Siria e Yemen (vittime di guerre), mentre è stata rilevata stabilità in alcuni dei Paesi più “illuminati”, come Italia, Olanda, Spagna e Usa. Osservata una crescita dell’illuminazione in Sud America, Africa e Asia. I dati scaturiscono dall’analisi delle informazioni raccolte da un particolare sensore satellitare, il VIIRS (Visible/Infrared Imager Radiometer Suite). Il quadro emerso però potrebbe sottovalutare la reale portata dell’inquinamento luminoso. Gli autori sottolineano che il VIIRS rileva solo la luce emessa in una lunghezza d’onda compresa tra 500 e 900 nanometri (nm). Non “vede” la luce blu (inferiore ai 500 nm) prevalente in numerose luci al Led, cui si stanno convertendo molte città per risparmiare energia nell’illuminazione pubblica. Lo dimostrano alcune foto scattate su Milano dalla Stazione spaziale internazionale: l’illuminazione notturna del cuore della città ha cambiato colore tra il 2012 e il 2016, passando dal giallo caldo delle lampadine tradizionali al bianco più freddo dei Led. La periferia è rimasta “gialla”. Il sensore satellitare rileva nel complesso una diminuzione della luminosità, ma solo perché non riesce a cogliere la “nuova” luce dei Led. Il rischio, spiegano i ricercatori, è di sottostimare il reale inquinamento luminoso che invece è ben percepito da persone, piante e animali. […]
Rafael Pacchiano Alamán, il segretario (ministro) dell’ambiente e delle risorse naturali del Messico (eletto nel Partido Verde Ecologista de México alleato Partido revolucionario institucional del presidente Enrique Peña Nieto) ha annunciato l’istituzione del Parque Nacional Revillagigedo, la più grande area marina integralmente protetta del Nord America, nell’Oceano Pacifico, a circa 800 chilometri a ovest della città di Manzanillo e a 400 Km a sud di Cabo San Lucas nella penisola della Baja California. Nelle sue acque vivono 366 specie di pesci, 26 delle quali non si trovano in nessuna altra parte del mondo. La nuova gigantesca Area marina protetta, 148.087 Km2 nei quali è proibito pescare ed estrarre minerali, petrolio e gas, circonda l’arcipelago vulcanico di Revillagiged, dichiarato patrimonio mondiale dell’Unesco nel 2016, formato dalle isole disabitate di Socorro, Clarión, San Benedicto e Roca Partida e protegge una più ampia formazione di montagne e canyon sottomarini che contribuiscono alla risalita di sostanze nutritive che attirano grandi specie migratorie come squali, balene e tartarughe marine. Le acque ora protette ospitano 37 specie di squali e razze, tra cui grandi aggregazioni di squali balena e una delle più grandi popolazioni al mondo di mante oceaniche, quattro specie di tartarughe marine minacciate: liuto, verde, verde, bastarda olivacea e embricata. Sebbene le isole fossero una riserva della biosfera da oltre 20 anni, all’istituzione della riserva marina si è arrivati dopo che la pesca nell’area si era fatta sempre più insostenibile e in seguito a richieste di prospezioni minerarie, alla fine il governo federale Messicano – tra le proteste dell’industria ittica – ha deciso di proteggere una biodiversità unica, collegare gli ecosistemi marini in mare aperto e aiutare il Messico a rispettare i suoi impegni presi con l’Accordo di Parigi sul clima. Infatti, secondo uno studio pubblicato a giugno su Proceedings of The National Academy […]
«Nel mio paese, Fiji, come in molti Stati vulnerabili, il vero killer di posti di lavoro è il cambiamento climatico». Dan Urai Manufolau, presidente del Trade union congress delle Fiji, è intervenuto alla 23esima Conferenza delle parti della Convenzione sui cambiamenti climatici dell’Onu (chiusasi il 17/11 a Bonn) parlando a nome del movimento sindacale internazionale (Ituc). Nonostante il vertice si sia tenuto in Germania, la presidenza della 23esima Cop spettava alle Fiji, ed è stato illuminante assistere alla testimonianza di un Paese che lotta ogni giorno in prima fila contro il cambiamento climatico. «Le nostre comunità – ha continuato Manufolau – stanno ancora affrontando l’impatto devastante degli eventi metereologici estremi, e la prospettiva di sviluppo e prosperità sembra svanire all’orizzonte. Il cambiamento climatico è una minaccia per tutto quello per cui il movimento sindacale ha sempre lottato. E questo è il motivo per cui, noi siamo parte del movimento climatico e non smettiamo di chiedere maggiore ambizione, affinché l’obiettivo (1.5°) dell’Accordo di Parigi sia rispettato. Non c’è lavoro su un pianeta morto». Una verità che riguarda tutti. Anche la Cgil – da sempre impegnata su questo fronte con il movimento sindacale internazionale – ha partecipato con una propria delegazione alla Cop23 Fiji, e non può che esprimere oggi preoccupazione per la conclusione della Conferenza senza che, ancora una volta, sia stata colta l’urgenza con cui occorre affrontare la sfida del cambiamento climatico. A distanza di due anni dall’Accordo di Parigi, il cui obiettivo è quello di contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2° facendo ogni sforzo per mantenerla entro 1,5°, gli impegni assunti sono ancora insufficienti a raggiungere l’obiettivo dichiarato (siamo in direzione di un aumento oltre i 3°). Non è più tempo per le parole, è tempo di agire. Non c’è bisogno di […]