La Sinistra e la riconversione ecologica della città e del territorio

 

Il Presidente della Repubblica ha sciolto le Camere e indetto le elezioni.

Comincia la Campagna elettorale e, come sempre, greenreport.it pubblicherà le linee programmatiche delle diverse forze politiche sui temi dell’ambiente e della riconversione ecologica dell’economia.

Cominciamo con il contributo programmatico di  Liberi e Uguali, la nuova formazione della Sinistra italiana guidata da Pietro Grasso.  

 

Liberi e Uguali: contributo programmatico su riconversione ecologica della città e del territorio

Sui temi della casa, del consumo di suolo, dell’ambiente, della povertà e diseguaglianze prodotte dalla rendita, dalla speculazione edilizia, dalla cattiva gestione delle città e del territorio. 

Primo obiettivo: ridurre le diseguaglianze che nella città si manifestano in modo acuto.

Degrado sociale e ambientale convivono, la povertà urbana, l’emarginazione, la solitudine non trovano nella città il luogo che restituisca dignità e speranza.

Finché il governo della città e del territorio sarà, come ora, guidato dalla rendita, dalla speculazione, dagli affari spesso illeciti, permarranno iniquità e lesione dei diritti urbani, danni alla salute, devastazione dell’ambiente, inquinamento delle falde acquifere, inondazioni, rischi idrogeologici e sismici, consumo di suolo;

La forbice fra domanda e offerta di alloggi (fabbisogno abitativo insoddisfatto in presenza di migliaia di alloggi vuoti) dimostra l’incapacità di autoregolamentazione del mercato e quindi la necessità di una guida pubblica che lo indirizzi verso i bisogni reali delle persone.

La permanente emergenza abitativa è il prodotto di un mercato edilizio guidato, non dalla mano pubblica che lo dovrebbe indirizzare con Leggi e finanziamenti verso risposte a domande reali (che vanno dagli alloggi in locazione a basso costo, alla sostituzione di reti acquedottistiche obsolete con perdite che arrivano al 40%, ), ma esclusivamente dal profitto, dall’urbanistica neoliberista che ha smarrito la sua funzione sociale.

Il problema della casa per chi ha redditi bassi rappresenta una sofferenza uguale e, in presenza di bambini, persino superiore all’assenza di lavoro.

Ma spesso entrambi si presentano in modo congiunto, perché la questione delle abitazioni non colpisce tutti indistintamente, ma solo chi non ha un reddito sufficiente per affrontare il mercato privato.

Perché le case non mancano, ma segnano più di ogni altro fattore le diseguaglianze, per qualità, ubicazione, accessibilità.

Più disoccupazione, più povertà, più disuguaglianza sociale, più debiti: è dentro questo scenario che dobbiamo collocare la drammatica realtà dell’emergenza abitativa.

Non si può parlare di lotta alle diseguaglianze se non si affronta con determinazione il problema della casa. 

È un problema che i 7 milioni di case vuote permetterebbero di risolvere.

Un piano di emergenza, che può diventare una svolta strutturale per risolvere un dramma che riguarda le fasce più povere della popolazione e che si estende ormai verso la classe media.

Proponiamo di affidare ai Comuni, attraverso un Piano di Investimenti mirato, il compito di acquistare, con bando pubblico, gli alloggi vuoti per affittarli o prenderli in affitto dai privati per riaffittarli a loro volta a famiglie bisognose, facendosi così garanti presso il proprietario di eventuali insolvenze causate da condizioni di necessità.

