A New Delhi smog mortale come a Londra nel 1952. Le ambasciate trasferiscono il personale

 

Secondo gli esperti, nella capitale indiana New Delhi lo smog ha raggiunto livelli paragonabili a quelli di Londra nel 1952: nel giorno peggiore, l’8 novembre, diverse  centraline di New Delhi hanno riportato un indice di qualità dell’aria (AQI) di 999, il doppio del limite di pericolosità massima di 500.

Quando lo smog venefico ha raggiunto i massimi livelli sono stati annullati i voli e i servizi ferroviari a causa della scarsa visibilità e c’è stato un picco di incidenti stradali e di auto schiantatesi contro alberi e pali elettrici. 

In città la situazione è leggermente migliorata, ma il 21 novembre, l’AQI segnava ancora un pericoloso 326 e si teme che con l’intensificarsi del freddo invernale la situazione, con l’aumento dell’inquinante riscaldamento domestico,  potrebbe tornare a di nuovo al livello “estremamente pericoloso”.

Secondo Randeep Guleria, direttore del prestigioso All-Indian Institute of Medical Sciences  e specialista in pneumologia, «lo smog di novembre è stato paragonabile al Grande Smog di Londra del 1952, che ha causato la morte di circa 4.000 persone». 

Dichiarazioni respinte sdegnosamente dal governo che aveva chiesto all’IIT-Kanpur di indicargli «un approccio integrato per il controllo dell’inquinamento nella regione», ma lo smog di novembre ha dimostrato che per il governo della destra induista tutto continua ad essere business as usual, nonostante gli impegni nuovamente ribaditi solo pochi giorni fa alla Cop23 Unfccc di Bonn.

Eppure, Asia & Pacific  fornisce un’anticipazione di un rapporto dell’ United Nations environment programme che dovrebbe essere pubblicato a dicembre nel quale si afferma che «l’inquinamento atmosferico è il più grande rischio ambientale per la salute e che circa 6,5 ​​milioni di persone muoiono prematuramente a causa di esso».

Se le amministrazioni locali e federali si rifiutano di dichiarare l’emergenza sanitaria e hanno ignorato gli avvertimenti emessi dai medici e dalle agenzie internazionali definendoli «allarmanti», le famiglie più ricche sono fuggite in ambienti più salubri come le zone collinari dell’Himalaya e il personale di diverse ambasciate sta abbandonando Delhi  per luoghi più sicuri.

A dare il segnale di inizio dell’esodo è stata l’ambasciatrice del Costa Rica in India, Mariela Cruz Alvarez , che si è temporaneamente trasferita a Karnataka spiegando sul suo blog che «nelle ultime settimane i livelli di inquinamento a Delhi hanno raggiunto valori impossibili (…) Sono abituata a vivere in paradiso e improvvisamente l’India è diventata una minaccia per la mia salute e per la salute dei miei amici e colleghi».

Harsh Vardhan, ministro federale per la scienza e la tecnologia, cerca di tranquillizzare: «Non sto dicendo che non dovremmo fare nulla a riguardo,  tutti devono reagire, ma non c’è bisogno di diffondere il panico tra la gente», Macome scrive Asia & Pacific  «la risposta di Vardhan ha dimostrato la riluttanza o l’incapacità del governo di fare qualcosa per un fenomeno meteorologico chiamato inversione atmosferica che colpisce l’India del nord in inverno».

New Delhi, la capitale più inquinata del mondo, combatte ogni anno con lo smog esacerbato dai venti provenienti dal nord e dalle stoppi dei campi bruciate negli stati del Punjab e Haryana.

Lo stesso chief minister di Delhi, Arvind Kejriwal, ha detto che la sua città è orma una «camera a gas» e la  comunità diplomatica è passata dalla preoccupazione al panico e diverse ambasciate hanno seguito l’esempio della Alvarez, inviando il personale non essenziale a Singapore. 