È un Piano Casa che rappresenta la soluzione migliore in un momento in cui i valori degli immobili sono scesi in media del 30% e in alcune aree urbane fino al 50%, che ha i seguenti vantaggi:

– la rapidità degli effetti derivante dall’avere il prodotto pronto per essere assegnato alle migliaia di famiglie in attesa nelle liste ERP e per quelle (160.000 secondo i dati SICET) con sfratti esecutivi in attesa di essere eseguiti, molti dei quali dovuti a morosità incolpevole in continuo aumento;

– investimenti che sottrarrebbero al mercato un bene inutilizzato, che il mercato non assorbe;

– non produce consumo di suolo perché recupera gli edifici esistenti;

– la messa a norma degli alloggi degradati collabora al risparmio energetico e a ridurre l’inquinamento;

– riqualifica le periferie attraverso il risanamento degli immobili, spesso da anni abbandonati

Il Governo Pubblico delle Città deve costituire un esempio virtuoso di buone pratiche e gli stanziamenti dello Stato dovrebbero esserne la guida (nel 2016 il Governo non ha stanziato un solo Euro per l’edilizia sociale).

La buona urbanistica può ridurre le diseguaglianze costruendo città più eque e solidali

Concorrono a realizzare questo obiettivo: il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte urbanistiche, un trasporto pubblico efficiente che renda ogni luogo della città accessibile a tutti, il verde urbano che abbatte l’inquinamento e le malattie polmonari che colpiscono prevalentemente i bambini, il risanamento dei quartieri degradati che si realizza attraverso l’offerta di servizi che concorrono ad una più equa redistribuzione del reddito, la presenza di spazi pubblici che attiva la convivenza, la socialità, rafforza la democrazia urbana, gli alloggi in locazione a prezzi adeguati al reddito che sono in grado di far uscire dalla condizione di povertà milioni di famiglie, l’inserimento dell’ERP fra gli standard urbanistici obbligatori, il divieto di vendita dell’esiguo patrimonio spesso inutilizzato finché non vengano soddisfatte le domande degli aventi diritto ad un alloggio di edilizia residenziale pubblica e quello di migliaia di famiglie colpite dal dramma del procedimento di sfratto per morosità incolpevole in continuo aumento a causa dell’estensione della povertà e della disoccupazione. 

Alcuni punti irrinunciabili per una coalizione di sinistra alternativa e di governo:

La città è un Bene Comune e come tale appartiene alla collettività.

La vendita del patrimonio pubblico di valore paesaggistico, monumentale e documentale che ci è stato lasciato in eredità dalla natura e dall’uomo, di cui dobbiamo prenderci cura per poterlo trasferire a chi verrà dopo di noi, è un furto alla collettività, così come la privatizzazione dell’acqua e altri Beni Comuni.

La cura del territorio e la prevenzione dai rischi, è l’opera pubblica prioritaria per il Paese.

Preservare le grandi ricchezze italiane, il paesaggio, le bellezze naturali e quelle costruite dall’uomo in secoli di storia è un dovere culturale e politico.

Oggi 33.000 ettari di suolo consumato ricadono all’interno delle aree protette.

Difendere dai rischi sismici e idrogeologici e dall’incuria, il nostro inestimabile patrimonio storico artistico, fatto di singoli monumenti e di borghi antichi, rappresenta il più grande e produttivo investimento che può fare l’Italia.

Ma per preservarlo occorre un incremento delle risorse finanziarie necessarie per attivare una programmazione finalizzata alla conoscenza, alla messa in sicurezza e al restauro del patrimonio culturale, una maggiore e incisiva presenza sul territorio degli organi di tutela in grado di operare con intervento diretto nella tutela e nel restauro.

Ma con la “riforma Madia” le Soprintendenze vengono depotenziate e messe funzionalmente alle dipendenze del Prefetto.

Con questa scelta insieme alla riforma del Ministero dei beni culturali nell’ottica della “valorizzazione” staccata dalla “tutela”si accorpano le già deboli soprintendenze (archeologia con belle arti con paesaggio) depotenziandone di fatto l’autonomia culturale e l’indipendenza.
Anche le conferenze dei servizi, necessarie per istruire progetti complessi, vengono riformate: ora le decisioni vengono prese a maggioranza.

Il parere della Soprintendenza può quindi essere ignorato mentre prima era obbligatorio e vincolante .
Contro la “disarticolazione delle istituzioni di tutela” proponiamo:

– l’abolizione della “legge Madia” per le parti riguardanti soprintendenze e conferenze dei servizi,

– l’abolizione della riforma del MIBACT in cui si accorpano le sovrintendenze e si rafforza la pericolosa separazione tra tutela (quasi annullata) e valorizzazione (trasformata in mercificazione)

Il pensiero neoliberista che ha contaminato la cultura anche di sinistra, ha ridotto le città ad una merce e le risorse naturali e paesaggistiche terreno di conquista della speculazione edilizia.

Non a caso la crisi mondiale che ci attanaglia è nata proprio con lo scoppio della bolla immobiliare, troppo rapidamente e volutamente rimossa perché la sua analisi imporrebbe una revisione del modello di sviluppo che ha affidato alla rendita e non alla ricerca e all’innovazione, ingenti capitali con la complicità delle banche che ancora guidano e sostengono operazioni immobiliari senza futuro ma che servono a giustificare i loro bilanci. (nel I trimestre del 2016, sul totale dei finanziamenti concessi dalle banche e non rimborsati dalle imprese, oltre il 40% è legato alle imprese/immobiliari che pesano per oltre il 27% sui crediti deteriorati) 

Il consumo di suolo in Italia è al 7%, la media europea al 4,3%, Veneto e Lombardia superano il 12%.

L’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di degrado del suolo in Europa, in quanto comporta un rischio accresciuto di inondazioni, contribuisce ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità, provoca la perdita di terreni agricoli fertili e aree naturali, contribuisce insieme allo sprawl urbano, alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto rurale” (Commissione Europea 2012).

Le funzioni produttive dei suoli sono, pertanto, inevitabilmente perse, così come la loro possibilità di assorbire CO2, di fornire supporto e sostentamento per la componente biotica dell’ecosistema, di garantire la biodiversità e la fruizione sociale” (rapporto ISPRA 2017).

Ogni anno in Europa è stimato che un’area pari a circa 1.000 km2, più o meno equivalente alla superficie di una città come Berlino, viene definitivamente persa in seguito alla costruzione di nuove infrastrutture e reti viarie (Commissione Europea, 2011).

Nella colpevole assenza di una Legge Nazionale (quella approvata dalla Camera è un abominio che molte Regioni hanno già preso come riferimento) la maggior parte delle Leggi Regionali favoriscono il consumo di suolo indirizzandolo verso i centri urbani, dove l’impermeabilizzazione del terreno crea, anche in presenza di precipitazioni meteoriche non eccezionali, gravi danni a persone e cose e la cementificazione degli spazi liberi rende le città invivibili (il 54% del consumo di suolo avviene all’interno delle aree urbanizzate dove le Leggi regionali non lo conteggiano come suolo consumato)

La rendita non trova più remunerazione nel costruire in aree agricole o marginali, dove capannoni vuoti e intere lottizzazioni restano invendute, quindi indirizza i capitali dove più elevata è la redditività dell’investimento.

Ma i vuoti urbani sono un elemento prezioso nel tessuto consolidato della città.

Servono alla vita sociale e collettiva, alle manifestazioni di piazza, al gioco dei bambini, al mantenimento degli ecosistemi urbani e dei corridoi ecologici.

Le analisi degli economisti, anche di sinistra, raramente mettono nella giusta evidenza il ruolo che ha la rendita urbana nell’economia del Paese, nelle crisi finanziarie, nei dissesti delle banche, nel riciclaggio del denaro sporco, che trova la sua collocazione privilegiata nelle operazioni immobiliari che la finanziarizzazione delle imprese ha favorito.

Una esclusione che oscura i danni che la rendita urbana provoca alla nostra economia e all’ambiente e che non fornisce una chiave di lettura per rispondere alla domanda: “ma perché alla presenza di tanti capannoni e case vuote, si costruisce ancora?” perdendo 3 mq di suolo permeabile al minuto, danneggiando le città, il paesaggio e il clima.