L’ambasciatore thailandese ha formalmente all’amministrazione di Delhi di dichiarare lo stato di “hardship” che solitamente si riserva alle zone di guerra e l’ambasciatore della Repubblica Dominicana, Dannenberg Castellanos, dopo aver sollevato la questione con il capo del protocollo dell’indi Sanjay Verma, spiega: «La comunità diplomatica mi aveva chiesto di condividere con i funzionari del ministero degli affari esteri alcune delle nostre preoccupazioni sull’inquinamento atmosferico a New Delhi e di come influisce sull’afflusso di turismo da parte di alcuni dei nostri Paesi e sulle operazioni quotidiane di alcune delle missioni».

Il governo dà la colpa a un fenomeno naturale: le inversioni atmosferiche che sono formate da strati di aria calda che intrappolano gli inquinanti vicino alla superficie terrestre e impediscono loro di disperdersi nella troposfera, specialmente quando c’è pochissimo vento,  e  New Delhi e tra le molte  città del mondo che fa i conti con questo fenomeno che la colpisce abitualmente tra  novembre e febbraio, quando le temperature scendono sotto i 10° C.

Il problema è che a quantità di sostanze inquinanti rilasciate nell’aria invernale stagnante è aumentata costantemente insieme al numero di veicoli sulle strade e all’attività edilizia. 

A questo si sono aggiunti, negli  ultimi cinque anni, i termovalorizzatori per incenerire le oltre 10.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani prodotti ogni giorno dai 25 milioni di abitanti della megalopoli di New  Delhi.

Lo smog nella capitale indiana sembrava una maledizione “naturale”  fino a quando nel 2014 uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità su 1.600 città di tutto il mondo non rivelò che la più inquinata di tutte era proprio New Delhi, in particolare per quanto riguarda il particolato sospeso respirabile PM 2.5  che a Delhi era a concentrazioni di 153 microgrammi rispetto a 56 microgrammi su Pechino, che a lungo aveva detenuto il titolo di città più inquinata del mondo. 

Ma, mentre Pechino e altre città si sono date da fare per affrontare il problema, a Delhi si è fatto ben poco e le politiche del governo induista di destra sembrano favorire le attività inquinanti piuttosto che scoraggiarle.

All’inizio di quest’anno la Corte Suprema ha ordinato di interrompere l’uso del coke o di petcoke – un combustibile notoriamente sporco – in migliaia di piccole industrie nella capitale. 

Ma Anumita Roychowdhury, del Centre for Science and Environment (Cse) denuncia su Asia & Pacific   che «l’effettiva attuazione dell’ordinanza è stata difficoltosa. Il petcoke ha molto più contenuto di zolfo del carbone, mentre il gas naturale non ne ha.  

Ma la tassa generale sui servizi (GST), ora in fase di introduzione nel Paese come parte delle riforme fiscali, sembra favorire il petcoke rispetto al  gas».

Infatti il gas verrebbe tassato al 30% mentre il carbone solo al  5% e il petcoke al 18%. Roychowdhury fa notare che «tali politiche contrastano con le misure adottate dalla Cina per limitare l’uso di petcoke e ridurre la dipendenza dal carbone come combustibili industriali».

Per quanto riguarda lo smog di origine agricola, il primo ministro del Punjab, Amarinder Singh, ha detto a TheHindu che la colpa è in realtà tutta da attribuire «all’inquinamento urbano causato da trasporti mal gestiti e da uno sviluppo industriale non pianificato» e ha chiesto al governo centrale di dare incentivi agli agricoltori del Punjab per impedire loro di bruciare le stoppie.

In uno studio pubblicato nel 2016, l’Indian Institute of Technology – Kanpur  (IIT-Kanpur) asserisce che  «gli scarichi dei veicoli contribuiscono fino al 25%, la biomassa utilizzata come combustibile dal 26 al 17% e la combustione dei rifiuti urbani all’8,9%  circa».

Qualunque sia la percentuale di inquinanti prodotti dalle diverse fonti, quasi tutti concordano sul fatto che lo smog stia danneggiando la salute delle persone a Delhi e che ridurrà di diversi anni la loro speranza di vita.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 27 novembre 2017 sul sito online “greenreport.it”)

 

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