La tendenza degli ultimi anni vede l’incremento significativo di un processo, guidato prevalentemente dalla rendita urbana, di progressiva densificazione e saturazione degli spazi agricoli e naturali e di tutti quei “vuoti urbani” rimasti all’interno delle città, che sono essenziali per la qualità della vita dei cittadini, dell’ambiente e del paesaggio”.(Munafò ISPRA)

La rendita va combattuta e va applicata una “tassa di scopo” sull’incremento di valore dei terreni prodotto da una variante urbanistica.

E al contrario di ciò che propongono la maggior parte delle Leggi regionali in vigore, gli oneri di urbanizzazione e i costi di costruzione devono essere maggiori nei centri urbani, perché lì le opere pubbliche, che producono un incremento del valore degli immobili, sono già state costruite con il denaro dei cittadini.

I proventi degli oneri devono essere destinati esclusivamente all’ambiente, al verde e alla manutenzione del territorio.

La riconversione urbana senza consumo di suolo produce maggiori posti di lavoro e favorisce le imprese locali che non sono in grado di accedere agli appalti delle grandi opere (che creano un forte impatto ambientale. In Italia le infrastrutture a rete rappresentano il 40% del suolo consumato), le maestranze ricche di esperienza e di antichi saperi, che operano nei restauri degli immobili di pregio, nella ristrutturazione statica degli edifici (che dovrebbe cominciare dalle scuole e dai monumenti), nella loro riqualificazione energetica.

Buone politiche nell’uso di fonti energetiche rinnovabili e di riconversione ecologica degli edifici attraverso pratiche innovative costituirebbe un rilancio del settore edile, quello che ha subito il più forte attacco dalla crisi e che in 8 anni ha visto la perdita del 50% dei posti lavoro,

Gli standard urbanistici previsti nel PRG, che per la sentenza della Corte Costituzionale decadono dopo 5 anni dalla loro applicazione “restano sulla carta”, mentre lo strumento della perequazione dovrebbe assicurarne la realizzazione, in modo che accanto alla Città Privata si realizzi anche la Città Pubblica.

Proponiamo che con la decadenza degli standard urbanistici decadano anche le capacità edificatorie previste nei PRG, per non creare città mostro fatte solo di cemento.

La Riconversione ecologica è la vera sfida per le Città

Il problema strategico dei cambiamenti climatici che sta diventando irreversibile è causato da un modello antropocentrico che ha guidato scelte economiche miopi senza curarsi delle catastrofi da queste prodotte

In Italia ogni anno le morti causate dall’inquinamento atmosferico sono 91mila, più che in ogni altro paese d’Europa.

Basta qualche domenica senza macchine?

Oppure occorrono interventi strutturali che attraverso la revisione degli strumenti urbanistici propongano una nuova visione di città, che respinga la mercificazione del Bene Suolo e della sua impermeabilizzazione, che danneggia la salute, favorisce le mutazioni climatiche e le isole di calore e crea una città asocializzata. 

L’urbanistica è una disciplina che deve diventare di utilità sociale.

Ora non lo è.

È ancora come sempre al servizio della rendita urbana che guida i processi di trasformazione e le scelte di pianificazione usando lo scudo di termini devianti come i “diritti edificatori” e limiti (infondati) alla possibilità di ridurre l’edificabilità dei suoli.

Negli strumenti urbanistici le capacità edificatorie sono spesso sovradimensionate rispetto alla crescita (o meglio decrescita) della popolazione.

Pertanto solo attraverso varianti urbanistiche che riducano le capacità edificatorie dei Piani, è possibile limitare il Consumo di suolo che i PRG in vigore legittimamente consentono; così da assicurare la permeabilità dei terreni e l’incremento delle aree verdi boscate che riducono l’inquinamento atmosferico e aumentano la resilienza.

Le nuove disposizioni normative dovranno dirlo a chiare lettere per sciogliere comodi equivoci. 

La lotta ai cambiamenti climatici

Occorre mettere in campo azioni positive per invertire la rotta e raccogliere l’allarme che viene dal mondo della scienza, dall’ambientalismo, dalla comunità internazionale

L’urbanistica può contribuire attraverso azioni dirette a diminuire la quota di impermeabilizzazione del suolo, aumentando le aree verdi all’interno dei centri urbani e preservando dall’impermeabilizzazione le aree periurbane non ancora edificate.

Il microclima all’interno delle aree urbane può essere fortemente condizionato da superfici verdi, da boschi urbani collocati nelle aree centrali, perché la loro funzione positiva si esercita sopratutto dove più alta è la densità edilizia:

L’agricoltura è uno strumento di salvaguardia del territorio e della biodiversità, di lotta alla povertà alimentare e ai cambiamenti climatici.

Deve essere indirizzata verso le pratiche dell’agricoltura biologica, in particolare quella locale, connessa con la stagionalità delle produzioni e con l’identità culturale di un territorio, altrimenti può rivelarsi uno dei fattori responsabili delle emissioni di gas serra, dell’inquinamento di acque e terreni, oltre ad essere un grande mercato per l’industria chimica.

Il costo economico del consumo di suolo in Italia è compreso fra i 600 e i 900 milioni di € l’anno e la diminuita produzione agricola incide per il 40%

Ininterrottamente, dal dopoguerra ad oggi, l’urbanizzazione ha invaso la campagna.

Vogliamo invertire questo processo speculativo e la campagna deve invadere le città penetrando con orti, boschi, giardini, spazi coltivati nelle aree rimaste libere nei centri urbanizzati

La rivoluzione ambientale si fonda sul passaggio dall’economia lineare a quella circolare che punta alla scomparsa del concetto stesso di “rifiuto”, alla riduzione dei consumi energetici e delle risorse non rinnovabili, alla conversione verso la totale decarbonizzazione, investendo in programmi di efficientamento energetico, energie rinnovabili, smettendo di finanziare (con 16 miliardi all’anno) chi produce effetti dannosi per l’ambiente. 

Costruire democrazia energetica vuol dire passare alle fonti rinnovabili ma, soprattutto, operare una concorrenza diffusa ai grandi player: i cittadini e le comunità devono riappropriarsi di un settore strategico come quello energetico. 

Città accessibili a tutti

In Italia quasi il 70% degli spostamenti utilizzano l’automobile a fronte del 60% della media europea

Gli investimenti pubblici nel settore trasportistico devono essere indirizzati a finanziare prioritariamente la manutenzione della rete ferroviaria esistente e ad incrementare il trasporto pubblico, per rendere ogni luogo più accessibile a tutti.

Perché l’accessibilità alla città riduce le diseguaglianze che colpiscono particolarmente coloro che si trovano in condizioni di disabilità, non solo motoria.

Quindi una città costruita per tutti i tipi di utenti, compresi gli anziani che non guidano più la macchina e le donne, che con carrozzine e borse della spesa non possono facilmente accedere al mezzo di trasporto pubblico, rivoluziona il modello della città contemporanea.

Dobbiamo costruire una nuova cultura urbana che produca un modello alternativo di città: democratica e antagonista nella forma e nella fruizione dei suoi spazi, che sostituisca i parametri stereometrici con nuovi indicatori ecologici e sociali, dove le funzioni primarie dell’abitare si trovino in un contesto di prossimità, che riduca le barriere, costruisca percorsi pedonali e ciclabili “dando a ciascuno il suo passo”.

Dare centralità alle periferie significa anche affrontare il problema della sicurezza e della microcriminalità urbana che non si risolve solo con le manette, ma con investimenti pubblici rivolti

alla salute, all’integrazione, alla qualità ambientale, al risanamento degli edifici degradati. 

La questione morale è una priorità. 

Sopratutto in un periodo di crisi, in cui un milione di bambini italiani vive in condizioni di povertà, la corruzione che in Italia raggiunge 60 miliardi di € all’anno, oltre metà di quella di tutta l’Europa è intollerabile, mina la fiducia nelle istituzioni e devasta la sana economia.

Dove c’è danaro pubblico lì si annida la corruzione, sappiamo che proprio per questo la mafia è migrata al nord, ma non si può tollerare che lo smaltimento dei rifiuti sia diventato il più grande business illecito che sta minando la salute della gente, inquinando l’aria, le falde acquifere, i campi coltivati e quindi il cibo sulle nostre tavole. 

L’inquinamento acuisce le diseguaglianze, perché si accanisce provocando i danni maggiori sui soggetti più fragili e indifesi come i bambini e gli operai delle fabbriche che si ammalano pur di non perdere il posto di lavoro.

Non si può tollerare che solo le ripetute incessanti pressioni dei comitati provochino indagini che non sempre i pubblici amministratori sono disposti ad avviare.

Come è possibile che questi enormi imbrogli possano perpetrarsi per anni, di fronte all’aggravarsi di malattie anche mortali, che colpiscono particolarmente i bambini, prima che gli accertamenti producano gli effetti dovuti?

Un impegno sul fronte dei danni provocati alla salute e all’ambiente da ogni attività insalubre è un doveroso atto, che attraverso procedure più adeguate alla gravità delle situazioni di emergenza ambientale, deve garantire un controllo capillare delle attività malavitose che spesso si accompagnano a “fallimenti guidati” e riapertura di attività economiche promosse dalla mano scaltra della malavita organizzata.

È fin troppo evidente che le misure in campo non sono adeguate all’intensità, frequenza, estensione del fenomeno.

Il danno che colpisce l’economia e la vita di famiglie e persone, aumenta le diseguaglianze e la voragine fra lavoratori inermi e le enormi ricchezze illecitamente acquisite.

Gli appalti e le regole sui sub appalti, i Project financing, devono essere rivisti nel loro perfido impianto che crea enormi danni alle finanze pubbliche e l’arricchimento di soggetti privati (spesso multinazionali) che nulla rischiano ma svaligiano le casse degli enti pubblici. 

Va abrogato lo “Sblocca Italia” e tutte le deroghe, silenzi-assensi e poteri sostitutivi in tema di pianificazione urbanistica.

Si tratta di una Legge eversiva che sposta sul soggetto privato una serie di prerogative che dovrebbero restare saldamente in capo all’amministrazione pubblica e rende ancor più residuale la partecipazione dei cittadini ai processi di trasformazione del territorio, sempre meno trasparenti e sostanzialmente privi di controlli.

Va approvata una Legge contro l’obsolescenza programmata, che non solo aumenta enormemente la produzione di rifiuti, dai cellulari a quelli ingombranti come frigoriferi e lavatrici, ma costituirebbe un importante risparmio per le famiglie.

LArticolo 41 della Costituzione va rispettato.

Così recita: “la proprietà privata è libera“ ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”. Se questo principio fosse applicato avremmo città migliori, paesaggi non deturpati, una salute più garantita.

Va restituita agli organi eletti dal popolo la loro sovranità, ora accentrata nelle mani degli esecutivi (nominati e non eletti). 

Va difesa l’autonomia dei Comuni nelle materie di loro competenza nei confronti dell’invadenza delle Regioni che possono agire imponendo carichi volumetrici, interventi privati in difformità agli strumenti urbanistici comunali, senza che vi sia un organo di tutela al quale si possano appellare (vedi Piano Casa), come invece avviene per i poteri esercitati dallo Stato nei confronti delle Regioni.

Sono spazi democratici, sistematicamente erosi in questi anni, che vanno restituiti alla collettività.

 

In assenza di un’egemonia culturale della sinistra il neoliberismo ha lasciato il Paese con un grande vuoto di valori.

Con fatica e fiducia riavvieremo questa ricostruzione

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 29 dicembre 2017 sul sito online “greenreport.it”)

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